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Immigrato da minore a maggiorenne: conversione permesso soggiorno
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20 novembre 2011 13:50
 
Dopo l’ennesimo cambiamento di rotta da parte del legislatore, torniamo ad occuparci della possibilità per gli stranieri di convertire, al compimento dei diciotto anni, il proprio permesso di soggiorno per minore eta’ in un permesso per motivi di studio, di lavoro o di accesso al lavoro.

Abbiamo visto come il legislatore nel 2009 abbia apportato una prima sostanziale modifica al testo dell’art. 32 del Testo Unico in materia di Immigrazione, invertendo l’impostazione ormai consolidata anche nella giurisprudenza di merito e di legittimita’, secondo cui i requisiti della partecipazione ad un progetto di integrazione per almeno due anni e della presenza in Italia da almeno tre anni venivano richiesti, ai fini della conversione, soltanto ai minori non accompagnati. Il pacchetto sicurezza, infatti, muovendosi in senso contrario rispetto alla pronuncia della Corte Costituzionale del 2003, ha esteso l’applicazione di tali requisiti anche ai minori affidati in base alla legge 184/1983 o sottoposti a tutela.

Ben presto si sono presentati i primi problemi, legati alla possibilita’ o meno di convertire il permesso di soggiorno di quei minori affidati, gia’ presenti in Italia e con sedici anni gia’ compiuti alla data dell'entrata in vigore del pacchetto sicurezza, i quali si trovavano quindi nell’impossibilita’ temporale di adempiere alle richieste della nuova normativa prima di raggiungere la maggiore eta’. L’oscura formulazione della norma ha portato i vari tribunali amministrativi a pronunciarsi in modo contrastante fra loro, talvolta dando ragione al ricorrente che si era visto negare la conversione, talaltra dandogli torto in base al principio del tempus regit actum.

La questione ha trovato finalmente pacificazione in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale del 21 luglio 2011, chiamata a pronunciarsi sulla legittimita’ costituzionale dell’art. 32 del Testo Unico, cosi’ come riformulato nel 2009. La Corte ha tuttavia fornito, in tale occasione, un’interpretazione molto restrittiva della norma in questione, chiarendo che:
- i requisiti della partecipazione al progetto di integrazione e della presenza in Italia da tre anni sono da intendersi estesi non soltanto agli affidati di fatto ai parenti entro il quarto grado e ai sottoposti a tutela (come poteva sembrare dalla formulazione della norma), bensi’ a tutti gli stranieri comunque affidati in base alla legge n. 184/1983, che vengono quindi equiparati senza possibilita’ di distinzione;
- tale estensione operata dal legislatore deve ritenersi ragionevole, visto che si tratta in ogni caso di minori che non convivono con i propri genitori;
- i nuovi requisiti non possono tuttavia applicarsi legittimamente agli stranieri che in questa fase di “transizione” fra due discipline si sono trovati, senza loro colpa, nell’impossibilita’ materiale di soddisfare tali requisiti prima di compiere diciotto anni.
I tribunali amministrativi stanno pertanto accogliendo le richieste di chi, trovatosi a cavallo fra le due discipline, ha ricevuto un rigetto ed ha deciso di impugnarlo.

In ogni caso, la chiarezza raggiunta si e’ rilevata soltanto momentanea. Gia’ dal mese di giugno, infatti, il legislatore ha cominciato a rimettere mano all’art. 32, con il d.l. 89/2011 poi convertito in l. 129/2011, in vigore dal 2 agosto. Ecco la nuova formulazione dell'art. 32, comma 1-bis: “Il permesso di soggiorno ... può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età ... ai minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 del presente testo unico, ovvero ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile ...”
Questa dizione, se possibile ancor piu’ criptica della precedente, sembra delineare una distinzione far tre diverse categorie di stranieri minori:
1) minori affidati ex art. 2 l. 184/1983, che parrebbero poter ottenere la conversione senza problemi;
2) minori sottoposti a tutela, che possono ottenerla soltanto previo parere positivo del Comitato per minori stranieri;
3) minori non accompagnati (categoria nella quale rientrerebbero anche gli accompagnati di fatto ai parenti entro il quarto grado), che hanno invece l'obbligo di frequentare il progetto di integrazione e devono trovarsi in Italia da almeno tre anni.

Ci si domanda quali problemi interpretativi e applicativi potranno sorgere nel prossimo futuro da questa nuova formulazione, estremamente oscura e poco comprensibile anche agli esperti del settore. Preoccupante a tal proposito il fatto che lo scorso 10 ottobre la Direzione Centrale Immigrazione, Dipartimento della Pubblica sicurezza presso il Ministero dell’Interno abbia inviato al Comitato per i minori stranieri presso il Ministero del Lavoro una lettera dalla quale si evince chiaramente la confusione in cui vertono le autorità chiamate ad applicare l'art. 32.
Nella sua richiesta di chiarimenti e di linee guida univoche per gli Uffici Territoriali, la Direzione Centrale Immigrazione mostra infatti di non avere affatto chiara la distinzione fra le categorie di minori di nuovo conio, e di non aver ben compreso chi debba effettivamente partecipare al progetto di integrazione sociale e civile

Non resta che attendere le prime pronunce dei tribunali amministrativi, per scoprire se nelle loro aule regna una maggiore certezza.
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