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La giustizia è in crisi, specie in questi tempi di pandemia
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Articolo di Redazione
16 novembre 2020 8:39
 
 Un’antica ma sempre attuale storia narra che un anziano giudice era abituato a rendere giustizia e a pronunziare sentenze sotto il noce fronzuto al centro del suo paese, alla buona ma non per questo in modo meno efficace.
Un giorno il giudice si fece accompagnare sotto l’albero dal nipotino. Venne chiamato il primo dei contendenti, il quale espose le sue ragioni e richieste; il giudice lo congedò dicendogli: «Hai ragione, vai tranquillo». Al secondo contendente, l’avversario del primo, toccò la stessa sorte: espose le sue ragioni e venne congedato dicendo anche a lui: «Hai ragione».
A quel punto il nipote, che aveva ascoltato assorto, alzò la testa e chiese al giudice: «Nonno, come possono aver ragione tutti e due?» Il giudice, senza turbarsi, ci pensò un po’ e poi gli rispose: «Hai ragione anche tu».

Questa storia – tanto semplice all’apparenza quanto profonda e attuale nel suo significato – ha segnato l’evoluzione della mia formazione e del mio modo di pensare, via via che crescevo. Quando all’inizio del mio percorso culturale, istituzionale e professionale sono entrato nella “selva oscura” del diritto, nell’alternativa tra il dubbio e la certezza ho scelto quest’ultima senza esitazione. Era l’obiettivo da raggiungere.

Era un traguardo che ispirava sicurezza, soprattutto in un campo minato come quello del diritto penale, l’extrema ratio delle regole da proporre e da seguire – anche con l’impiego della forza, se necessario – per assicurare le basi della convivenza e del rispetto reciproco.

Questo bisogno di certezza e le istanze che la fondano erano per me una ragione sufficiente per sottovalutare i rischi di dogmatismo, di autoritarismo, di staticità che il raggiungimento effettivo o apparente della certezza porta con sé, soprattutto nel mondo del diritto.

Quei rischi erano nascosti da una serie di vantaggi, come l’utopia dell’uniformità delle soluzioni che la legge da applicare propone (anzi, impone!). Come l’utopia della eguaglianza e della stabilità dei risultati in cui si traduce la legge, attraverso la sua applicazione da parte di un giudice chiamato soltanto a interpretarla e non a crearla.
 Come l’utopia della saggezza di una legge che nasce dal confronto tra maggioranza e opposizione, in quanto espressione di democrazia, di ricerca di eguaglianza e di rispetto dei diritti dei singoli e delle minoranze, nel momento in cui si affermano le scelte della maggioranza.

Insomma, la certezza del diritto e della sentenza (una volta diventata definitiva) era garantita sia dalla maestà e dalla sovranità della legge, sia dalla facilità e quindi dalla celerità e dalla semplicità (a parole) del percorso per arrivare alla affermazione della legge mediante la sua applicazione al caso concreto.

Via via che quel percorso progrediva, attraverso una serie di esperienze culturali e operative – vissute come giudice, professore, avvocato, ministro della Giustizia e infine come giudice costituzionale – mi sono reso conto che in realtà era un percorso per nulla facile. Soprattutto, mi sono reso conto che era destinato molto di più ad alimentare l’approfondimento del dubbio che la soddisfazione (o meglio l’acquiescenza) della certezza.

Il processo penale è un cammino dal dubbio alla certezza, ed è regolato sotto molteplici profili. Per sciogliere l’alternativa fra colpevolezza e innocenza, si deve passare dalla formulazione del giudizio storico sul fatto a quella del giudizio valutativo sulla regola, attraverso il confronto fra i due e la possibilità di iscrivere il fatto (con la sua specificità) nello spazio di applicabilità della regola (con la sua genericità).
L’intreccio tra i due momenti del giudizio (storico e valutativo) è inscindibile, nonostante la tentazione di separarli per uno schematismo di comodo: prima la ricostruzione del fatto; poi la valutazione del diritto.

[articolo pubblicato su Linkiesta del 16/11/2020 - da “Giustizia in crisi (salvo intese). Leggi, giudici, processi e carcere di fronte alla pandemia”, di Giovanni Maria Flick, Baldini + Castoldi, 2020]
 
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