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Carceri sovraffollate? Il bestiario del ministero della giustizia lo conferma
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Articolo di Alessandro Gallucci
23 gennaio 2015 17:30
 
Il 21 gennaio 2015 il ministero della giustizia ha pubblicato sul proprio sito internet le statistiche aggiornate sulla popolazione carceraria.
Queste statistiche rappresentano il “bestiario” dello Stato italiano verso i propri cittadini e verso gli stranieri. Punire chi ha violato la legge è doveroso, ma umiliare chi ha sbagliato violando le norme che lo Stato stesso s’è dato, è vergognoso.
A leggere i dati raccolti dal ministero c’è ben poco da essere felici: 53.623 i detenuti presenti nei penitenziari italiani. È vero che rispetto al 2012 la popolazione carceraria è diminuita di quasi 12.000 persone, ma le statistiche non dicono un fatto fondamentale. La capienza complessiva delle carceri italiane, formalmente è di circa 49mila posti ma di fatto il numero di posti disponibili è circa 38 mila.
Siamo quindi ancora ben oltre i limiti massimi consentiti. Inutile guardare alla capienza massima tollerabile, che è un sotterfugio buono solamente per coprire l’inefficienza dello Stato rispetto ad una delle sue funzione primarie, ossia quella repressiva e rieducativa. È credibile che una persona costretta a stare come non dovrebbe possa essere aiutata a rieducarsi, scontando così la pena e non semplicemente subendo la vendetta pubblica? Noi ne dubitiamo.
Dei 53 mila detenuti, poi, 18.518 sta li senza aver subito una condanna definitiva. Persone condannate in primo e/o secondo grado o persone il cui processo deve ancora iniziare; dimostrazione plastica del fatto che la custodia cautelare in carcere è ancora utilizzata in modo distorto, salvo anche qui voler pensare che tutti i detenuti non condannati in via definitiva siano pericolosi a tal punto da non poter stare nemmeno agli arresti domiciliari. Formalmente non si può dire nulla (chi è in stato di custodia cautelare in carcere lo è perché la legge lo consente), ma se valutiamo la forma assieme alla sostanza, la conclusione cui giungiamo è che molto spesso si tratta di una sorta di anticipazione della pena; pena che alle volte non arriva mai perché si viene assolti o perché il reato cade in prescrizione. D’altronde se la misura cautelare viene considerata illegittima, chi ha emesso l’ordinanza quasi mai paga per il proprio errore. Già solamente ragionare su questi numeri e su misure alternative consentirebbe di rientrare quasi del tutto nell’ambito della reale capienza di posti.
Fa pensare anche il numero elevato di stranieri presenti nelle nostre galere: tra condannati e detenuti in attesa del giudizio definitivo si tratta di 17.462, circa il 32% della popolazione carceraria. 1.118 persone sono detenute per aver commesso delitti contro il sentimento e la pietà dei defunti. Il ministero precisa che “nel caso in cui ad un soggetto siano ascritti reati appartenenti a categorie diverse egli viene conteggiato all'interno di ognuna di esse. Ne consegue che ogni categoria deve essere considerata a sé stante e non risulta corretto sommare le frequenze”. Come dire: probabilmente chi ha offeso i defunti ha commesso anche altri reati, ma è ancora utile prevedere questa tipologia di delitti? Al riguardo c’è da dire che il ddl sulla depenalizzazione dovrebbe riguardare anche questo genere di comportamenti. Per reati connessi alla droga sono detenute circa 32.000 persone: non è dato sapere quante per reati connessi allo stato di tossicodipendenza, ossia di una patologia che più che punita dovrebbe essere curata.
Le statistiche presenti sul sito del ministero offrono diverse chiavi di lettura (si dà conto del numero di detenuti secondo età, provenienza geografica, titolo di studio, ecc. ecc.) ma non dicono quanta gente s’è tolta la vita in carcere nell’ultimo anno (nel 2014 su 131 morti in carcere 43 sono i suicidi, fonte Ristretti Orizzonti. Perché?
Il dato univoco ed unificante di ogni considerazione, tuttavia, è solamente uno: in carcere c’è troppa gente e molta potrebbe non esserci. Poco è cambiato rispetto al passato e molto c’è da fare per restituire quei luoghi alla loro funzione sociale; punire e rieducare senza vendicarsi ed ammazzare, sempre a voler considerare la costrizione in carcere una misura ancora efficace.
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