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Immigrazione. Espulsione e divieto di reingresso in Italia
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Articolo di Emmanuela Bertucci
27 settembre 2015 15:27
 
 Il cittadino straniero extracomunitario espulso dal territorio dello Stato italiano non può farvi rientro per un determinato periodo di tempo, che puo' andare da tre a cinque anni (cosiddetto “divieto di reingresso” - prima dell'entrata in vigore del D.L. 89/2011 il divieto di reingresso aveva una durata di dieci anni), e che puo' superare i cinque anni solo in caso di espulsione per pericolosita'.

Questo termine inizia a decorrere non gia' dalla data del provvedimento di espulsione ma dalla data - documentata - di uscita dall'Italia. Poniamo il caso di una espulsione comminata nel 2012, con un divieto di reingresso per tre anni, ma eseguita spontaneamente dallo straniero solo nel 2014. In questo caso il divieto di reingresso sara' operativo fino al 2017.

La prova della effettiva uscita dal territorio italiano e' a carico dello straniero, tramite l'attestazione costituita dal timbro di uscita richiesto alla polizia di frontiera o con ogni altro documento comprovante l'assenza dello straniero dal territorio dello Stato

Cosa fare una volta che il termine e' decorso? Si puo' “semplicemente” tornare in Italia?

Alla fine del periodo di divieto occorrera' presentare, alla rappresentanza diplomatica italiana nel proprio Paese, una istanza di aggiornamento degli archivi Schengen e degli archivi di polizia italiani, provando (prova a carico dello straniero) che si e' stati all'estero. La rappresentanza diplomatica italiana inoltrera' la documentazione al Ministero dell'Interno - Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, che, verificata la sussistenza dei requisiti, richiederà alle Questure gli aggiornamenti degli archivi di polizia e dell’archivio Schengen.

Riteniamo che la presentazione di questa istanza sia indispensabile nel senso che, in mancanza di aggiornamento degli archivi, una qualunque ulteriore richiesta di ingresso (per motivi di lavoro tramite flussi, per motivi di turismo, ecc.) correrebbe il rischio di essere rigettata. E cio' perche' spetta allo straniero provare che il termine e' effettivamente decorso e che quindi e' conseguentemente venuto meno il divieto. Attivare la procedura di aggiornamento dei dati e' allora importante per evitare dinieghi di ingresso che poi dovrebbero essere impugnati innanzi all'autorita' giudiziaria italiana.

E' inoltre possibile presentare, nel periodo in cui il divieto e' ancora operativo, una richiesta di autorizzazione al reingresso anticipato, indirizzata al Ministero dell'Interno. Si tratta di una autorizzazione altamente discrezionale, possibile in casi particolari non predeterminati dalla legge; per questi motivi e' opportuno documentare quanto piu' possibile le ragioni per le quali si chiede il reingresso anticipato. Il procedimento amministrativo deve concludersi entro 180 giorni e, in caso di diniego dell'autorizzazione ministeriale, il cittadino straniero potra' presentare ricorso al TAR Lazio oppure, in caso le motivazioni della richiesta attengano al diritto all'unita' familiare, al tribunale ordinario.

Ancora diverso e' il caso della revoca dell'espulsione - e conseguentemente del divieto di reingresso - che lo straniero puo' chiedere in caso di mutamento della situazione di fatto e/o della condizione dello straniero (art. 21 quinquies, legge 241/1990).
L'istanza va presentata al Prefetto che aveva emanato il provvedimento di espulsione, documentando puntualmente le circostanze sopravvenute (ad esempio il matrimonio con cittadino italiano), e l'eventuale diniego va impugnato davanti al Giudice di pace.

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