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L'inglese lingua unica, un pericolo per la legittimita' dell'Unione Europea
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Articolo di Redazione
22 aprile 2016 12:20
 
Un editoriale sul pericolo del monolinguismo anglofono dell'Unione Europa. Un sasso in un lago stagnante con la speranza che non sia vano. Ma, come diceva Churcill nella sua bella lingua “success is not final, failure is not fatal: it is the courage to continue that count” (”li successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: è il coraggio di continuare che conta”.

Il periodo in cui Umberto Eco poteva affermare che “la lingua dell'Europa e' la traduzione”, appartiene al passato. Oggi, lui stesso constaterebbe che “la lingua dell'Ue e' l'inglese”. Chi osa essere perplesso, o anche protestare, viene considerato di cattivo gusto, nazionalista, persona che rifiuta la modernita', filo francese (per i francesi) o filo chissa' cosa e chi per chiunque altro. Certamente oggi ci sono pur sempre 23 altre lingue ufficiali nell'Unione, ma, visto da Bruxelles o da Frankfurt, si tratta di idiomi tribali, sopravvissuti al pari degli Stati-nazione, destinati ad essere sacrificati sull'altare di una costruzione comunitaria che sara' anglofona o non sara'.
In qualche anno, in virtu' del grande allargamento degli anni 2004-2007, l'inglese si e' imposto come lingua di base senza che questo sia mai stato discusso da qualcuno, non solo in seno all'amministrazione europea, ma anche nei rapporti privati tra i cittadini.
Se un europea non fa propria la capacita' di comunicazione dell'inglese, non potra' sapere che cosa succede a Bruxelles. Nel contempo, il sito Internet della Commissione, il governo dell'Unione, e' quasi esclusivamente in inglese. Questo viene giustificato spiegando che non e' possibile tradurre in tutte le lingue, visto i costi che questo rappresenterebbe. Questo e' falso: la traduzione rappresenta un costo di 60 centesimi per abitante ogni anno. Una cifra che Bruxelles dispone per iniziative di comunicazioni senza interessi e che i budget potrebbero utilmente contenere. Inoltre, diverse altre istituzioni tendono a mantenere un certo degrado del multilinguismo: e' il caso del Parlamento europeo, del Consiglio dei ministri o anche della Corte di Giustizia. Soprattutto la Commissione si comporta come se l'Unione fosse una sorta di Onu che vota delle risoluzioni, questo mentre decide delle norme che poi devono essere applicate in tutti i 28 Stati membri. Ma le leggi nazionali devono essere ancora redatte nella lingua locale.
Il problema e' tutto qui: un insieme di 500 milioni di abitanti puo' essere indirizzato verso una lingua che e' propria solo di un minoranza, minoranza che rischia ancora di diminuire se il Regno Unito abbandonera' l'Unione? E' pericoloso se le banche tedesche decidono di indirizzarsi unicamente in tedesco alla BCE, incaricata di supervisionare, perche' riescono a spiegarsi meglio nella loro lingua? La Commissione crede di avere abbastanza legittimita' per imporre l'inglese a tutti i popoli europei senza una decisione a priori? La risposta e' evidente: la Commissione sta facendo un gioco pericoloso confermando, giorno dopo giorno, che l'Europa e' una questione estranea agli Stati e ai popoli che la compongono.
E' per questo che i governi hanno cessato di battersi contro questa deriva: in sostanza non vi trovano dei vantaggi. Piu' l'Europa diviene incomprensibile, nel vero senso della parola, piu' essa diviene una storia di storia esterna all'Europa stessa. La crescita dell'euroscetticismo trova in questo parte della sua spiegazione: come accettare di essere diretti con una lingua che non si comprende. Lingua che veicola un sistema di valori che non e' frutto di un compromesso linguistico, come e' stato per lungo tempo il caso in cui, per esempio, le accuse che venivano fatte in Francia sul “l'ultrraliberalismo europeo”? L'inglese, o meglio il “globish”, potrebbe un giorno divenire la lingua che impoverisce gli europei. Ma nessuna direttiva potrebbe imporla.

(articolo di Jean Quatremer, corrispondente da Bruxelles del quotidiano Libération, pubblicato il 22/04/2016) 
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