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Combattere l'Isis. Bernard Stiegler: progettare un effettivo avvenire
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Articolo di Redazione
20 novembre 2015 10:10
 
 Per il filosofo Bernard Stiegler, “la guerra e' economica”. Il crollo dell'occupazione genera disperazione che a sua volta conduce alla violenza. “Non c'e' futuro al di fuori di un cambiamento fondamentale del valori economici”, ci spiega.
D. “Noi siamo in guerra”, martella il presidente della Repubblica dopo gli attentati del 13 novembre. Lei si riconosce in questa guerra?
R. No. Che vuole dire “noi”? Loro sono in guerra, non io. La guerra e' economica, e' la loro, e questa guerra fa delle vittime, tra cui io, che non dormo piu' la notte, non a causa dei terroristi, ma a causa dell'assenza di futuro per i miei figli. Non si tratta della guerra contro l'Isis, ma di una guerra economica e mondiale, che, se non la combattiamo, ci portera' nella guerra civile.
I posti di lavoro sono in forte calo, essenzialmente presso i giovani. E la disperazione genera la violenza... Oggi non ci sono piu' motivi di speranza. Gli attentati del 13 novembre sono degli attentati-suicidii, e non e' un aspetto senza significato: il suicidio e in crescita in tutto il mondo, in particolare presso una gioventu' consapevole che sara' disoccupata per tanto tempo.
Ne' Hollande ne' Sarkozy hanno dato a questi giovani un minima prospettiva. E' contro questa bestializzazione, questa follia, che io sono in guerra. Una guerra anche contro me stesso: noi siamo tutti sottomessi alla tenenza di trovare dei capri espiatori, a non riflettere, a dare violentemente dei colpi su qualcuno. Questa e' la barbarie, ed esattamente cio' che vuole l'Isis: creare una guerra civile. Ci saranno degli altri attentati se non si cambia politica. E' cio' di cui parlo nel mio prossimo libro “Dans la disruption” (nd “nella disgregazione”).
D. Cosa intende per disgregazione?
R. La disgregazione e' un fenomeno di accelerazione di quella innovazione sviluppata nella Silicon Valley: si tratta di andare piu' veloci della societa' per imporre ad essa dei modelli che distruggono le strutture sociali e rendono impotente il potere pubblico. E' una strategia di tetanizzazione (1) dell'avversario.
Nella mia opera, analizzo un testo che si chiama Abu Bakr Al-Naji, come lo riassume Ignace Levernier, che presenta un gruppo di persone, tra cui alcuni ex-agenti di Saddam Hussein diventati islamici. E' una sorta di “libro mastro” dell'Isis: cosi' come quei libri aziendali che mettono in dettaglio le regole per agevolare un appalto/lavoro, questo libro spiega ai vari protagonisti dell'Isis come prendere il potere. Occorre seminare il caos a partire dallo sfruttamento del bisogno di autorita'.
Io ho comparato questa strategia a quella del sito web “Les barbares attaquent” (i barbari attaccano), fondato da Nicolas Colin, un ex-ispettore delle finanze, noto per il suo rapporto con la fiscalita' digitale, sito in cui mette in evidenza l'inadeguatezza del sistema fiscale di fronte all'industria digitale, che lui descrive come dei “cavalieri dell'Apocalise”, nella fattispecie i GAFA (acronimo per Google, Apple, Facebook e Amazon).
Lui e' ormai passato dall'altra parte, dal servizio pubblico ad un'economia dove descrive i danni, per creare un fondo d'investimento che raccolga soldi per praticare la disgregazione alla francese. Ma che, ripetendo la strategia del GAFA, non puo' che estendere il loro metodo e intensificare la colonizzazione dell'Europa: far esplodere i trasporti, l'edilizia, l'educazione, tutte le filiere, attraverso nuovi modelli tipo Uber. Questa pratica distruttiva, pero', distrugge gli equilibri sociali -e' quello che il filosofo tedesco Theodor W. Adorno ha anticipato nel 1944 parlando della “nuova forma di barbarie” a proposito delle industrie culturali.
Non e' dichiarando la guerra all'Isis che ci si organizza. Questa dichiarazione non e' che un metodo per sbarazzarsi delle proprie responsabilita' cedendo il testimone a delle persone diventate estremamente pericoloso e che noi abbiamo co-generato insieme all'Isis.
D. E' quindi sulle rovine dell'ultraliberalismo che si costruisce la radicalizzazione?
R. Si. Riconduce il radicalismo ad una questione di religione, e questo e' scandaloso. La maggior parte dei reclutati dall'Islam radicale non ha una cultura religiosa. Non e' per la religione che essi agiscono ma per la disperazione. Richard Dum, l'assassino di otto membri del consiglio comunale di Nanterre nel marzo del 2002, aveva anticipato la sua azione parlando della sua sensazione di non esistere: lui e' voluto diventare qualcuno attraverso quel gesto.
D. Nel 2012 lei ha lanciato un appello per un trattato mondiale di pace economica. E' sempre una soluzione d'attualita' per eradicare la barbarie?
R. Bisogna aprire un dibattito in Europa per guardare le cose in faccia: dopo la nascita del web, noi siamo totalmente perdenti. Agire col metodo distruttivo come quello praticato dal GAFA, le tecnologie digitali accentuando la tossicita' ambientale che non cessa di crescere dopo l'inizio dell'Antropocene -l'era dove l'umano e' diventato il maggiore fattore geologico- in termini climatici, atmosferici, mentali. Non c'è futuro al di fuori di un rovesciamento fondamentale del valore economico: solo il passaggio ad un'economia produttrice di valori durevoli permettera' di affrontare la sfida che sara' oggetto della COP21 la settimana prossima.
Lanciamo una nuova politica europea piuttosto che allinearci ad un modello americano disgregativo e che e' suicida. Inventiamo un nuovo web, al servizio di un modello macroeconomico praticabile, piuttosto che sviluppare una certa economia totalmente distruttiva. Questo sara' anche il tema degli “Entretiens du nouveau monde industriel” (Incontro del nuovo mondo industriale) che ci saranno i prossimi 14 e 15 dicembre al Centre Pompidou di Parigi. E' solo progettando un concreto futuro per il pianeta che si potra' combattere l'Isis, cioe' la disperazione.

(1) ndr Stato patologico caratterizzato da una contrazione spontanea e prolungata delle fibre muscolari sotto l'influenza di una sequela di stimoli 

(intervista di Margherita Nasi , pubblicata sul quotidiano Le Monde del 20/11/2015)
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