testata ADUC
Biotecnologie che aiutano l'agricoltura. La relazione di Aduc al convegno
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Primo Mastrantoni
24 gennaio 2017 14:25
 
 CONVEGNO: BIOTECNOLOGIE CHE AIUTANO L'AGRICOLTURA. Le nuove biotecnologie verdi e la situazione della ricerca in Italia: aspetti tecnologici, politici e legislativi
Convegno organizzato dall’Associazione Luca Coscioni con il supporto di Green Biotechnology Europe
24 gennaio 2017
Intervento di Primo Mastrantoni, segretario Aduc
Ogm: pregiudizi e opportunita'.
"Cibo di Frankenstein", l'hanno definito. In questa frase c'e' tutta l'avversione, e la paura, per le piante geneticamente modificate, gli Ogm. Si aggiungono le accuse di aver provocato la "mucca pazza", i suicidi dei contadini indiani che coltivano cotone Ogm, gli shock anafilattici scatenati dalla fragola-pesce e la convinzione della sterilita' delle piante Ogm, ecc.
Per essere gentili, diciamo che queste affermazioni sono fantasiose.
La paura cresce dove c'e' ignoranza. Secondo il linguista Tullio De Mauro, scomparso recentemente, il 70 per cento degli italiani sono analfabeti funzionali, cioe' hanno gravi difficoltà nella comprensione di un testo. "Il 70 per cento degli italiani non capisce quello che legge" sintetizzava il professor De Mauro. Non va meglio per le nuove generazioni, poiche', secondo un' indagine internazionale, promossa dall'OCSE-OECD, gli studenti italiani sono penultimi in Europa per la capacita' di comprensione di un testo, penultimi nelle cognizioni scientifiche e terz'ultimi in quelle matematiche. Facile, quindi, che frasi a effetto trovino un terreno fertile nell'analfabetismo funzionale che predilige gli slogan ai ragionamenti.

L'avversione agli Ogm e' cosi' diffusa che, nell'organizzare un convegno sull'argomento, anche quell'aulico consesso che e' l'Accademia dei Lincei, ha voluto precisare che "Gli organizzatori sono consci che il convegno possa essere considerato una illustrazione delle ragioni di chi e' a favore degli Ogm".

Ovviamente, l'ostilita' del consumatore e' a tutto campo, indipendentemente dalle tecnologie usate (mutagenesi, cisgenesi, transgenesi, genoma edit). Insomma, tutto cio' che e' geneticamente modificato e' Ogm.
Seguendo questa convinzione, pero', dobbiamo comunicare una brutta notizia agli italiani no Ogm, perche' non sanno, non sono informati, che da un trentennio mangiano pasta geneticamente modificata perche' proviene da una varieta’ di grano duro, il Creso, ottenuto da un istituto pubblico, il Centro di studi nucleari della Casaccia (Roma), ottenuto da un incrocio tra una varieta' messicana e una italiana, la Cappelli, che e’ stata precedentemente irradiata. Si e' ottenuta una cultivar resistente all'allettamento, cioe' alla ripiegatura causata dal vento o dalla pioggia, e ad alcuni funghi, oltre ad una resa notevolmente superiore alle varieta' precedentemente coltivate, con utilita' economica per gli agricoltori e beneficio qualitativo per i consumatori (piu' glutine e migliore pastificazione). E' da piu' di un trentennio che mangiamo pasta derivata da "Creso", cioe' Ogm, ma non ci e' cresciuto un terzo occhio ne' l'undicesimo dito.
L'edizione mediatica per il popolo ha, pero', lanciato l'allarme sulla pasta radioattiva, perche' proveniente dal grano Creso, notizia del tutto inventata, o sull'aumento dei casi di celiachia, tesi non supportate da riscontri scientifici.

Per un altra pianta si sono scatenate le polemiche: il mais.
Il mais tradizionale e' soggetto all'attacco di funghi che producono micotossine. Il 27% dei campioni di mais tradizionale, non Ogm, analizzati nel 2015, destinati all'alimentazione umana, conteneva micotossine (fumonisine) superiori ai valori limiti stabiliti dalla legge, il che puo' provocare problemi per la salute dei consumatori. Inoltre, poiche' il mais tradizionale e' utilizzato anche come mangime, le micotossine possono finire nel latte vaccino. Dal latte vaccino a noi il passo e' breve.
La soluzione trovata e' tipicamente italiana: non possiamo coltivare mais Ogm ma lo possiamo importare.
Risultato:il nostro mais e' meno conveniente, quindi importiamo in quantita' mais Ogm, con effetti paradossali: ulteriore deficit della bilancia dei pagamenti agroalimentare, difficolta' delle aziende agricole e di trasformazione di stare sul mercato, impulso alle multinazionali di produzione di mais Ogm e di quelle produttrici di pesticidi. Insomma, si sono ottenuti risultati esattamente opposti a quelli che si volevano ottenere. Un disastro!
Comunque, non ci sono riscontri scientifici che qualcuno si sia ammalato per il consumo di mais Ogm o che gli sia cresciuto il terzo orecchio.

