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'Ci trattarono con gentilezza'
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Articolo di Annapaola Laldi
23 gennaio 2020 13:15
 
 Metto come titolo di queste mie noterelle  il motto che contraddistingue la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” di quest’anno (18-25 gennaio 2020) per due motivi che adesso dirò.
 
In primo luogo, per il mio sentire, la gentilezza è un modo di essere e di porgersi al mondo (quindi non solo alle altre persone, ma anche agli animali, alle piante e a tutto l’ambiente, in cui ci troviamo a vivere), che ha un enorme impatto positivo su chiunque e qualunque cosa. Essa rivela, infatti, un rispetto sorridente, che apre anche molti altri a ricambiare rispetto e sorriso. Essa è praticabile in ogni momento e in ogni occasione della nostra vita quotidiana. Per fare un esempio molto semplice, è gentilezza, ringraziare con un gesto cordiale l’automobilista che, sia pur doverosamente, si ferma per farci attraversare sulle strisce pedonali, così come è gentilezza cedere il passo su un marciapiede troppo stretto per farci passare in due e, naturalmente, ringraziare, anche con un semplice sorriso, il passante che lo ha ceduto a noi.
Insomma, se ci pensiamo bene, nessuno è talmente povero da non avere dentro di sé un patrimonio di gentilezza da distribuire a piene mani, intessendo così una relazione cordiale col prossimo -  un istante solo di scambio umano con perfetti sconosciuti, che però scalda il cuore nostro e dell’altra persona.
 
Il secondo motivo è legato al luogo, di cui il per ora sconosciuto narratore dice: “Ci trattarono con gentilezza”.
Si tratta dell’isola di Malta, sulle cui coste circa duemila anni fa poco meno di trecento naufraghi, tra cui molti prigionieri, riuscirono a mettersi in salvo, sperimentando subito la gentilezza dei suoi abitanti. Ce lo fa sapere il narratore di questa storia, che è Luca, il redattore del terzo Evangelo e degli Atti degli Apostoli, verso il cui epilogo è situato questo racconto.
 
Ogni riferimento alla realtà attuale non è per niente casuale, ovviamente. Anzi, a preparare il materiale per la “Settimana per l’unità dei cristiani” sono state proprio le Chiese cristiane di Malta e Gozo, come si legge nell'introduzione ai testi consigliati:
Il materiale della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2020 è stato preparato dalle chiese cristiane di Malta e Gozo (Christians Together in Malta). Il 10 febbraio, a Malta, molti cristiani celebrano la Festa del Naufragio dell’apostolo Paolo, commemorando e rendendo grazie per l’arrivo della fede cristiana in quelle isole. Il brano degli Atti degli Apostoli proclamato in occasione della Festa è lo stesso scelto quale tema della Settimana di preghiera di quest’anno”.
L’intento delle Chiese cristiane (cattolica, protestanti ed ortodosse) è molto chiaro:
nel ricordo della gentilezza, della “filantropia” dei Maltesi di allora, richiamare i Maltesi e gli altri Europei di oggi a non agire con indifferenza di fronte alla attuale crisi migratoria, voltandosi dall’altra parte.  “Un’indifferenza”, si legge nella ‘Presentazione’ che “assume varie forme: l’indifferenza di coloro che vendono a persone disperate posti in imbarcazioni non sicure per la navigazione; l’indifferenza di persone che decidono di non inviare gommoni di salvataggio; l’indifferenza di coloro che respingono i barconi di migranti … […]. Questo racconto ci interpella come cristiani che insieme affrontano la crisi relativa alle migrazioni: siamo collusi con le forze indifferenti oppure accogliamo con umanità, divenendo così testimoni dell’amorevole provvidenza di Dio verso ogni persona?” E si aggiunge che “In questi anni le Chiese cristiane non hanno smesso di sottolineare la centralità del vero e proprio comandamento dell’accoglienza (‘Ero straniero e mi avete ospitato’, Mt 25,35)”.
 
