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Casino organizzato. Il fallimento tragicomico del governo Conte e l’articolo 120 della Costituzione
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Articolo di Redazione
18 maggio 2020 10:54
 
Il fallimento tragicomico dei casaliners di Palazzo Chigi è scritto in italiano comprensibile anche ai Cinque stelle nell’articolo 120 della Costituzione, al secondo comma: «Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica».

Prima domanda: il governo si è sostituito all’imbelle Attilio Fontana in Salvini, il cui servizio sanitario regionale ha trasferito i contagiati nelle case di cura per anziani e ha lasciato infettare gli ospedali? No.
Seconda domanda: il governo ha impedito al medesimo Fontana di bruciare milioni di euro in un progetto vanitoso alla Fiera che non è servito a nulla e che adesso è pronto per essere smantellato? No.
Terza domanda: il governo si è per caso sostituito a quei governatori locali che non hanno circoscritto le zone rosse a mano a mano che si scoprivano nuovi focolai, come è stato fatto per esempio a Vo’ Euganeo? No.
E, quarta domanda, a che cosa serve il governo nazionale se non a valutare dall’alto che cosa ha funzionato e cosa no e, nell’emergenza, a estendere la pratica migliore laddove ce n’è una che non va?

Tra una diretta Facebook, un’intervista soffietto e una soffiata ai giornali, invece il governo ha fatto esattamente il contrario di quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione: anziché sostituirsi agli organi locali per tutelare l’incolumità della nazione di fronte alla pandemia, ha delegato alle regioni di fare un po’ come ciascuna di loro volesse fare, liberandosi così del peso di prendere decisioni e scaricando le responsabilità.
L’unica cosa di nazionale che ha fatto il governo Conte, oltre a spiegarci nel dettaglio quando avremmo potuto ritirare personalmente una pizza da asporto, è stata l’imposizione del lockdown a tutta l’Italia, comprese le zone senza alcun contagio, quando avrebbe dovuto chiudere soltanto la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia Romagna. E, peraltro, lo ha anche fatto a scoppio ritardato, lasciando due giorni di tempo a chi stava al nord di portare nottetempo il virus dove non c’era.

Nei due mesi di quarantena in casa, il governo non ha prodotto nessun piano nazionale per i tamponi, per i test sierologici, per il tracciamento dei positivi e la liberazione dei negativi. Le mascherine vengono distribuite dalla Gazzetta dello Sport, ma non dalla protezione civile. Dei guanti non parliamo neppure.
Avendo totalizzato insufficienze ampie su tamponi, test, tracciamento, mascherine e guanti, a questo punto sono gli italiani che potrebbero rispondere di sì alla domanda «lei ritiene di fare meglio?» diventano alcuni milioni.

Siamo arrivati, così, alle incertezze di questa mattina: ieri il governo ha presentato il decreto legge, poi è servita un’altra mezza giornata per la pubblicazione del dpcm definitivo. Il risultato è che nessuno sa davvero come riprendere le attività commerciali, industriali o professionali, a meno di essersi fidati delle indiscrezioni, delle bozze, dei metri di distanza e dei plexiglass.
Una volta che il dpcm è stato finalmente liberato non è ancora finita, perché le venti regioni italiane possono emanare altrettante ordinanze con cui prendere atto delle scelte del governo oppure modificare le disposizioni del decreto, e alcune lo hanno già fatto, aggiungendo confusione a confusione sulle modalità di riapertura.
Il governo Conte, insomma, ha fornito uno standard di comportamenti da seguire cui le Regioni però possono derogare sia in modo più rigoroso sia in modo più permissivo.
Sempre che la situazione non precipiti, sappiamo già che nel weekend precedente il 3 giugno si ripeterà un altro teatrino fatto di soffiate ai giornali, di bozze di decreto, di interviste autoassolutorie, di dirette Facebook convocate e poi rinviate, di conferenze stampa del sabato sera tipo Fantastico, di successive trattative notturne, di modifiche dell’ultimo, del penultimo e del terzultimo momento, di attese della bollinatura della Ragioneria dello Stato e di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.

Ognuno, come sempre, farà come gli pare nonostante i comitati tecnico-scientifici, le task force, i commissari straordinari, le decine di decreti, le venti regioni e le seicentoventinovemila linee guida perentorie anziché no. Il governo Conte ricorda molto il Varese di Eugenio Fascetti, la squadra di calcio degli anni Ottanta passata alla storia per aver adottato la filosofia del «casino organizzato», con cui però al massimo ha raggiunto il quarto posto in serie B.

(articolo di Christian Rocca su Linkiesta del 18/05/2020)
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