Stesso discorso vale per la soia Ogm: non possiamo coltivarla ma possiamo importarla, sicche' l'85% della soia che mangiano i nostri animali e' Ogm e si e' ricreato lo stesso problema precedentemente descritto: ulteriore deficit della bilancia dei pagamenti agroalimentare, difficolta' delle aziende agricole e di trasformazione di stare sul mercato, impulso alle multinazionali che producono soia Ogm e di quelle produttrici di pesticidi. Anche in questo caso i risultati sono stati un disastro!
Non ci sono riscontri scientifici che, umano o animale, si sia ammalato per il consumo di soia Ogm o che sia cresciuta una terza narice.

L'attenzione dei media e dei consumatori agli Ogm si e' concentrata sulle tecniche di modifica del genoma non sul risultato finale. La domanda, invece, dovrebbe essere: questo prodotto Ogm fa male a noi e all'ambiente o no?
L'Accademia Americana delle Scienze, dopo aver analizzato 900 studi sugli Ogm, ha concluso, lo scorso anno, che le colture OGM non rappresentano maggiori rischi ambientali sia per la salute che per i raccolti convenzionali. I dati esistenti, dichiara l'Accademia, “non hanno identificato differenze tra i rischi per gli umani tra le colture OGM e quelle convenzionali"; sulla stessa linea l'Organizzazione Mondiale della Sanita'.

Tutto cio' non basta al consumatore che sospetta legami e interessi con le multinazionali (per di piu' se sono americane) che forniscono prodotti Ogm, e neppure convince la medesima attestazione dell'Accademia dei Lincei (nel 2015) o lo studio dell' Efsa, l'Autorita' europea per la sicurezza alimentare, per la quale "non vi e' alcuna prova scientifica specifica, in termini di rischio per la salute umana e animale o per l'ambiente". Non sfiora il pensiero, al consumatore, il fatto che il frumento Creso e' frutto di una ricerca di un istituto pubblico italiano, non connesso alle multinazionali, e che proibendo la coltivazione di Ogm in Italia si favorisce l'industria dei pesticidi e di quelle che producono piante Ogm, che importiamo.

A questa paura, diffusa dai media, contribuiscono l'atteggiamento e le decisioni dei nostri governanti. I precedenti governi hanno addirittura disposto la distruzione di piante Ogm (ulivi, ciliegi e kiwi) in campi aperti sperimentali dell'Universita' della Tuscia (Vt), affondando la ricerca sulle biotecnologie agrarie di una struttura pubblica (cosi' possono farle le tante odiate multinazionali) impedendo la ricerca, i brevetti e le utilità economiche. Lo stesso e' accaduto per le Universita' di Ancona e Bologna. Si sono buttati nei cestini decenni di ricerche e soldi pubblici, intesi come denari del contribuente, non delle multinazionali. Il Governo, nello specifico il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, ha confermato il divieto di produzione di Ogm mentre consente l'importazione di 50 piante Ogm. Insomma, che la mano destra non sappia quel che fa la sinistra! L'opposizione brancola nel buio. Una senatrice pentastellata e' partita all'attacco sostenendo che il mais Ogm contiene una tossina pericolosa per le persone e l'ambiente. Stiamo aspettando, da un paio di anni, che la senatrice produca atti che confermino la sua tesi.

Parlare alla pancia fa piu' effetto che parlare alla testa. Se ci aggiungiamo che molte persone amano le parole e non i ragionamenti ci rendiamo conto di quanto sia difficile argomentare su un tema che evoca mostri.

Chi vi parla e' stato il promotore della prima legge regionale (Lazio) in Italia sull'agricoltura biologica, ancor prima dei regolamenti comunitari. Era il 1989. Sono passati 28 anni, si era agli albori dell'agricoltura biologica. L'intento era di promuovere tecniche agricole che non utilizzavano sostanze chimiche di sintesi, favorire la biodiversita' e individuare piante resistenti alle malattie. Inoltre, era necessario disciplinare un settore lasciato a iniziative senza regole e offrire al consumatore un'ulteriore scelta tra i prodotti in commercio. Nonostante il crescente interesse per i prodotti biologici, il settore rappresenta una quota minoritaria di produzione e consumi.

Indubbiamente, occorre evitare scelte fideistiche e demonizzazioni investendo in conoscenza. Si puo' fare attraverso la scuola, a tutti i livelli, e cio' comporta tempi lunghi, ma si possono ottenere risultati anche sul breve periodo utilizzando gli strumenti di comunicazione e informazione che il Governo e le pubbliche istituzioni hanno a disposizione.

Mi corre alla memoria una trasmissione televisiva di successo degli anni '60, dal titolo: Non e' mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell'adulto analfabeta.
Possiamo riprendere l'idea. Occorre recuperare l'analfabetismo funzionale. Non e' mai troppo tardi, basta iniziare.
Pubblicato in:
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS