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Il mondo sta per esplodere. 1. Immigrazione
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Articolo di Vincenzo Donvito
28 giugno 2018 12:30
 
 Sembra quasi di vivere in un mondo che sta per esplodere. E come tutte le esplosioni, le conseguenze non sono buone per nessuno.
Premessa
Mi vengono in mente una sere di analisi politiche, economiche e sociali che in questi ultimi cinquanta anni hanno in qualche modo sostenuto la mia stessa ouverture. In genere erano prodotti di una serie di “soloni di sventura” (in genere di parte politica sinistra) che confondevano il proprio disagio con quello diffuso, la propria percezione con la realtà, cioé crescevano, pensavano, si sviluppavano in considerazione dell’interpretazione della cosiddetta opinione pubblica.
Sempre ricordi: nell’estrema sinistra degli anni 70 del secolo scorso, fatta da vari gruppi sempre in lotta fra di loro, accadeva lo stesso: ognuno aveva la sensazione di essere compreso e seguito nelle proprie proposte da una quantità smisurata di persone; e facevano incontri in sale gigantesche che si riempivano all’inverosimile (spontaneamente, col solo richiamo “vieni ad ascoltarci”, e non con pullman pagati dal sindacato o dai ricconi padroni di qualche partito), e tutti ne uscivano convinti che il mondo avesse compreso ed era pronto alla battaglia. Ma, per quei pochi che decidevano di andare alle elezioni, i risultati - bene che andava - erano da percentuali ben al disotto delle dita di una mano. La maggior parte si dissolvevano in lotte intestine, scissioni, non solo di potere personale ma anche di vere e proprie prospettazioni per “il sol dell’avvenire”.
Bene, questo per rimarcare che sono in grado di fare auto-ironia, di comprendere che non potrei essere molto diverso da quei soloni (anche se, io che all’epoca c’ero e davo battaglia, ma non ero un “gruppettaro”), cioé di confondere il mio disagio individuale come quello diffuso. Questo per diversi motivi, primo fra tutti è che non credo all’esistenza dell’opinione pubblica, ma mi muovo nella considerazione dei piatti e freddi numeri delle statistiche ufficiali, ed aborro, in particolare, da tutto ciò che oggi viene chiamato “percezione”. Secondo motivo: non adeguo il mio pensiero ai risultati di questi numeri piatti e freddi (e giammai alle varie “percezioni”), per cavalcarli e farmi leader di ciò che vuole il popolo. Non mi interessa – e dubito che, quand’anche, sarei in grado di farlo – mettermi a disposizione del popolo per farne parte attiva o per guidarlo o amministrarlo in base a ciò che il popolo stesso vuole. Sono un individuo che intende parlare ad altri individui, in base alle proprie esperienze, riflessioni, conoscenze, sensazioni, sì che ognuno possa stare bene nel proprio essere individuo. Formulo delle analisi, dò fiato a delle idee, prospetto delle soluzioni, creo strumenti di condivisione e di confronto perché tutto sia considerato prima di formulare una proposta, ambiente in cui sia sempre la Politica ad avere il sopravvento, e non l’idea giusta per tutti, il bene giusto per tutti, o ideologia che dir si voglia.

Il mondo che sta per esplodere o che è già esploso?
Dopo questa ampia premessa di metodo, mi pongo una domanda: cosa muove oggi il mondo? Scevro da assolutismi messianici o astrali (sono estraneo), noto un filo conduttore che va sempre di più crescendo: l’informazione, veicolata dai semplici e diffusi strumenti di comunicazione, che solo qualche decina d’anni fa erano inconcepibili. Non solo, ma l’inesistenza di questi strumenti era (e, nell’onda lunga, ancora lo è) la premessa di ogni potere, dove il potere era (ed è) la base di ogni amministrazione.

Ma questo potere si sta sgretolando, soprattutto nella testa degli individui, mentre continua ad essere saldamente utilizzato soprattutto da chi fa finta che governare sia sinonimo di gestione del presente e di ciò che vuole l’opinione pubblica e quanto quest’ultima percepisce: doppia irrealtà (opinione pubblica e percezione) spacciata per realtà. Con l’aggravante dell’aggiunta di un potere gestito come se l’informazione non fosse quello che è, con annessi e connessi metodi di controllo e falsificazione della stessa (che, se anche danno a questi gestori del potere una certa soddisfazione, quest’ultima è sempre più precaria visto che sono in crescita coloro in grado di distinguere una fake-news da una notizia vera).
Facciamo alcuni esempi.

