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Il muro delle menzogne
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Articolo di Redazione
13 febbraio 2019 19:07
 
 Così come quello di Gerico, il muro di Trump – probabilmente – andrà a fondo. Non sono le trombe di Giosué che hanno provocato questa caduta ma, più prosaicamente, quelle del Partito Democratico, che è riuscito a far passare un compromesso budgettario con i Repubblicani che esclude il finanziamento della barriera di acciaio voluta dal presidente americano. Un buco nel muro senza nemmeno che sia stato costruito, che si aggiungierà alla barriera già esistente su una parte della frontiera col Messico. In ogni caso, il passaggio tra i due Paesi sarà reso più difficile ai migranti che vengono dall’America latina.
Il caso è simbolico. I detrattori della classe politica classica, di cui Trump è il più celebre, rimproverano agli eletti tradizionali di non tener fede alle loro promesse, di pronunciare discorsi focosi che non danno mai seguito a fatti, di vendere agli elettori dei castelli in Spagna, etc. Ed ora, cosa fa Trump? Oltre agli insulti che ha indirizzato a Hillary Clinton - “fermatela!” -, ha basato la sua campagna sulla costruzione di questo muro continuo ed impraticabile che avrebbe dovuto essere finanziato dal Messico: “Build the wall!”.
Sfortunatamente per lui, sembra che questa costruzione – la cui utilità è contestata ovunque da persone che non sono necessariamente dei sostenitori a tutto spiamo dei migranti – si scontra con problemi tecnici inestricabili. Le parti della frontiera oggi senza muro corrono lungo il Rio Grande, o sono attraversate da montagne. La sua lunghezza e la difficoltà della sua costruzione sono molto maggiori a quanto era stato annunciato. Le stime del suo costo sono molto varie ma sono nello stesso tempo molto superiori a quelle di Trump. In quanto al governo messicano, esso ha subito fatto sapere che non avrebbe per niente finanziato il progetto.
E’ chiaro che queste difficoltà sono state grandemente sottostimate durante la campagna, a favore di uno slogan semplice che, per divenire realtà, non si basava su uno studio serio del progetto, ma solo sulla sua efficacia elettorale. Per uno che vuole ammazzare il mondialismo, il simbolo del muro è perfetto: è concepito per isolare il popolo americano dai pericoli esterni, anche se credere in questo è un puro esercizio mitologico. Due anni e mezzo dopo, la realtà sommerge il presidente, il muro è troppo costoso, poco efficace, contraddice inoltre uno dei fondamenti storici della democrazia americana, l’accoglienza dei reprobi del mondo intero, simbolizzata da Ellis Island e dalla Statua della Libertà. E presume l’accordo del Congresso, quando invece i democratici vi sono ostili, così come una parte dei deputati e senatori repubblicani.
Per dirlo in altre parole, Trump ha deliberatamente preso in giro i suoi elettori, degradata l’immagine degli Stati Uniti, disprezzato il funzionamento del sistema politico, arrivando fino a provocare uno “shutdown” (una interruzione del funzionamento dello Stato) interminabile, il cui costo è ormai stimato in qualcosa come tre miliardi di dollari. In tal modo, quelli che denigrano la classe politica tradizionale e la democrazia rappresentativa – che sono ben lungi dall’essere perfette - fanno uso di pratiche più nefaste alla sovranità popolare, fuorviando il popolo e confiscandone la sovranità. La critica della democrazia è necessaria, utile, preziosa anche. A meno che non la si rimpiazzi con la demagogia.

(editoriale di Laurent Joffrin, pubblicato sul quotidiano Libération del 13/02/2019)
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