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Le foto che cambiano il mondo, lo cambiano veramente?
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Articolo di Redazione
4 settembre 2015 9:55
 
 La foto di Aylan Shenu, rifugiato siriano morto annegato, s'iscrive nella tradizione dei chiché dove l'infanzia cristallizza i drammi umanitari. Immagini che spesso accompagnano cambiamenti piu' che provocarli.
Le immagini che “cambiano il mondo” lo hanno veramente fatto? E l'immagine di Aylan Shemu, un bimbo siriano il cui corpo e' stato portato dal mare su una spiaggia turca, “risvegliera' le nostre coscienze”?
Ma non rischia di proiettare con questa immagine un potere che non ha? Storicamente rinvia ad altre icone, altri drammi: pensiamo, per esempio, alla foto di Kim Phuc, bimbo vietnamita, vittima di una bomba al napalm, che piange nudo davanti all'obiettivo di Nick Ut. L'8 giugno 1972, questo fotografo dell'Associated Press, cattura il momento in cui due aerei dell'esercito sud-vietnamita avevano bombardato, per errore, una pagoda dove si trovano dei loro connazionali. Il giorno dopo, il New York Times pubblica la foto in basso a sinistra della sua prima pagina, mentre altri giornali esitano, essenzialmente in virtu' della nudita' in primo piano dell'immagine. Il 12 giugno. La foto e' pressocche' ovunque, e il presidente Richard Nixon dubita della sua veridicita'. Lo scatto dara' al suo autore un premio Pulitzer nel 1973, e diventera' il simbolo dell'ingiustizia di questo conflitto.
Pensiamo anche alla foto, ripresa in Sudan nel 1993 da Kevin Carter, di un bambino piegato, un avvoltoio accanto a lui, nel momento in cui dilagava la fame e la guerra civile. Nel 1994, questo scatto e' valso anch'esso un Pulitzer al suo autore, che si e' poi suicidato lo stesso anno.
Queste immagini sono diventate icone. Nel 2011, un'inchiesta ha pertanto concluso che la seconda di queste immagini aveva provocato eccessive interpretazioni. Non solo, la bambina era in effetti un ragazzo, ma era anche, al momento dello scatto, gia' assistito da Médicins du Monde. Esso sopravvisse alla fame, ma non al paludismo, motivo per cui mori nel 2007.
Della foto di Kim Phuc, si dice abitualmente che e' stata un grilletto nella decisione dell'amministrazione Nixon di porre fine alla guerra del Vietnam. Ma, purtroppo, non e' proprio come sembra, dice André Gunthert, ricercatore di storia visuale alla Scuola di Alti Studi Sociali di Parigi. In realta', sostiene, “un'immagine icona accompagna un cambiamento che e' gia' in fieri”.
Quando l'Associated Press diffuse la foto di Kim Phuc, l'opinione americana era gia' sulla strada per ribaltare la propria opinione sulla fine della guerra in Vietnam.
Un momento di ribaltamento
La foto di Aylan Shenu, pubblicata dall'agenzia Reuters, e' molto documentata (si conosce il nome del bimbo, la sua storia, la sua famiglia....) e anch'essa sembra essere un momento di ribaltamento. Nel momento in cui i rifugiati muoiono nel mare Mediterraneo da diverso tempo (ne sono stati contati 3.500 l'anno scorso, piu' di 2.000 dall'inizio di questo anno) essa e' scattata e pubblicata nel momento in cui, in Germania, Angela Merkel manifesta una volonta' politica di accoglienza che fa piazza pulita delle reticenze francesi. In Gran Bretagna, dove diversi quotidiani l'hanno pubblicata in prima pagina, compressi quelli che abitualmente perorano per il rifiuto dei rifugiati- l'opposizione all'intransigenza politica di David Cameron si e' fatta piu incalzante.
Soprattutto, dice André Gunthert, la foto si ascrive “in una grammatica visuale coscientemente sfruttata dalla fotografia umanitaria da piu' di un secolo”: quella del bambino vittima. Kim Phuc la Vietnamita, la piccola Sudanese affamata, ma anche il giovane Mohammed al-Durah, caduto sotto il fuoco israeliano davanti ad una telecamera di France2: ogni volta, la presenza di un bimbo ricorda che “il problema riguarda l'umanita' nel suo complesso”.
“Queste immagini vengono fuori in un momento preciso, che corrisponde ad una manifestazione delle dimensioni morali”, sottolinea André Gunther. Quello che i media non si permettono di scrivere, lo dice un'immagine al loro posto. O piuttosto, essi lo fanno dire all'immagine.
Poiche' il recepimento di queste immagini, subito interpretate come simboli dei drammi di cui esse fanno parte, “si appoggia su una cultura visuale molto vecchia”, dice André Gunther, aggiungendo che “per produrre un'immagine leggibile, bisogna limitare l'informazione”. Questo bimbo morto su una spiaggia potrebbe, fuori del suo contesto, essere annegato per altri motivi. Ma ognuno ha subito capito cosa aveva ucciso Aylan Shenu, ed ha potuto constatare che questa foto significava la sconfitta della politica migratoria europea.
Ma non e' sempre cosi'. Nel 2014, numerose foto avevano gia' mostrato l'orrore della guerra in Siria, senza pertanto provocare uno choc di una reazione internazionale. I problemi di un conflitto difficile da comprendere, dove i ruoli tra buoni e cattivi non sono cosi' chiaramente definiti, ma anche... un troppo grande numero di immagini!Ogni giorno negli Stati Uniti, 4.000 fotografie sono pubblicate ogni secondo”, spiega Fred Ritchin, decano della scuola del Centro Internazionale della Fotografia. “Non si sa piu' dove guardare. Durante la guerra in Vietnam, una fotografia poteva essere ritrovata sulla prima pagina e restarvi per una giornata intera, le persone ne parlavano. Oggi, sui siti Internet, le fotografie restano alcuni minuti prima di essere rimpiazzate da un'altra immagine”.
Tweetter, acceleratore
Un anno dopo, la foto di Aylan Shenu, che non e' la prima che mostra le sofferenze dei bimbi rifugiati, e' riuscita ad imporsi sulla stampa, essenzialmente perche' quest'ultima e' massicciamente presente sulle reti sociali. “Tweetter ha acquisito una funzione di accelerazione e di validazione nella selezione delle icone”, dice André Gunther. Impossibile per i media ignorare un'immagine condivisa massivamente sulle reti sociali, cristallizzante il giudizio morale di una parte dell'opinione. Ma impossibile anche non notare che questa foto, giustamente in virtu' della sua dimensione molto simbolica, permette ad ognuno di proiettarvi cio' che vuole. Quello che consente ad un Eric Ciotti, deputato dei Repubblicani che difende da diversi mesi una politica migratoria intransigente per il respingimento dei rifugiati qualificandoli come clandestini, di far circolare un tweetter con la propria “nausea di fronte alla mancanza di iniziativa della comunita' internazionale”.

(articolo di Franz Durupt, pubblicato sul quotidiano Libération del 04/09/2015) 
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