E arriviamo dunque, con un breve riassunto degli antecedenti, al punto essenziale della narrazione, che si trova nel Nuovo Testamento (Atti degli Apostoli). Il protagonista della vicenda è Paolo (Saul) di Tarso, l’ebreo che, dopo aver perseguitato i cristiani, si convertì al cristianesimo, a seguito di un evento sconvolgente che ha ispirato molti pittori, tra cui Caravaggio .
Tornato a Gerusalemme, dopo molti viaggi sempre tra il Vicino Oriente e la Grecia, Paolo viene aggredito da altri Ebrei che lo considerano un traditore, anzi, un apostata, e viene messo in salvo dai soldati romani che però lo arrestano per capire che colpe egli abbia.  In questo frangente egli rivela di essere cittadino romano e si appella a Cesare, cioè all’imperatore; e, finalmente, dopo due anni di prigione, viene inviato a Roma per esservi giudicato. La nave, sulla quale viaggia, incappa in una tempesta tremenda; nonostante venga alleggerita di tutta la zavorra, si va a incagliare in un banco di sabbia davanti a Malta, e tutti quanti, per salvarsi, sono costretti a gettarsi in mare, a nuoto o aggrappati ai rottami della nave.
Ed ecco il punto che ci interessa:
Dopo essere scampati al pericolo, venimmo a sapere che quell’isola si chiamava Malta. I suoi abitanti ci trattarono con gentilezza: siccome si era messo a piovere e faceva freddo, essi ci radunarono tutti intorno a un gran fuoco che avevano acceso”.
Di seguito, con una narrazione avvincente, veniamo a sapere che Paolo, morso da una vipera sortita fuori da un fascio di rami, che aveva raccolto per alimentare il fuoco, non accusa alcun male, suscitando così negli astanti l’idea che sia un dio. Quindi lui e le persone che lo accompagnavano vengono ospitati per tre giorni in casa del governatore dell’isola; e qui Paolo opera un miracolo di guarigione, e altri ne opera durante la sua permanenza a Malta, che dura tre mesi, anche a favore di altri abitanti dell'isola, ragione per cui, conclude Luca, che sembra avere accompagnato Paolo nel viaggio, “I maltesi […] ci trattarono con grandi onori, e al momento della nostra partenza ci diedero tutto quello che era necessario per il viaggio”.
 
Ora, è chiaro che la situazione di allora è ben diversa da quella di adesso. Allora si trattò di ospitare queste circa trecento persone per un periodo limitato, tre mesi, allo spirare dei quali, con la stagione più favorevole alla navigazione, ripartirono per l’Italia. Adesso, invece, si tratta di organizzare un’accoglienza stabile per i profughi, i quali possono anche restare tutta la vita nei Paesi di approdo, incidendo quindi maggiormente sulla vita delle popolazioni autoctone.
Eppure, sono convinta che ancora una volta la gentilezza, la "filantropia", come si legge nel testo greco, debba fare da guida a noi che ci troviamo dalla parte di chi accoglie.
 
Perché, anche se i naufraghi e profughi attuali non compiono miracoli come Paolo di Tarso, e non si guadagnano quindi immediata fiducia, stima e simpatia, possono anche loro essere strumenti di un miracolo laico non meno grande: aiutare noialtri (atei, agnostici o credenti, non importa) a superare la paura di ogni “diverso”, a immedesimarci con le loro sofferenze e aspirazioni, infine, ad aprire i nostri cuori e le nostre menti a una accoglienza che, se guardiamo bene, è sempre reciproca e che darà frutti benefici duraturi a chi dona e a chi riceve.
 
 
Nota
Una breve osservazione sulle diverse traduzioni del passo che ci interessa, che usano parole diverse, per esprimere però lo stesso concetto:
 Traduzione della versione interconfessionale della Bibbia del 2014
“I suoi abitanti ci trattarono con gentilezza
 Traduzione accolta dalla CEI 2008:
“I suoi abitanti ci trattarono con rara umanità
 Traduzione della Nuova Riveduta (usata di solito nelle chiese protestanti):
“Gli indigeni usarono verso di noi bontà non comune”. 
 
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