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Narcoguerra. Quella alimentata in Colombia dai cartelli messicani
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Articolo di Redazione
29 maggio 2017 16:22
 
 Tumaco e’ il Municipio della Colombia con maggiori coltivazioni di foglia di coca: 28mila ettari che possono produrre 190 tonnellate di cocaina all’anno. Il suo porto e’ attualmente il principale approdo colombiano di uscita della droga verso gli Stati Uniti, Europa e Asia, ed e’, nello stesso tempo, il maggior centro di stoccaggio di stupefacenti per i cartelli messicani. Dopo il ritiro della FARC da questo territorio, diverse bande di criminali stanno facendosi una guerra per il suo controllo, una lotta che le organizzazioni di criminali messicane del narcotraffico alimentano con denaro ed armi.

San Andrés de Tumaco, Colombia. - L’informazione che un delinquente della zona ha dato alla polizia era precisa: in una zona del fiume Mira, a soli 12 chilometri a sudovest dall’area urbana del porto di Tumaco, cinque messicani avevano accumulato una gran quantita’ di cocaina per inviarla sulle coste dello Stato di Colima.
“Sono del cartello di Sinaloa e sono in tutto due tonnellate, si sono mossi verso una caletta (in un covo sotterraneo) vicina da qui”, ha detto l’informatore, che aveva assistito ad un incontro in cui i messicani, che si erano stabiliti con discrezione nella regione di Tamaco, si sono messi d’accordo coi loro soci colombiani.
Secondo un rapporto dell’intelligence della Policia Nacional de Colombia (PNC), a cui abbiamo avuto accesso, i messicani hanno negoziato la droga a 1.800 dollari al chilo, il che’ significa una transazione di 3,4 milioni di dollari che loro avrebbero dato effettivamente ai loro procuratori, meta' alla ricezione del primo carico in una casa vicino alla riva del fiume Mira e le restanti due tonnellate alla fine.
Il denaro e’ arrivato loro con una barca che aveva raccolto due sacchi gettati da un peschereccio nell'Oceano Pacifico, non molto lontano dalla costa di Tumaco, e che li aveva trasportati attraverso il fiume Mira per raggiungere i messicani nella palude di mangrovie.
I cinque inviati dal cartello di Sinaloa era guidati da un uomo alto, bianco, con folti baffi e capelli lunghi e che chiamano Puma. Gli altri quattro erano di pelle scura o marrone. Due di essi venivano chiamati Polo e Flaco. Per le difficolta’ con cui si muovevano, si notava che erano stranieri. Il loro aspetto richiamava l’attenzione in una zona dove il 90% della popolazione e’ di origine africana. E si notava anche il loro accento messicano, che qualunque colombiano puo’ riconoscere.
L’informatore ha detto ad un agente dell’intelligence della PNC che i messicani si muovevano verso Tumaco -un porto di pesca e petrolio sulle sponde del Pacifico- tra dicembre e gennaio scorsi. Oltre a prendere la cocaina, contrattarono per quattro lance per trasportare la droga in Messico seguendo la rotta del fiume Mira e dell’oceano Pacifico.
Ogni imbarcazione aveva quattro motori di 200 cavalli di potenza. Sono i go-fast o lance veloci. La tariffa del servizio di trasporto fu fissata a 100mila dollari per lancia.
Una fonte della PNC ritiene che i messicani abbiano investito qualcosa come 4 milioni di dollari in questo carico e che, una volta giunti in Messico, il suo valore sarebbe di 20 milioni di dollari, che diventerebbero 50 milioni una volta passata la frontiera con gli Stati Uniti.
“I messicani ne hanno il massimo guadagno, ma quello che viene lasciato qui (a Tumaco) e’ moltissimo denaro e questo denaro si sta utilizzando per comprare armi da usare nella guerra per bande”, dice la fonte.
I soci colombiani degli inviati del cartello di Sinaloa sono stati identificati dall’informatore come “gente dei Los Urabeños”, uno dei nomi con cui e’ nota la piu’ potente banda criminale colombiana, la cui origine e’ paramilitare. Gli altri nomi sono Clan Úsuga, Clan del Golfo o Autodefensas Gaitanistas de Colombia (AGC).
Il Clan Úsuga ha resistito ad un’operazione a cui avevano partecipato per due anni e tre mesi 1.200 poliziotti. Fu decimato, ma il suo leader, Dario Antonio Úsuga David, alias Otoniel, non e’ stato catturato. Non solo, ma mantiene la sua presenza in quasi tutta la Colombia, ed e’ considerata la banda con maggiore forza militare e sta operando per conquistare i territori abbandonati dalle FARC dopo che hanno fatto l’accordo di pace con il governo.
Uno degli scenari di questa guerra territoriale e’ precisamente Tumaco, un corridoio strategico per il narcotraffico grazie al suo accesso all’oceano Pacifico tramite decine di fiumi circondati da abbondante vegetazione.
Tumaco e’ il Municipio colombiano con maggiori quantita’ di coltivazioni di foglia di coca, con circa 28mila ettari, il 15% di tutto il Paese, secondo stime della PNC. E questa situazione e’ il triplo rispetto al 2013.
Con questa estensione di piantagioni, che la potenzialita’ di produrre circa 190 tonnellate di cocaina all’anno, e con le condizioni strategiche che offre questo porto ai narcotrafficanti, Tumaco si e’ trasformato nel principale punto colombiano di uscita di questa droga verso Stati Uniti, Europa ed Asia.
E, inoltre, il maggior centro di stoccaggio dei cartelli messicani.
I cinque messicani del cartello di Sinaloa non sono stati catturati. Quando l’informatore ha dato l’ubicazione della caletta, era gia’ troppo tardi. Non solo, se ne erano andati da Tumaco, e questo faceva innegabilmente comprendere che avevano inviato il proprio carico.
In cambio, alcune settimane dopo, una nuova evidenza emersa nell’indagine, condusse alla cattura di una banda che stava consegnando, nella zona di Tumaco, fino ad otto tonnellate di cocaina ogni mese ai cartelli messicani di Sinaloa e di Jalisco Nueva Generaciòn (CJNG).
In questa operazione e’ stato arrestato il messicano Luis Andrés Jilón Romo, alias Carlos o El Compadre, che il direttore della PNC, generale Jorge Hernando Nieto, ha identificato come il principale collegamento delle bande colombiane con Ismael El Mayo Zambada García, capo operativo del cartello di Sinaloa; e Nemesio Oseguera Cervantes, El Mencho, leader del CJNG.
Padroni della guerra
In una citta’ dove ammazzano e minacciano gli attivisti dei dritti umani, la Pastoral Social della Diòcesis di Tumaco e’ una delle poche istituzioni che alzano la voce per denunciare come il narcotraffico ha finito per rompere il tessuto sociale in interi quartieri e come la guerra territoriale che portano avanti vari gruppi sta causando un bagno di sangue in cui la popolazione sta in mezzo al fuoco incrociato.
Nello scorso aprile la Pastoral ha divulgato un documento in cui sostiene che a causa dell’alto disimpegno, che e’ quasi al 70% tra i giovani, “le coltivazioni di foglia di coca si sono trasformate nella maggiore opzione di lavoro”.
In alternativa alla coltivazione della foglia di coca c’e’ l’arruolamento di sicari.
“E’ molto difficile che un giovane senza lavoro dica ‘no’ ai criminali che gli offrono un’arma e uno stipendio mensile di 700mila pesos (circa 250 dollari) per dedicarsi ad uccidere e trafficare droga”, dice un attivista comunitario che chiede l’anonimato perche’ teme che lo ammazzino.
Per la Pastoral Social della Diocesi di Tumaco non c’e’ nessun dubbio che i cartelli messicani della droga siano uno dei motivi della violenza che vive la citta’ ed una fonte molto importante del finanziamento che ricevono le bande criminali per fare la guerra.
In questo documento reso pubblico dall’organizzazione umanitaria lo scorso mese, si menziona il cartello di Sinaloa come uno dei “gruppi armati nel territorio”.
La nota informativa segnala che tra il 2005 e il 2013 si e’ sentito parlare di Nueva Generación, Águilas Negras, Los Rastrojos, Los Gaitanistas, Los Urabeños, Cártel de Sinaloa, e tra gennaio e marzo del 2017 “circolano informazioni su Clan Úsuga, Clan del Golfo, La Empresa, Clan Pacífico, Gaitanistas, Gente de Orden, Cártel de Sinaloa”.
