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EUTANASIA E CONFESSIONI RELIGIOSE.
OVVERO: LA FEDE AMMETTE APPROCCI DIVERSI
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Articolo di Annapaola Laldi
1 dicembre 2003 0:00
 
La volta scorsa ho parlato di suicidio ed eutanasia dando voce a suggestioni e domande personali.
Oggi riprendo il tema, limitandolo all'eutanasia (che si porta dietro la riflessione sulle cure palliative e l'accanimento terapeutico), in chiave documentaria e propongo le posizioni di tre confessioni religiose -ebraica, cattolica e valdese- per mostrare come, anche nel segno di una salda fede religiosa, possono esservi approcci molto diversi a questa delicata materia. I documenti a cui attingo sono citati di volta in volta; l'indirizzo a cui li si puo' trovare e' comunque riportato in nota.
In un argomento che ci puo' riguardare cosi' da vicino, mi pare infatti essenziale poter accedere direttamente alla fonte di importanti pronunciamenti o riflessioni, che pero', purtroppo, non riusciamo mai a leggere con calma nella loro completezza e varieta'. I mass media italiani, infatti, di regola, si occupano delle cose solo quando "fanno notizia", il che vuol dire quando vi e' legata una fortissima emozione, e, anche allora, sul piano etico-religioso, danno spazio quasi esclusivamente alla voce della chiesa cattolica, riducendo a una sterile polemica tra cosiddetti "credenti" e cosiddetti "laici" quello che dovrebbe essere, con vantaggio di tutti, un serio e rispettoso confronto fra concezioni ed esperienze diverse, e tutte legittime, della realta' umana.
Un altro motivo che spinge verso una riflessione ben documentata e' il fatto che recentemente due Paesi dell'Unione Europea -i Paesi Bassi, di tradizione protestante, e il Belgio, a maggioranza cattolica- si sono dotati di leggi abbastanza simili che, a certe rigide condizioni, rendono legale la "morte assistita", mentre in altri Paesi il dibattito e' serrato. E il Parlamento europeo, per quanto potra' far slittare il confronto diretto su questa materia? E in Italia, quanti viaggi a Zurigo dovranno essere ancora compiuti e quante volte ancora tocchera' alla magistratura supplire alle lacune legislative prima che ci si decida ad affrontare il problema con umilta', realismo e rispetto reciproco?
Nella rassegna che sto per iniziare rispetto l'ordine di apparizione nella storia delle tre confessioni religiose.


LA POSIZIONE EBRAICA

A. EUTANASIA
Per quanto, come rileva rav Riccardo Di Segni, nel suo intervento su "Eutanasia e bioetica degli stati terminali" clicca qui, nell'ebraismo manchi un'autorita' centrale e quindi possano essere espresse sentenze e opinioni differenti specialmente nel caso di questioni particolari e nuove, tuttavia si riconosce unanimemente che "la Bibbia prescrive di non uccidere e impone a chiunque il sacro rispetto della vita umana". Da questo scaturisce l'affermazione che "nessuno e' padrone e puo' liberamente decidere non solo della vita altrui, ma anche della propria. "E cio' vale", aggiunge Di Segni, "anche quando si tratta di un malato terminale o gravemente sofferente".
Alla base di questa assolutezza vi e', esplicitamente ammesso, il timore che il concetto di santita' della vita venga relativizzato e si apra cosi' una breccia che potrebbe poi allargarsi ulteriormente.
Questo e' il motivo per cui "e' proibito ogni atto che possa accelerare la morte anche se si tratta di un processo irreversibile e imminente, e anche se per i medici non c'e' piu' alcuna speranza di vita, e anche se e' il malato stesso a richiederlo. Il medico non deve agire direttamente in questo senso, ne' deve consigliare al malato i modi per togliersi la vita da solo".
"NEL CONFLITTO DI INTERESSI TRA LA TUTELA DELLA SANTITA' DELLA VITA E L'ESIGENZA DI LIBERARE DALLA SOFFERENZA, QUEST'ULTIMA NON PUO' AVERE LA PREVALENZA".

