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Migranti. La lezione all’Europa del capitano della Sea Watch 3
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Articolo di Redazione
27 giugno 2019 19:03
 
 Ci sono volute due settimane perché i naufraghi soccorsi nelle acque internazionali dalla Sea Watch 3 il 12 giugno, potessero alla fine arrivare, mercoledì 26 giugno, al largo dell’isola di Lampedusa. Due settimane e la volontà di una donna, la tedesca Carola Rackete, capitano della nave, che ha deciso di forzare il destino e i divieti del governo italiano per mettere al sicuro le 42 persone che aveva sul suo battello.
Decidendo questo, dopo aver fatto richiesta alla Corte europea dei diritti dell’uomo, il capitano della Sea Watch 3 mette l’Europa intera di fronte ai suoi anni di rifiuti e tergiversazioni. E, rifiutandosi di conformarsi ad un ordine con le apparenze della legalità – riportare sulle coste libiche i naufraghi soccorsi dalla Sea Watch 3 – Rackete ha ricordato a tutti l’esistenza delle convenzioni internazionali e di un certo numero di verità.
Sì, il salvataggio in mare è un imperativo che deve imporsi a tutti, e non un’attività sospetta, che trasforma dei volontari delle ONG in complici – consapevoli o meno – dei trafficanti di esseri umani. Nessuna nelle ONG attaccata dal 2017 è stata minimamente condannata giudizialmente. Non solo, la giustizia italiana non ha imbastito neanche un processo. Pertanto, la calunnia si è fatta spazio in larghe frange dell’opinione pubblica e in tutta Europa.

Calcoli politici
No, la Libia non è un “porto sicuro”, nel senso in cui lo intendono i testi del diritto internazionale del mare, e dei migranti che cercano di fuggire a questo inferno non possono esservi portati contro la loro volontà per ragioni di convenienza politica. Anche se, questa evidenza riconosciuta dalla comunità internazionale non ha impedito all’Unione europea di stringere con Tripoli, a partire dal 2017, degli accordi di rimpatrio che contravvengono ai valori che l’Europa pretende di difendere ovunque nel mondo.
Rivendicando un politica messa in opera dai suoi predecessori, Matteo Salvini è diventato l’uomo politico più popolare in Italia e il vero capo del governo Conte. Salvini continua ad accusare l’Europa di inerzia, e il silenzio delle autorità europee e dei partner dell’Italia, da mesi, lo aiuta a consolidare questa idea. Questo discorso è tanto più efficace in quanto nessuno in Europa ha il coraggio di cogliere il tema dell'immigrazione per formulare un'alternativa credibile e per mettere il ministro degli Interni italiano di fronte all'incoerenza delle sue posizioni. L’Italia, secondo Salvini, auspica un meccanismo di rilocalizzazione automatica dei richiedenti asilo. Ma allora, perché si allea coi Paesi del gruppo di Visegrad, visceralmente ostili a questa soluzione, Paesi che denunciano le potenze dell’Europa occidentale favorevoli a queste misure? Nello stesso tempo, secondo lui, la voce dell’Italia non è mai ascoltata. Allora, perché Salvini non ha mai ritenuto utile di essere presente a sei delle sette riunioni dei ministri dell’Interno che si sono tenute dopo la sua nomina, a giugno 2018?
Di fronte a questi calcoli politici, il gesto di Rackete mette in luce un’altra evidenza, la cui portata va molto al di là dell’Italia: un insieme di più di 500 milioni di cittadini, che vivono in una zona di prosperità senza equivalenti nel mondo, non può sentirsi minacciata dall’arrivo di una quarantina di rifugiati fuggiti da un Paese in guerra a bordo di un gommone.

(Editoriale del quotidiano Le Monde del 27/06/2019)
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