Immigrazione
Emergenza del momento dove, a rigor di logica umana, sembra che gli unici che in qualche modo la stiano affrontando, siano:
- coloro che salvano le vite di persone che, nel caso del Mediterraneo, altrimenti annegherebbero;
- coloro che danno ospitalità.
Poi c’è il corollario di chi respinge le navi tipo Aquarius, chi le accetta, chi sta zitto e, pur avendo di recente fatto il contrario, attacca chi le respinge (Francia/Macron). E ci sono i vari politici che, della chiusura dei confini, ne fanno tesoro ed elemento di distinzione, in quella che loro dicono essere difesa dall’invasione dei migranti. In questo contesto, l’Europa non ha una politica, ma è soggetta come una banderuola alle singole decisioni degli Stati, e non sembra che ci saranno soluzioni diverse a breve e a lungo.
Questo è per me lo specifico caso in cui occorre sparigliare: fare proposte apparentemente inapplicabili ma che, partendo da un altro modo di vedere le cose, potrebbero forse essere quelle utili.
Lo Stato-nazione non è più nella testa degli individui, ma in parte continua ad essere nella loro pancia. Cioè: tutti ragioniamo come se fossimo in un grande villaggio globale per quello che torna utile, ma all’occorrenza, parte di questi tutti evocano questo Stato-nazione. Sono i cosiddetti sovranisti, nazionalisti che – è bene ricordare – sono una parte della popolazione, vistosa, chiassosa, molto mediatizzata, ma una parte. Che quando la si chiama a ragionare, anche sulla pancia, senza le spinte emotive di qualche capopopolo demagogo che magari urla con successo dopo che un extra-comunitario ha commesso un qualche delitto, non sono restii ad ascoltare. Un esempio, in Gran Bretagna: oggi che sta prendendo sempre più forma cosa e come sarà la Brexit, credo se che ci fosse un’altra consultazione referendaria come quella che a suo tempo sancì l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, i fautori dell’out verrebbero sonoramente sconfitti… ed è per questo che i pro-Brexit oggi al potere nazionale sono avulsi dal recepire qualunque stimolo in materia, come l’immensa manifestazione che si è tenuta pochi giorni fa a Londra per chiedere un nuovo referendum in materia.
Lo sparigliamento di cui sopra lo intendo come un cambio radicale delle politiche di accoglienza.
Principio di partenza: tutti devono essere accolti, senza distinzione tra migranti economici e rifugiati. Quindi, organizzarsi di conseguenza. A costi altissimi. Ma qual è l’alternativa? Il mondo che sta per esplodere. Si può continuare a discutere di come bloccare e filtrare quelli o quegli altri, ma i disperati del terzo e quarto mondo (che è bene ricordare che sono tali grazie alle politiche del nostro mondo occidentale nei loro territori, pur se di sovente sono state politiche buone) continueranno a cercare di attraversare i nostri confini. E continueremo ad avere sempre più migranti legali e, soprattutto migranti illegali. I nostri Stati non possono reggere come fortezze: non siamo più nel Medioevo e ogni chiusura materiale ha conseguenze economiche disastrose per le importazioni, le esportazioni, la cultura, l’istruzione, la socialità, per tutto; non siamo più in grado di avere un villaggio autosufficiente (e non ci piacerebbe neanche averlo visto le rinunce a cui dovremo andare incontro). Nell’attuale contesto, manca poco all’esplosione. Già sono esplosi i cervelli di alcuni statisti che un giorno dicono una cosa, e il giorno dopo il contrario (Macron è l’esempio più evidente). Le strutture, le infrastrutture, i servizi, dove non sono già esplosi, sono prossimi a farlo. Conviene attendere che ciò accada? Non era condivisa la massima che prevenire è meglio di curare? E visto che la prevenzione in corso (la chiusura) sta provocando più danni che altro, non sarebbe il caso di passare ad altro metodo, opposto a quello attuale? Sarebbe una politica di riduzione del danno applicata in regime di convivenza democratica. Dopo i muri e gli accordi coi Paesi origine dei transiti dei migranti a suon di miliardi... che crolleranno a breve, quale dovrebbe essere il passo successivo? Io vedo solo disastri, conflitti, odi, crisi economiche, guerre, su cui tutti gli opportunisti in cerca di gloria per propri tornaconti individuali o ideologici saranno pronti – più di quanto oggi già non facciano – ad intingere e alimentare le loro politiche di odio. Saremo meno ricchi? Sicuramente. Non pretendo che tutti la possano pensare come me, credendo che ci guadagneremo in ricchezza, ma chi non condivide la mia prospettiva non può non comprendere che le società aperte a tutti non possono che vivere meglio di quelle per pochi, soprattutto perché costruiscono su una prospettiva futura e non solo preparandosi a produrre da sé anche le mutande.
Alcuni punti di partenza. L’istituzione di ministeri per le politiche di immigrazione che, col tempo, devono trasformarsi in ministeri per le politiche di integrazione. La questione è complessa, articolata e laboriosa, ma forse è più facile di quanto si possa credere.
Cominciamo a proporla e ad approfondirla.
Questo è per le politiche di immigrazione. Poi, c’è tutto il resto, a partire dai trattati internazionali di libero e reciproco commercio e l’abolizione dei dazi (Harley-Davidson grida vendetta). ma ne riparliamo.
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