B. CURE PALLIATIVE
Questo termine non compare esplicitamente nell'intervento di rav Di Segni, ma nella sostanza e' presente, quando dice che "I FARMACI ANTIDOLORIFICI SONO PERMESSI, ANCHE SE POSSONO AFFRETTARE LA MORTE, PURCHE' NON SIANO DATI A QUESTO SCOPO".

C. ACCANIMENTO TERAPEUTICO
Neppure questo termine e' presente nell'intervento di Rav Di Segni, il quale pero' ricorda che "curare non significa prolungare le sofferenze", e aggiunge: "Di qui l'importante distinzione: COSI' COME E' PROIBITO ACCELERARE LA MORTE DI UN INDIVIDUO, PARIMENTI PUO' ESSERE PROIBITO RITARDARLA CON MEZZI ARTIFICIALI... In altri termini, appare lecito rimuovere cio' che impedisce la morte, mentre e' illecito mettere in atto cio' che direttamente la affretta. La distinzione e' molto sottile e di difficile applicazione, per cui sono molte le precisazioni necessarie su problemi attuali. Un esempio riguarda le varie apparecchiature che tengono artificialmente in vita i pazienti nelle sale di rianimazione... ". La conclusione e' che "ogni situazione e' comunque un caso a parte e impone scelte difficili dal punto di vista etico-giuridico e sofferte per tutte le loro implicazioni umane".


LA POSIZIONE DELLA CHIESA CATTOLICA

A. EUTANASIA
Il 5 maggio 1980 la "Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede" (ex Sant'Uffizio) ha pubblicato la "Dichiarazione sull'Eutanasia" che resta ancora oggi il documento fondamentale sul tema, citato anche in piu' recenti interventi pontifici. In esso si da' la definizione del termine valida in questo contesto: "PER EUTANASIA S'INTENDE UN'AZIONE O UN'OMISSIONE CHE di natura sua, o nelle intenzioni, PROCURA LA MORTE ALLO SCOPO DI ELIMINARE OGNI DOLORE. L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati". Subito dopo si legge: "Ora e' necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno puo' autorizzare l'uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, puo' richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilita', ne' puo' acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorita' puo' legittimamente imporlo ne' permetterlo".
Pur ammettendo che un dolore prolungato e insopportabile induca "qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o a procurarla ad altri", tutto cio', tuttavia, secondo il documento vaticano, "NON MODIFICA LA NATURA DELL'ATTO OMIICIDA, CHE IN SE' RIMANE SEMPRE INAMMISSIBILE", perche' "si tratta . di una violazione della legge divina, di un'offesa alla dignita' della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l'umanita'". Al massimo, nel caso particolare, si potra' riconoscere la diminuzione o la cancellazione della responsabilita' personale.
Come rispondere, allora, alle eventuali suppliche dei malati gravi che talvolta invocano la morte? Ebbene, afferma il documento, esse "non devono essere intese come espressione di una vera volonta' di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto", e prosegue dicendo che "oltre le cure mediche, cio' di cui l'ammalato ha bisogno e' l'amore, il calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri".

B. CURE PALLIATIVE
Di cure palliative non si parla esplicitamente, ma si ammette l'uso degli analgesici. A questo punto ci si arriva seguendo una serie di riflessioni sul significato biologico del dolore fisico e soprattutto sul suo grande valore religioso. Pur ammettendo che "la morte, preceduta o accompagnata spesso da sofferenze atroci e prolungate, rimane un avvenimento che naturalmente angoscia il cuore dell'uomo", il documento vaticano sottolinea come, "SECONDO LA DOTTRINA CRISTIANA, IL DOLORE, SOPRATTUTTO QUELLO NEGLI ULTIMI MOMENTI DI VITA, ASSUME UN SIGNIFICATO PARTICOLARE NEL PIANO SALVIFICO DI DIO; e' infatti una partecipazione alla Passione di Cristo ed e' unione al sacrificio redentore, che Egli ha offerto in ossequio alla volonta' del Padre. Non deve dunque meravigliare se alcuni cristiani desiderano moderare l'uso degli analgesici, per accettare volontariamente almeno una parte delle loro sofferenze e associarsi cosi' in maniera cosciente alle sofferenze di Cristo crocifisso (cfr. Mt 27,34)". Detto questo, il testo fa una sensibile sterzata. Forse i suoi estensori si sono ricordati che il documento non e' rivolto solo ai cattolici, ma spera esplicitamente "di incontrare il consenso di tanti uomini di buona volonta', che, al di la' delle differenze filosofiche o ideologiche, hanno tuttavia una viva coscienza dei diritti della persona umana". Ed ecco allora avvertire che "NON SAREBBE TUTTAVIA PRUDENTE IMPORRE COME NORMA GENERALE UN DETERMINATO COMPORTAMENTO EROICO. Al contrario, LA PRUDENZA UMANA E CRISTIANA SUGGERISCE PER LA MAGGIOR PARTE DEGLI AMMALATI L'USO DEI MEDICINALI CHE SIANO ATTI A LENIRE O A SOPPRIMERE IL DOLORE, anche se ne possono derivare come effetti secondari torpore o minore lucidita'". A questo proposito, e' lecito assumere anche il rischio di accelerare la morte. L'importante pero' e' che la somministrazione degli analgesici avvenga non per indurre la morte, ma solo per lenire la sofferenza.

C. ACCANIMENTO TERAPEUTICO
Neppure questo termine figura nel documento, in cui si parla piuttosto di "USO SPROPORZIONATO DEI MEZZI TERAPEUTICI", affermando che e' lecito valutare i reali benefici che il malato puo' ricavare da terapie rischiose e dolorose. Nelle situazioni in cui i risultati deludono le speranze riposte nelle varie terapie, si dice che e' lecito interromperle, tenendo conto del "giusto desiderio dell'ammalato e dei suoi familiari, nonche' del parere di medici veramente competenti". E' anche "sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina puo' offrire". Il rifiuto di sottoporsi a determinate cure speciali "non equivale al suicidio; significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volonta' di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia e alla collettivita'". Infine, il documento osserva che "nell'imminenza della morte inevitabile nonostante i mezzi usati, e' lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi...".


LA POSIZIONE DELLA CHIESA VALDESE

A. EUTANASIA "L'EUTANASIA PUO' ESSERE DEFINITA in senso lato COME QUALSIASI ATTO compiuto da medici o da altri, AVENTE COME FINE QUELLO DI ACCELERARE O DI CAUSARE LA MORTE DI UNA PERSONA. QUESTO ATTO SI PROPONE DI PORRE TERMINE A UNA SITUAZIONE DI SOFFERENZA TANTO FISICA QUANTO PSICHICA che il malato, o coloro ai quali viene riconosciuto il diritto di rappresentarne gli interessi, ritengono NON PIU' TOLLERABILE, SENZA POSSIBILITA' CHE UN ATTO MEDICO POSSA, ANCHE TEMPORANEAMENTE OFFRIRE SOLLIEVO". Questa definizione, con diverse altre piu' specifiche (suicidio assistito, astensione terapeutica, ecc.), si trova nel documento di studio "L'eutanasia e il suicidio assistito" del 1998. Bisogna aspettare pero' fino al 2000 perche' il Sinodo approvi un documento, in cui, pur non comparendo il termine "eutanasia", anche di essa si parla. Esso e' intitolato "I problemi etici posti dalla scienza". Bisogna fare attenzione a questo titolo, perche', per limitarci al nostro argomento, e' proprio a partire dall'enorme potere della scienza, la quale oggi "puo' mantenere in vita un corpo che produce dolore senza piu' poter accedere a un senso della vita" (Doc. del 1998: 5.4), che si pone il problema di come morire con dignita'.
Per capire come si situa il problema dell'eutanasia nell'ottica di questa chiesa protestante, bisogna seguire il percorso logico esplicitato dal documento. In primo luogo, si osserva che "LE CHIESE NELLE LORO SCELTE ETICHE MUOVONO DALL'EVANGELO DI GESU' CRISTO, che apre diverse dimensioni e punti di riferimento variamente collegati tra di loro", si precisa quindi che "L'ETICA RICONOSCE E IMPIEGA IL CONCETTO DI RISPETTO, che si applica a ogni forma di vita e all'ambiente nella sua globalita', e contribuisce alla ricerca di soluzioni nei casi in cui gli interessi della comunita' umana confliggano con quelli di altre forme di vita", e infine si afferma che "INSIEME E IN RELAZIONE CON TALE NOZIONE DI RISPETTO, L'ETICA RICONOSCE E USA LA NOZIONE DI DIRITTO, AUTONOMIA E DIFESA DELLA PERSONA. LA LIBERTA' DELLA PERSONA NON PUO' ESSERE LIMITATA PER ASSERIRE PARTICOLARI VISIONI APPARTENENTI A TRADIZIONI FILOSOFICHE E RELIGIOSE. Dal diritto nasce pero' anche l'obbligo. Si afferma quindi il dovere della legge di porre limiti e obblighi, dove la liberta', lasciata a se stessa, metterebbe fuori causa le acquisizioni di giustizia e uguaglianza faticosamente elaborate e parzialmente realizzate dall'umanita'".
A questo punto si entra nel vivo del problema della sofferenza per dire che "la concezione etica qui adottata implica la lotta contro ogni male che affligge l'umanita'. VA RESPINTA L'IDEA DI UN VALORE INTRINSECO ALLA SOFFERENZA. La sofferenza, sia per le persone, sia per gli animali, puo' oggi essere fortemente ridotta e la medicina vi si deve impegnare senza esitazioni. L'ESSERE UMANO HA DIRITTO A UN ACCOMPAGNAMENTO ALLA MORTE, NONCHE' A UNA MORTE DIGNITOSA; su queste basi L'EVENTUALITA' DI UNA FASE TERMINALE DELLA MALATTIA, IN CUI LA TERAPIA NON SIA PIU' IN GRADO DI ALLEVIARE LE SOFFERENZE, RICHIEDE UNA RIFLESSIONE ALLA LUCE DEL PRINCIPIO DELLA LIBERTA' DI SCELTA DEL MALATO STESSO".
Non si trovano nel testo approvato nel 2000 alcuni punti che invece sono espressi con molta chiarezza negli altri documenti di studio del 1995 e del 1998.
Propongo dal documento del 1998 alcuni passaggi che mi sembrano degni di nota.
".uno degli argomenti ricorrenti contro l'eutanasia e il suicidio assistito e' quello della SACRALITA' E INTANGIBILITA' DELLA VITA. E' certamente vero che la vita rappresenta il valore supremo che va rispettato e salvaguardato come tale. TUTTAVIA E' LECITO CHIEDERSI CHE COSA SI INTENDE ESATTAMENTE E CORRENTEMENTE PER VITA. Esiste una condizione biologica, rappresentata dall'insieme delle funzioni biochimiche cellulari .. Queste funzioni .. sono fondamentalmente simili in tutti gli esseri viventi. CIO' CHE DISTINGUE LA VITA UMANA E' L'INSIEME DELLE ESPERIENZE, DELLE RELAZIONI CON LE ALTRE PERSONE, delle gioie, dei dolori e delle sofferenze, delle speranze nel futuro, delle attese, degli sforzi per rendere piu' degna e umana la vita. In altri termini, E' NECESSARIO DISTINGUERE LA VITA BIOLOGICA DALLA VITA BIOGRAFICA; quando la vita biografica cessa, come nel caso di uno stato vegetativo persistente, oppure divenga intollerabile, come nelle malattie terminali, deve essere presa in considerazione l'eventualita' di porre termine alla vita biologica" (4.4). E inoltre, ci si chiede, accettando la richiesta di un malato grave di morire, a chi si sottrae davvero potere: a Dio o alla medicina? (5.4).
A proposito, poi, "del timore che, una volta accettato il principio di non punibilita', si possa giungere ad abusi", gia' il documento di studio del 1995 faceva notare che proprio questo "timore di trovarci su un piano sdrucciolevole .. dovrebbe se mai stimolarci a elaborare delle regole precise e accettate dalla maggioranza, piuttosto che a negare assolutisticamente l'esistenza del problema" (n. 77-78), mentre un piu' recente testo (del 2002) prende atto che nei Paesi in cui e' ammessa, "la richiesta di eutanasia e di suicidio assistito e' statisticamente assai poco frequente".

B. CURE PALLIATIVE
Del loro uso, implicito nel documento del 2000, si parla invece con ampiezza in quello del 1995 (nn.61-66). Dopo aver ricordato l'origine latina del termine (da "pallium", mantello per dare l'idea di una protezione), si afferma che la medicina palliativa considera il malato come soggetto etico della terapia "pone fine all'accanimento terapeutico e combatte la tendenza della medicina curativa che si arrende e abbandona il malato quando verifica che da un punto di vista medico-scientifico 'non c'e' piu' nulla da fare'" (63), e, inoltre, "si sforza di dare 'qualita'' alla vita che ancora resta".

C. ACCANIMENTO TERAPEUTICO
Anche se il termine e' menzionato poco, tuttavia la riflessione dei Valdesi scaturisce proprio dall'osservazione di una realta' medica che, come gia' ricordato, "puo' mantenere in vita un corpo che produce dolore senza piu' poter accedere a un senso della vita" (Doc. del 1998: 5.4).
Nel documento di studio del 2002 si legge: "Tutte le società civili sono tenute a sviluppare e incoraggiare, anche con scelte legislative, le cure palliative, IL RIFIUTO DELL'ACCANIMENTO TERAPEUTICO e l'accompagnamento del morente, visti come atteggiamenti indispensabili per uno sviluppo della medicina che abbia come suo obiettivo principale la dignità della persona". Dove, accompagnamento del morente e' in primo luogo presenza partecipe, ascolto paziente, condivisione del suo dolore e delle sue preoccupazioni - tutte cose impedite dall'"intervento dirompente della tecnologia medica" che "priva quasi tutti gli esseri umani della possibilità di vivere la propria morte".


PER FINIRE
Come si vede, anche in Italia la discussione e' aperta, anche fra credenti. Le osservazioni da fare sarebbero diverse, ma, dato lo scopo puramente informativo di questo scritto, preferisco lasciare che ogni persona, che ha avuto la pazienza, ma anche l'interesse o almeno la curiosita', di arrivare fino qui, faccia le sue ... e, magari, dica la sua!



NOTA
1. Il testo di rav Riccardo Di Segni, e' come si legge in esso, un intervento a un convegno dell'Ordine dei Medici di Roma, di cui pero' non e' segnalata la data. Si trova in
clicca qui
2. Il documento della "Sacra Congregazione per la dottrina della fede" del 5 maggio 1980 si trova a questo indirizzo: clicca qui. Per rappresentare la posizione della chiesa cattolica ho preferito rifarmi a questo documento che da piu' parti e' segnalato come fondamentale.
Segnalo anche l'enciclica del 1995 "Evangelium Vitae" (nn.64-67) e il documento "Il rispetto della dignità del morente" del 2000 a cura della Pontificia Accademia "Pro Vita". Comunque ambedue si rifanno ampiamente al documento del 1980.
3. Tutti i documenti della Chiesa valdese si trovano in clicca qui (cliccare su "Sinodo" e poi su "Documenti").
Riepilogo di quelli che riguardano l'eutanasia:
1995: Bioetica: ricerca e orientamenti (da 61 a 79) (documento di studio);
1998: "L'eutanasia e il suicidio assistito" (documento di studio) (Il Sinodo del 1998 approvo' la diffusione di questo documento, di quello del 1995 e di un altro ancora sempre sui temi della bioetica "come elemento di pubblica discussione");
2000: "Problemi etici posti dalla scienza" (approvato dal Sinodo del 2000);
2002: "A Proposito di eutanasia", presentato al Sinodo e al pubblico nell'agosto 2002 (documento di studio).
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