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Con i dementi senili il mondo diventa più colorato
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Articolo di Redazione
17 novembre 2011 19:07
 
Lo psichiatra Klaus Doerner si batte perché la demenza venga considerata un modo d'essere come l'infanzia, la giovinezza, il diventare adulti o vecchi.

Nella lunga intervista concessa al giornale svizzero Beobachter, colui che è considerato uno dei più affermati psichiatri tedeschi in campo sociale spiega perché è importante integrare le persone affette da demenza senile.

Le prime domande vertono sulle strutture d'accoglienza. Klaus Doerner le giudica obsolete, figlie della società industriale, "istituzioni totali" -definizione coniata dal sociologo canadese Erving Goffman già negli anni '50. Goffman aveva analizzato gli istituti per malati psichici e aveva notato che la vivacità del vivere in comune sbiadiva in proporzione alla loro grandezza.
Le persone si sentono vive solo in piccoli gruppi, in ambienti familiari, non dove prevale una comprensibile standardizzazione. Negli ospedali la cosa può ancora funzionare poiché i ricoveri sono piuttosto brevi. Ma per le degenze lunghe le regole dovrebbero essere altre. Le monoculture sono mortali per la comunicazione -e dunque i dementi non possono stare solo tra di loro.

D.Beobachter: Come si può cambiare?
R. Klaus Doerner: Con l'assistenza ambulatoriale. La gente preferisce vivere e morire tra le proprie quattro mura, anche a costo di qualche disagio.
D. In concreto?
R. La società industrializzata è finita attorno agli anni '80. Da allora ci sono sempre più esempi di servizi ambulatoriali in alternativa alle residenze. Anche perché sono aumentate le persone che vivono da sole, senza una famiglia alle spalle. Per ora la soluzione migliore si è dimostrata quella di abitazioni per piccoli gruppi di malati, assistiti da personale esterno. Sei o otto persone con diagnosi diverse -sclerosi multipla, demenza, disabilità fisica, trauma encefalico- che vivono nella stessa casa, da inquilini, e mantenendo i diritti di libero cittadino. Si accudiscono da soli per quanto possibile, magari con l'aiuto dei vicini oppure, se proprio non basta, con l'assistenza domiciliare.

Il discorso prosegue sulle resistenze opposte dal personale sanitario a questo tipo di soluzioni. Comprensibili, ribatte lo psichiatra: è la difesa legittima del posto di lavoro, tutto qui. E se un paziente diventa aggressivo o cerca di scappare? Nel primo caso bisogna tentare di sconfiggere paure e insicurezze, che sono alla base delle reazioni violente, facilitando l'orientamento nei locali, con porte colorate e il nome scritto a caratteri cubitali sulla porta di camera; però a volte si deve ricorrere ai farmaci. Se qualcuno cerca di scappare? Si può chiedere l'autorizzazione a chiudere il portone d'entrata per un certo tempo, ma ci sono anche soluzioni architettoniche: locali costruiti in modo da consentire percorsi circolari.

D. Nel Suo modello di casa conta molto la presenza dei vicini e dei volontari, ma la nostra società è egoista; ciascuno pensa per sé.
R. Che la nostra sia una società di ego-mostri sgomitanti è ancora un modo di pensare della società industriale, con l'ideale dell'autorealizzazione spinto fino all'eccesso. Per la nuova società, verso cui siamo avviati, mancano ancora i concetti; dobbiamo coniarli. Ci piacciono ancora l'autodeterminazione e l'autorealizzazione, ma in modo equilibrato. Abbiamo anche un altro bisogno fondamentale, che stiamo scoprendo adesso.
D. A quale bisogno fondamentale pensa?
R. Di non vivere solo per se stessi, ma in una certa misura anche per gli altri. Significa dare importanza ad altre persone, essere necessari agli altri, ciò che era stato dimenticato nell'era industriale. Da una trentina d'anni l'Istituto di ricerche d'opinione Emnid tenta, con i sondaggi, di scoprire perché le persone si prodigano per gli altri. I risultati stupiscono sempre gli scettici. Intanto perché l'impegno continua a crescere. Poi per la distribuzione quasi uguale degli intervistati. Il primo terzo dice: "E' da tanto che ci impegnamo, nessun problema". Sono gli idealisti. Al lato opposto un altro terzo dice: "No di certo, per che cosa pagherei le tasse? Lo facciano quelli del mestiere". Il più interessante è il terzo, che è al centro, dove si notano i maggiori cambiamenti. E' fatto di gente realista, dal cittadino medio. Ragionano così: "Riesco a immaginare di dare una parte del mio tempo ad altri, ma nessuno me l'ha mai chiesto. Sarei disponibile, però solo se fosse veramente necessario, non mi voglio imporre".
D. Nel suo ultimo libro definisce la demenza il "nuovo modo d'essere umano". Cosa intende?
R. Ho scelto di proposito questa locuzione per dimostrare che stiamo crescendo in una nuova società, quella che nella storia umana ha più bisogno di aiuto, più ancora dei tempi della peste e del colera, davvero. Si caratterizza per una diversa composizione dovuta all'età. La demenza è sempre esistita, ma non in questa misura. Oggi la demenza diventa un fenomeno di massa. I dementi senili sono un gruppo di popolazione a sé stante -questo intendo per demenza come nuovo modo d'essere.
D. Che modo d'essere è?
R. Per prima cosa, quello che tutti noi crediamo di conoscere. Un modo d'essere con elevati deficit. La memoria non funziona più, sopraggiungono disturbi comportamentali. Ma se si sta a lungo con persone dementi e se le incontriamo spesso nella quotidianità, allora si vede che hanno qualcosa di amorevole. Raccontano tante storie, hanno più fantasia di noi "normali" e così arricchiscono il nostro modo di pensare. Ci si accorge che è ancora la stessa persona, non come cervello, ma con i sentimenti. Si stabiliscono rapporti immediati e diretti perché il rapporto è senza parole. Non ci s'intende attraverso la lingua, la comunicazione torna a essere essenziale come da bambini. Del resto la lingua è anche fonte di molti malintesi. Grazie ai dementi il mondo diventa più colorato.
D. Esistono già segnali che la demenza è accettata come fenomeno di massa?
R. Si, nel Baden-Wuerttemberg, proprio al confine con la Svizzera, molti Comuni promuovono la familiarità con le persone dementi. Vengono organizzati corsi per sensibilizzare sul tema negozianti, funzionari pubblici, poliziotti.
D. Lei ha paura di diventare demente?
R. Assolutamente no. La demenza è solo un modo tra gli altri d'invecchiare, un destino.
D. Si potrebbe rimproverarle che le Sue teorie sono utopiche
R. Tutta la ricerca sociale empirica dimostra che ho ragione, solo che la cosa non si è ancora affermata, ed è triste. Però la percentuale di strutture tradizionali scende e scende: la cosa mi rallegra e mi conforta.

(di Yvonne Staat e Birthe Homann per Beobachter.ch del 10-11-2011. Traduzione di Rosa a Marca)

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