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HIV e AIDS. Lo stato della normativa e della giurisprudenza in materia di lesioni volontarie e contagio da infezioni a trasmissione sessuale
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Articolo di Fabio Clauser
21 ottobre 2017 9:59
 
É quasi giunto al termine il processo di primo grado dinnanzi alla Corte di Assise che vede imputato Valentino Talluto, accusato di avere contagiato numerose persone con l'HIV.
Gli addebiti sono gravissimi e vanno dalle lesioni volontarie al reato di epidemia, punito con l'ergastolo.
La tematica appare di particolare interesse, stante l'assenza di una normativa che regolamenti gli specifici doveri di una persona HIV positiva e, più in generale, del portatore di una malattia sessualmente trasmissibile.
In relazione al virus HIV lo stato dell'arte in Italia sembra essere, quanto meno dal punto di vista della sanità, sufficientemente avanzato.
La normativa di settore impone che il test per individuare l'HIV sia eseguito a richiesta dell'interessato e in forma anonima, oltre che gratuita.
Le ragioni di tale previsione vanno oltre alla mera tutela della privacy del soggetto contagiato e paiono indispensabili per favorire l'accesso alle analisi da parte di soggetti che abbiano tenuto comportamenti a rischio: mirano, dunque, alla massima diffusione del test.
Viene pertanto favorito un monitoraggio del fenomeno su scala nazionale: l'analisi dei dati che ne deriva non è meramente statistica, ma è finalizzata anche ad eventuali interventi di prevenzione.
In particolare, dal 2008, il contagio da HIV (e non più i soli casi di AIDS conclamata) è stato inserito fra le malattie infettive oggetto di comunicazione obbligatoria da parte del personale medico al Ministero della Sanità: la gestione di tali dati viene effettuata in modo anonimo.
Le raccomandazioni per il personale sanitario (previste dal Decreto Ministeriale del 31.3.2008) prevedono che al soggetto che si sottopone alle analisi venga assicurato un corretto approccio di counselling sia in caso di test negativo, sia in caso di test positivo.
Nel primo caso saranno consigliabili, ad esempio, spiegazioni sia in ordine ai comportamenti a rischio ed alle precauzioni da tenere, sia in ordine al c.d. periodo finestra (periodo durante il quale il test risulterà negativo anche in caso di contagio avvenuto).
Nel secondo caso l'assistenza dovrà certamente essere più pregnante e dovrà essere l'occasione per avvicinare i pazienti ai Centri Specializzati e quindi alla cura dell'infezione.
Per quanto riguarda poi i comportamenti che il soggetto consapevole di aver contratto il virus deve tenere, si aprono gravi problematiche anche in relazione alle altre infezioni a trasmissione sessuale.
Si ritiene, invero, che gli obblighi non possano essere particolarmente gravosi, poiché ne potrebbe derivare un rischio di allontanamento dei soggetti infetti dalle strutture specializzate con evidenti conseguenze sul rischio di diffusione del virus.
La descrizione del comportamento che deve essere tenuto, in assenza di una specifica regolamentazione normativa, è sostanzialmente affidata al codice penale ed alla sua applicazione da parte della giurisprudenza.
È ormai pacifico che il mero contagio da HIV debba essere ritenuto malattia giuridicamente rilevante ai fini della configurabilità del reato di lesioni, anche nel caso in cui non ne sia derivata la degenerazione in AIDS conclamata (degenerazione che allo stato della scienza può essere scongiurata dalla costante assunzione dei farmaci c.d. antiretrovirali).
L'infezione non è infatti debellabile e comporta: la necessità di un continuo trattamento farmacologico, la riduzione della durata della vita e la compromissione dell'organo della riproduzione (divenuto un veicolo di trasmissione del virus al concepito).
L'unica condotta richiesta alla persona infetta da HIV, o da altre malattie a trasmissione sessuale, in caso di rapporti, è, in sostanza, quella di utilizzare il preservativo al fine di evitare il contagio.
In tal caso non è previsto, né dalla normativa in vigore, né dalla giurisprudenza, un dovere di informazione al partner sul proprio stato di salute.
Nel caso in cui il rapporto avvenga, invece, senza le dovute precauzioni e si verifichi il contagio, il soggetto potrà essere chiamato a rispondere di lesioni dolose aggravate per aver accettato il rischio della trasmissione della malattia quale possibile prezzo di un risultato desiderato (Corte di Cassazione Sezione V n. 23992/2015).
In altre parole è richiesto che colui il quale ha trasmesso l'infezione per via sessuale abbia semplicemente voluto proprio il contagio o abbia comunque manifestato una qualche adesione all'evento per il caso che esso si (verificasse) quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta (Corte di Cassazione Sezioni Unite, n. 38343/2014).
In caso contrario potrebbe comunque essere contestato il reato di lesioni colpose.
Nell'ipotesi di rottura del preservativo la informazione tornerebbe (ad avviso di chi scrive) ad essere doverosa: la ricerca scientifica – con riguardo al virus HIV - ha portato alla diffusione di farmaci antiretrovirali che, se assunti entro le 24 ore dalla esposizione al virus, consentono di evitare il contagio.
In tale ipotesi, la omessa comunicazione al partner del rischio di trasmissione e della possibilità di evitarlo potrebbe integrare il reato omissivo di lesioni, quanto meno colpose.
Nel caso di rapporti occasionali la persona affetta da HIV dovrebbe in ogni caso avvalersi del servizio di partner notification e contact tracing, che consentono all'operatore sanitario, autorizzato dalla persona HIV+ interessata, di contattare il/i partner al fine di metterli al corrente del rischio corso, senza rivelare identità della persona HIV (dal sito Web del ministero della Salute).
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