testata ADUC
Chiesa cattolica e abusi sessuali. Sappiamo di dover pagare caro
Scarica e stampa il PDF
Articolo 
17 settembre 2010 17:59
 
Intervista di Matthias Drobinski, per il quotidiano Sueddeutsche Zeitung (SDZ), a Stefan Kiechle, il nuovo padre provinciale dei Gesuiti. Parla di abusi sessuali, di colpa e penitenza, e spiega perché lui e i suoi confratelli vogliono risarcire le vittime.

Si è assunto un compito difficile. Dal primo settembre Stefan Kiechle è il nuovo padre provinciale dei Gesuiti tedeschi. Il suo Ordine dirige anche il collegio berlinese Canisius, dove a gennaio si è scoperto che negli anni ottanta alcuni padri avevano sistematicamente abusato di studenti. Adesso i Gesuiti sono il primo Ordine a darsi una regola per i rimborsi.

D. Una vittima di abusi una volta si è espresso in questo modo nei confronti dei Gesuiti: "Devono pagarla cara". Ed è vero che anche nel vostro Ordine ci sono stati dei colpevoli. Volete davvero "pagare"?
R. Messa in questo modo, sì, sappiamo di doverla pagar cara. Vogliamo risarcire le vittime. Per loro è molto importante che non ci limitiamo alle scuse, a dire che finalmente gli crediamo, ma che vogliamo dare un segno tangibile. Ci farà male, ma non possiamo riconoscere la colpa e basta, dobbiamo anche riparare.

D. Poiché senza espiazione la colpa non può essere perdonata.
R. Nella Chiesa non si parlava ormai più di espiazione, perché in passato era considerata l'espressione di un Dio vendicativo che pretendeva vittime sanguinanti. Si è preferito il "buon" Dio, quello che cancella il male. Ma il male c'è stato -i colpevoli hanno inflitto alle vittime grandi sofferenze che si sono portate dietro per decenni. Una teologia che faccia a meno di concetti quali la colpa e l'espiazione non prende sul serio la libertà e la responsabilità dell'uomo. Forse è stato questa cattiva interpretazione del "buon" Dio uno dei motivi per cui gli abusi sono rimasti nell'ombra così a lungo.

D. Nella Chiesa non ci si fa del male, anche quando sarebbe necessario.
R. E' l'amara ironia di questa vicenda: le vittime, molte delle quali si sono allontanate dalla Chiesa, ci riportano al nostro tema peculiare della colpa e del pentimento. Il male si ritorce contro chi l'ha commesso; il suo pentimento ha valore solo se è un dolore condiviso con la vittima. E' questo il senso profondo degli indennizzi.

D. Chi deve prendere soldi e quanti?
R. I primi a rispondere dovrebbero essere i colpevoli. Ma spesso non sono visibili, sono spariti, malati, morti, così spetta a noi come Ordine assumere la responsabilità vicaria per gli abusi che risultano credibili sebbene non più soggetti alla giustizia. Anche l'Ordine in quanto tale è divenuto colpevole. Un'istanza indipendente dovrà stabilire a chi spetti il denaro. La Conferenza episcopale austriaca ha elaborato un modello tariffario che va dai 5000 ai 25000 euro a vittima. Ma noi non lo assumeremo come modello giacché non intendiamo valutare il grado delle sofferenze inflitte. Pensiamo comunque a una somma a quattro cifre.

D: Ciò fa pensare a quei 5000 euro di cifra minima offerti dalla Conferenza episcopale austriaca.
R: Se ne sta discutendo, ma ancora non abbiamo deciso.

D. Per molte vittime sarebbe poco.
R. Ci saranno delusioni, ma penso che non potremo evitarle. Ritengo comunque giusto che paghiamo una somma piuttosto simbolica. Non possiamo dare l'impressione che il denaro possa cancellare il male subito dalle vittime della violenza sessuale. Visto in quel modo, anche una forte somma può apparire di scarso valore: ci ricompriamo la coscienza e tutto torna al suo posto. Invece simbolicamente significa: il gesto che compiamo è doloroso; ma è sempre piccolo e frammentario -il segno della nosta impotenza di fronte al dolore.

D. Ma non potrebbe voler dire che Mammona è disprezzabile, e dunque anche un risarcimento pecuniario è disprezzabile?
R.  No. Il denaro può essere un'opportunità per esprimere riconoscimento e rispetto. La riparazione simbolica cui noi aspiriamo è nel contempo qualcosa di meno e qualcosa di più di un compenso per danni morali. La somma è inferiore, ma il segnale probabilmente più duraturo. Proprio per questo non vogliamo che il denaro venga preso da un contenitore anonimo. Dev'essere chiaro che quei soldi vengono da noi.

D. Quante vittime pensate di risarcire?
R. Sono duecento gli ex alunni che sono venuti a dirci d'aver subito violenza sessuale, che erano stati superati i limiti. Quanti di questi vorranno un compenso non lo sappiamo.

D. Se anche solo un su due di loro ricevesse 5000 euro dovreste pagare mezzo milione di euro. Da dove lo prenderete il denaro?
R. Sì, per noi sono tanti soldi. Non vogliamo prenderli dalle offerte, né farli gravare sui nostri programmi sociali e di cura pastorale. Dovremo ridurre il nostro tenore di vita. Ne abbiamo parlato in comunità, i fratelli sono pronti a fare rinunce. La penitenza è dolorosa e deve dimostrare che il nostro compito è di essere dalla parte delle vittime.

D. Ci sono vescovi che non hanno preso bene l'iniziativa dei Gesuiti. Vi rimproverano d'indebolire la discussione in atto nella Chiesa cattolica sugli abusi e l'atteggiamento da adottare con le associazioni delle vittime.
R. Può darsi che ci siano di queste voci. Non so se vengano dai vescovi. Parliamo insieme delle questioni di indennizzi, non è che lo facciamo fuori dalla Conferenza episcopale o addirittura contro i vescovi. Ma sentiamo che è venuto il momento per noi Gesuiti di dare un segnale in direzione delle vittime. Non può essere una semplice questione tattica o di costi. E' in causa la nostra credibilità e la coscienza di quel che siamo.
Pubblicato in:
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS