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(Il) fine della finanza
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Articolo di Alessandro Pedone
6 giugno 2012 16:05
 
Un'altra finanza è possibile, ma certamente un'altra Bocconi già esiste.
Ho letto molti libri sulla crisi finanziaria, le sue motivazioni e le possibili soluzioni, ma il libro "Fine della finanza", Donzelli editore, di Massimo Amato e Luca Fantacci (due professori di storia dell'economia alla Bocconi di Milano) è l'unico che va realmente al cuore del problema:  (1) l'attuale concetto di moneta e (2) la finanza strutturata come mercato della moneta-merce.
Le idee proposte dai due professori della Bocconi non fanno parte del mainstream degli economisti del quale la Bocconi si può considerare una sorta di tempio.
Da secoli, ormai, gli economisti ortodossi non si fanno più le domande fondamentali su quale sia il fine dell'economia e cosa siano propriamente il credito e la moneta. Sembrano domande troppo scontate. La prospettiva degli storici, invece, permette un'apertura mentale sconosciuta agli economisti ortodossi.
La moneta così come la conosciamo da circa 300 anni non è affatto l'unico modo possibile di organizzare gli scambi commerciali. Una moneta che riassume in sé sia la funzione di scambio, sia la funzione di riserva di valore (quindi di accumulo) non è affatto una legge della natura immodificabile. Non siamo condannati a periodiche crisi economiche, sono le regole attuali - a partire dal funzionamento della moneta - che producono queste crisi.
Certo, le ragioni più superficiali della crisi del 2008, si possono ricercare nella deregulation del settore finanziario ed in particolare sulle mancate regole relative ai derivati. Le ragioni più superficiali della crisi attuale si possono ricercare nell'errata progettazione iniziale dell'Euro ed in particolare di un'area monetaria nella quale la banca centrale non è il prestatore di ultima istanza per i debiti pubblici. Tutto vero, ma sono analisi superficiali.
Il vero problema, quello strutturale, è la moneta, come la conosciamo oggi, la quale racchiude in sé sia la funzione di riserva di valore, sia la funzione di mezzo di scambio. Ciò rende impossibile fare una politica monetaria efficace. Il valore sta nelle cose, non nel denaro. La moneta è un mezzo, se diventa una merce (cioè, economicamente, un "fine", grazie al fatto che assolve alla funzione di riserva di valore) allora la moneta diventa di fatto ingovernabile. Si può tentare, come hanno fatto (e fanno) le banche centrali, di alzare o abbassare i tassi d'interesse, di immettere o togliere moneta, ma la decisione di far circolare la moneta o tesaurizzarla (cioè usarla come riserva di valore) sarà sempre una variabile fuori controllo.
Il secondo dogma indiscutibile e indiscusso della finanza attuale è quello della liquidità. La finanza è diventata sempre di più quel mercato (si parla, infatti, di mercati finanziari) nel quale si vende quella particolarissima merce che è la moneta-accumulata a quel particolarissimo prezzo che si chiama tasso d'interesse. E' ovvio che se il rapporto debitore-creditore viene trasformato in una merce con l'obiettivo primario di rendere questo rapporto liquido (cioè alienabile in qualsiasi momento in cambio della "preziosa" moneta riserva di valore) si creano i presupposti per avere una crisi di liquidità. Come scrivono Amato e Fantacci, la crisi di liquidità che abbiamo vissuto più volte (e stiamo vivendo oggi) andrebbe più accuratamente analizzata come la crisi della liquidità, ovvero come la dimostrazione che il totem della liquidità come principio fondante dei mercati finanziari va completamente rivisto.
A ben vedere il totem della liquidità è nient'altro che un inganno. Il rapporto fra creditore e debitore implica un'incertezza ineliminabile. Attraverso i mercati finanziari si tenta di trasformare questa incertezza in rischio calcolabile fino quasi a farlo scomparire o, quantomeno, a trovargli una "giusta" misura che consiste nella remunerazione fornita dal tasso d'interesse. Ma la verità è che il rapporto debitore-creditore non è rischio in senso matematico, cioè non è matematicamente modellabile. Attiene più al campo dell'incertezza che non a quello del rischio calcolabile.
Accade, quindi, di tanto in tanto, che l'illusione della liquidità si manifesti per quello che è, appunto, una mera illusione ed i mercati sono vittime di crisi di liquidità.
La soluzione definitiva a questo problema non può essere quella di immettere moneta del sistema (tanto più che questa è una moneta sbagliata, una moneta-riserva-di-valore).
Per comprendere appieno questo aspetto dobbiamo cercare di comprendere quale sia il vero scopo della finanza.
Amato e Fantacci ci ricordano che l'etimologia della parola "finanza" è "definizione amichevole di una controversia" e deriva da FINARE, terminare, concludere, ovvero da FINIS, fine, conclusione. Lo scopo della finanza, quindi, è quello di consentire la conclusione, la fine, del rapporto debitore-creditore. La fine, consiste nel pagamento. Pagare, etimologicamente significa "fare la pace", placare, rendere quieti, da cui anche il termine "quietanza" che il creditore rilascia al debitore.
Attraverso il totem, l'illusione, della liquidità si sono creati una serie di debiti pensati per non essere mai ripagati. Che cos'è, infatti, la moneta così come la conosciamo oggi se non un debito emesso per non essere mai ripagato? E che cos'è il debito pubblico, se non un debito emesso per non essere mai ripagato, ma sempre rinnovato? Come potrebbero mai operare le banche di oggi se non rinnovando continuamente i propri debiti? Lo stesso si può dire di molte multinazionali che possono continuare ad esistere solo grazie alla apparente "certezza" che potranno sempre rinnovare il loro debito, di fatto, non pagandolo mai.
La finanza di oggi, a ben guardare, è una contro-finanza. Uno strumento fondato sul dogma della liquidità che serve a scindere il più possibile il rapporto fra debitore e creditore e consentire, di fatto, di non pagare mai i propri debiti, ma rinnovarli in continuazione.
Immettere nuova moneta-riserva-di-valore quando i mercati finanziari entrano in crisi di liquidità, significa chiaramente perseverare in questo errore.
Il vero scopo della moneta, quindi, è quello di consentire lo scambio dei beni e servizi.
Il vero scopo della finanza è quello di consentire l'accensione e (soprattutto!) l'estinzione dei crediti.
E' possibile realizzare questi scopi con una diversa moneta ed una diversa finanza?
La risposta è senza dubbio affermativa.
Un'altra moneta è possibile e un'altra finanza è possibile. La storia ha molto da insegnarci.
Amato e Fantacci, da ottimi storici, ci propongono soluzione che non sono, ovviamente, mere ripetizioni di ciò che è accaduto in passato, bensì correzioni degli errori insiti nel modello attuale (errori ai quali abbiamo qui solo accennato e che sono ben sviscerati nel libro).
Buona parte delle soluzioni proposte da Amato e Fantacci derivano da una profonda interpretazione del pensiero di Keynes piuttosto distante dalle steriotipate "politiche keynesiane".
La realtà, infatti, è che le vere poltiche keynesiane non sono mai state né applicate né, forse, realmente proposte se non, senza successo, dallo stesso Keynes.
Il contributo proposto da Amato e Fantacci in questo libro, a nostro modesto avviso, è realmente notevole. Sarebbe auspicabile che si aprisse un serio dibattito culturale del quale, fino ad oggi, purtroppo, non si sono intravisti neppure i primi spiragli.

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