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L’Europa deve imporre le sue scelte ad un mondo instabile. Appello
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Articolo di Redazione
18 novembre 2018 15:47
 
 Le elezioni del Parlamento europeo del prossimo maggio si svolgeranno in un contesto critico. Dieci anni di crisi hanno sconvolto un paesaggio così famigliare che sembrava immutabile. Messe a dura prova da una lunga serie di crisi, le società europee hanno pagato cari gli aggiustamenti che hanno dovuto fare per far fronte alle urgenze. Gli europei dubitano del percorso dell’Unione. Le nostre economie, malgrado il mercato unico, la libera circolazione e, in parte, la moneta unica, non convergono spontaneamente. Dei disequilibri profondi, legati alle nostre storie locai, alle nostre specificità produttive e alla diversità dei nostri compromessi sociali, ricordano che tutti gli europei non hanno gli stessi interessi, le stesse esigenze, e neanche le stesse urgenze.
La cattiva gestione della crisi dei rifugiati e dei problemi legati ai fenomeni migratori non ha fatto altro che aggravare la situazione, aprendo il campo a coloro che, cercando di trarre profitto da queste incertezze, sembrano pronti a rinunciare ai valori fondamentali dell’Unione europea.
Il sussulto europeo o la frammentazione
L’impreparazione, la lentezza delle decisioni, il rifiuto di applicare le regole decise insieme, hanno mostrato in modo evidente delle divisioni tra i Paesi membri. Ma anche peggio, il rifiuto di “Bruxelles”, cioè del progetto comune, diventa un potente argomento elettorale.
Ma intanto, l’Europa ha saputo evolversi mostrando la sua capacità di innovare pur con le avversità e di ritrovare la via delle decisioni politiche. Gli ultimi dieci anni non sono stati solamente una sequenza di “ultime possibilità”. La crisi dell’euro e quella dei rifugiati hanno mostrato una volontà di progredire nel coordinamento delle nostre scelte, dimostrando anche la solidità della dinamica europea.
Ora che dobbiamo eleggere il nuovo Parlamento europeo, la questione posta è quella della scelta tra il sussulto europeo o la frammentazione, tra il reinventarsi dell’Europa o la sua fine, preludio ad una decomposizione annunciata. La paralisi che domina il dibattito politico britannico è rivelatrice dell’illusione venduta dallo slogan grazie al quale in quel Paese sono tornati alle decisioni nazionali (“Take back control”). Le conseguenze di una chiusura dell’Unione sarebbero immense, non solo per il rischio che questa creerebbe sulla prosperità dei popoli che ne sono coinvolti, ma anche in virtù del nostro diventare progressivamente fragili rispetto al mondo esterno.
Nuovi rapporti
Il contesto mondiale è più pressante in modo particolare per i Paesi europei. La ritirata strategica e l’unilateralismo commerciale degli Stati Uniti, la crescita in potenza della Cina sul piano economico ma anche tecnologico e strategico, allertano gli europei sui nuovi rapporti di forza che si prefigurano a livello mondiale.
Tocca a noi imporre le nostre scelte per difendere il modello di sviluppo e di cooperazione che corrisponde ai nostri valori. Le sfide climatiche ed ambientali esigono maggiore cooperazione e un’intesa comune. Questa mutazione del sistema internazionale è un’occasione storica per prendere coscienza dell’esigenza ma anche della forza del progetto europeo.
E’ compito dei cittadini fare dell’Europa uno spazio sempre pià solido di cooperazione, di riconciliazione, di solidarietà, di giustizia. E’ venuto il momento di affermare con più forza la nostra volontà di essere insieme. Questo è il messaggio che vogliamo indirizzare con il Summit dei riformisti europei… che si tiene a La Sorbonne di Parigi il 17 novembre.

Yves Bertoncini è presidente del Mouvement européen-France, Gilles Finchelstein è direttore generale della Fondation Jean-Jaurès, Thierry Pech è direttore generale di Terra Nova, Dominique Reynié è direttore generale della Fondation pour l'innovation politique (Fondapol) e Bernard Spitz è presidente di Gracques.

(appello pubblicato sul quotidiano Les Echos del 16/11/2018)
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