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Narcoguerra. Messico inerme di fronte ai giornalisti uccisi
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Articolo di Redazione
27 marzo 2017 12:29
 
 “Non si uccide la verita’ uccidendo dei giornalisti!”, hanno scandito centinaia di professionisti della stampa e dei media, manifestando sabato 25 marzo a Citta’ del Messico e in altre sette citta’ del Messico, dopo l’assassinio di Miroslava Breach, 54 anni. Due giorni prima, il corrispondente del quotidiano di sinistra La Jornada, riceveva tre pallottole nella testa a Chihuahua (nord), capitale dell’omonimo Stato. E’ il terzo giornalista morto, a marzo, nel Paese piu’ pericoloso del continente americano per questa professione.
Giovedi’ 23 marzo, alle 7 di mattina, Breach esce di casa sua e monta sulla sua auto per accompagnare suo figlio di 14 anni a scuola. Questa madre di due bambini e’ agitata per il ritardo del ragazzo che e’ rimasto in casa, quando compare un uomo, il viso nascosto da un casco e un cappuccio, che le spara addosso. Breach e’ il 103mo giornalista assassinato dal 2000 in Messico, secondo Articolo 19, organizzazione che difende la liberta’ di stampa. Altri ventitre sono sempre considerati dispersi.
Quattro giorni prima a Xalapa (Stato di Veracruz, sud-est), Ricardo Monlui, 57 anni, di rettore del giornale El Politico, cade sotto il fuoco dei suoi aggressori all’uscita di un ristorante. Stesso crimine di un professionista in pieno giorno per Cecilio Pineda, 38 anni, direttore de La Voz de la Tierra Caliente, ucciso il 3 marzo in un autolavaggio ad Altamirano (Stato di Guerrero, sud-ovest). Tutti stavano seguendo inchieste sui cartelli della droga e la corruzione politica.
Impunita’ quasi totale
Ana Cristina Ruelas, direttrice di Articolo 19 in Messico, e’ preoccupata per “una ecatombe che diventa piu’ grande”. Il 2016 e’ stato l’anno con piu’ morti negli ultimi 17 anni, con 11 giornalisti assassinati e 426 aggrediti. Secondo un’inchiesta, realizza dall’Universita’ Iberoamericana, il 40% dei professionisti della stampa e’ stato vittima di minacce o altre intimidazioni, da parte del crimine organizzato ma anche da funzionari pubblici. “Per quello che hai detto”, si poteva leggere sul messaggio lasciato, giovedi’ 23 marzo sulla scena del crimine, dall’assassino di Breach, che minacciava anche Javier Corral, il nuovo governatore del Chihuahua. Il messaggio era firmato da “El 80”, soprannome di Arturo Quintana, presunto capo de "La Linea", braccio armato del cartello di Juarez.
Da un anno, la giornalista aveva pubblicato diversi articoli sull’infiltrazione del crimine organizzato in seno alle autorita’ locali. Aveva anche rivelato i nomi dei candidati alle elezioni locali di giugno e degli eletti, che erano vicini ai narcotrafficanti. “Queste morti instaurano un clima di autocensura”, deplora Ruelas, che sottolinea l’impunita’ degli assassini dei giornalisti nel 99,75% dei casi.
Pericolo e precarieta’
Nel frattempo, lo Stato ha creato, nel 2007, una procura specializzata nei crimini contro la liberta’ d’espressione (Feadl). Dopo cinque anni, un meccanismo di protezione dei giornalisti (guardie del corpo, allarmi, videocamere di sicurezza…) e’ anche destinato ai professionisti in pericolo. Breach non aveva chiesto questa protezione, malgrado le minacce ricevute. Il 90% dei giornalisti non ha fiducia nel sistema giudiziario, secondo l’inchiesta dell’Universita’ Iberoamericana.
“Senza iniziativa preventiva, ne’ sanzioni, le misure non sono all’altezza della crisi, deplora Ruelas. Le autorita’ non fanno indagini sulle minacce ricevute dai giornalisti. “Dopo giovedi’ 23, il quotidiano La Jornada ha dedicato tre prime pagine alla morte della sua corrispondente ed alla costernazione che questa ha suscitato nell’opinione pubblica. Nuove manifestazioni di protesta sono previste per tutta la settimana nelle citta’ di provincia per reclamare giustizia. I professionisti si mobilitano sui social network con la parola chiave #YaBastadeBalas (ne abbiano fin troppo di pallottole). Numerose organizzazioni di difesa della liberta’ d’espressione, tra cui Amnesty International, stanno chiedendo inchieste efficaci e un miglioramento dei meccanismi di protezione.
Al pericolo si aggiunge la precarieta’ per i giornalisti messicani, che guadagnano tra 4.000 e 12.000 pesos al mese (196-590 euro). Non ben pagati per rischiare la vita nel difendere il diritto degli altri ad essere informati.

(articolo di Frédéric Saliba, corrispondente dal Messico, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 27/03/2017)
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