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Immigrazione e sanatoria 2012 -Il Ministero ci ripensa, dinieghi illegittimi: possibile il riesame delle domande
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Articolo di Emmanuela Bertucci
1 luglio 2015 12:05
 
  A quasi tre anni di distanza dalla chiusura della sanatoria 2012 (art. 5 D. lgs. 109/12), una circolare del Ministero dell'Interno riapre le speranze per stranieri e datori di lavoro che si erano visti rigettare la propria domanda.

La questione e' partita da Brescia - quarta provincia per numero di domande di sanatoria ricevute (sul podio Milano, Roma e Napoli) - dove la percentuale di rigetti e' stata altissima: quasi l'80%. A livello nazionale, i dati statistici reperibili si fermano al numero di domande presentate (134.576 domande al 17 ottobre 2012) e al numero di domande accolte al 16 aprile 2013 (23.255 domande), non ci sono pero' dati ufficiali sulla chiusura della sanatoria.

Troppi rigetti, interpretazioni troppo restrittive della norma da parte delle Prefetture, e cosi' intervengono il Consiglio di Stato (parere n. 395/2015 del 1 aprile 2015) e il Ministero dell'Interno – Dipartimento delle libertà civile e l’immigrazione (circolare del 4 maggio 2015) a cercare di porre rimedio.

La circolare rimette, infatti, “ in gioco” tutte le domande di regolarizzazione rigettate per i seguenti motivi:
- quando e' stata fornita prova della permanenza in Italia tramite documentazione - proveniente da organismi pubblici – con data antecedente al 31 dicembre 2011;
- quando la certificazione non sia stata ritenuta proveniente da organismi pubblici
.

La sanatoria 2012 prevedeva la possibilita' di regolarizzare i lavoratori extracomunitari clandestini occupati alle dipendenze da almeno tre mesi, “presenti nel territorio nazionale in modo ininterrotto almeno dalla data del 31 dicembre 2011, o precedentemente”, per i quali la prova della “presenza sul territorio nazionale dal 31 dicembre 2011 deve essere attestata da documentazione proveniente da organismi pubblici”.

Il Ministero chiarisce due punti fondamentali:
1) ai fini dell'accoglimento della domanda non e' necessario provare la presenza in Italia con documentazione relativa a periodi successivi al 31 dicembre 2011 ma il requisito e' soddisfatto anche se la prova della presenza in Italia e' relativa a periodi precedenti (esempio, certificato medico del novembre 2011, o del gennaio 2010);
2) la prova della presenza in Italia fornita con certificazione medica rilasciati dal Servizio Sanitario Nazionale o da medici convenzionati e' sufficiente ai fini dell'accoglimento della domanda.

In merito al secondo punto, alcune Prefetture non ritenevano idonee le certificazioni mediche rilasciate dal SSN o da medici convenzionati sul presupposto che lo straniero irregolare non e' iscritto al servizio sanitario nazionale e quindi il medico avrebbe operato in regime privatistico, da libero professionista, pur essendo magari ospedaliero.

Il Consiglio di Stato ha richiamato a ragionevolezza le Prefetture, sottolineando la funzione della sanatoria, che in quanto tale deve dare la piu' ampia possibilita' di regolarizzazione: “[...] si tratta dell'attuazione di una direttiva europea che specificamente invita gli Stati membri a un'applicazione estensiva e visto che anche il legislatore ha lasciato ampi spazi di interpretazione, deve essere interpretato considerando le grandi difficolta' degli stranieri presenti sul territorio dello Stato di intrattenere contatti con gli enti e con le strutture pubbliche, nel senso di dare un significato pratico e ampio per l'applicazione della sanatoria di emersione dal lavoro irregolare

Chiedere ad un clandestino di provare la propria clandestinita' tramite documentazione pubblica e' chiaramente una contraddizione in termini.

Sia il parere del Consiglio di Stato che la circolare ministeriale si occupano, da ultimo, di un altro aspetto: eventuali uscite o reingressi in Italia successivi al 31 dicembre 2011 non sono ostativi all'accoglimento della domanda “fin quando sono effettuate in rispetto delle norme che regolano i rispettivi rapporti di lavoro per i quali si chiede la regolarizzazione (ferie ordinarie, brevi permessi previsti dai rispettivi contratti di categoria, giorni festivi o liberi)”. Si presuppone quindi che una volta “fatto emergere” il rapporto di lavoro a nero, anche nelle more dell'accoglimento della domanda, il datore di lavoro applichi immediatamente la normativa lavoristica e i contratti collettivi.

***
 
Datori di lavoro e lavoratori, la cui domanda sia stata rigettata per i motivi indicati, potranno quindi chiedere il riesame in autotutela della propria pratica chiedendo che la domanda venga riesaminata e accolta sulla base della nuova interpretazione ministeriale.

La circolare infatti specifica che il riesame non verra' compiuto d'ufficio, ma avverra' solo su istanza di parte.

Resta un problema. A distanza di tre anni quale lavoratore clandestino la cui domanda sia stata rigettata continua a lavorare a nero per lo stesso datore di lavoro? E quindi che ne sara' delle istanze di riesame in autotutela presentate da chi non ha piu' contatti con quel datore di lavoro?

Anche qui, ragionevolezza e analogia vorrebbero che in questi casi venga rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione: ragionevolmente perche' altrimenti non avrebbe senso la circolare in esame; analogicamente perche' il d.l. 79/2013 (convertito con legge n. 99/2013) e precedenti circolari hanno stabilito che in caso di interruzione del rapporto di lavoro prima del perfezionamento della procedura al lavoratore venga rilasciato questo tipo di permesso.


 

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