Tutti questi alimentano una feroce disputa territoriale che ha come obiettivo il controllo del milionario business della cocaina che ha origine, paradossalmente, nell’accordo di pace che ha firmato il governo colombiano con le FARC a novembre passato.
Come risultato di questo accordo, 6.884 combattenti di questa guerriglia hanno abbandonato le zone dove operavano per concentrarsi in 26 punti del Paese dove e’ in corso il disarmo. Gli spazi che occupavano sono quelli che intendono conquistare col sangue e fuoco gli attori armati.
La polizia non crede che il cartello di Sinaloa e gli altri cartelli messicani che sono in questa regione della Colombia -Los Zetas e il CJNG- appoggino un gruppo particolare, ma che lavorino con quelli che gli offrono le migliori condizioni per il loro business.
“Qui non vengono i pistoleros dei cartelli messicani. Vengono i gestori, quelli che fanno gli accordi commerciali, e molti di essi non vengono fin qui, armano il business in hotel eleganti di Cali o di Pasto (la capitale di Nariño, il dipartimento a cui appartiene Tumaco)”, dice un agente dell’intelligence della PNC.
Ma alcuni attivisti comunitari considerano che almeno il cartello di Sinaloa e’ stato coinvolto in assassinii e regolamenti di conti.
“C’e’ una connessione diretta tra alcuni omicidi e il cartello di Sinaloa. E’ quello che dice la gente che vive nelle zone dove si sono visti alcuni di loro, i messicani. In sostanza e’ un gruppo che ha appoggiato la violenza non solo a Tumaco, ma anche in altre regioni del Pacifico di questo dipartimento. Per esempio a Satinga”, dice un dirigente sociale.
Il direttore antidroga della PNC, José Angel Mendoza, fa sapere che l’uscita delle FARC dai meandri della droga ha generato un deficit di potere che stanno cercando di riempire le bande criminali e la guerriglia dell’Ejército de Liberación Nacional (ELN), anche se questo gruppo sta facendo un dialogo di pace col governo nella citta’ di Quito.
“Siccome il narcotraffico e’ un crimine transnazionale, le organizzazioni colombiane fanno alleanze con organizzazioni internazionali, e tra queste i cartelli messicani, che sono fonte di finanziamento; ma abbiamo rilevato che questi sono direttamente generatori di violenza”.
Mendoza, che e’ rimasto a Tumaco gran parte del mese di aprile per guidare l’offensiva conto le bande criminali, riconosce che la presenza dei cartelli messicani in questa regione della Colombia che e’ alla frontiera con l’Equador, e’ in crescita “e stiamo sempre piu’ catturando dei messicani in questa zona”.
Zona di pericolo
La lotta che portano avanti le organizzazioni di origine paramilitare come Renacer e AGC; il Clan Pacífico; le Guerrillas Unidas del Pacífico e la Gente del Orden -queste ultime due integrate da dissidenti delle FARC-, e il Frente de Guerra Suroccidental del ELN, mette la popolazione civile in un stato permanente di scombussolamento.
Circa 300 famiglie sono state distrutte quest’anno per la violenza. E tra gennaio e lo scorso 25 maggio, ci sono stati 71 assassinii, uno ogni due giorni. E’ un indice tremendamente alto per una citta’ di 202mila abitanti. E’ tre volte e mezza piu’ alto della media della Colombia e superiore a quello dei tre Paesi piu’ violenti dell’America latina: El Salvador, Venezuela e Honduras.
Il vicario della diocesi di Tumaco, Arnulfo Mina, dice che quest’anno ci sono stati diversi assassinii. “Qui, in questa chiesa, ci sono stati tre feretri di tre persone assassinate in un solo giorno, e cosi’ e’ accaduto anche in altre parrocchie. Siamo arrivati anche ad avere 11 morti al giorno nella camera mortuaria. Questo e’ impressionante. Se il governo non fa qualcosa, avremo uno spargimento ancora maggiore di sangue”.
Per il sacerdote cattolico non c’e’ dubbio che i cartelli messicani stanno “alimentando con i loro enormi mezzi, questo conflitto, anche se e’ poca l’informazione che noi abbiamo, ma lo dice la gente”.
Ogni volta, segnala, “ci sono sempre maggiori segnalazioni sulla presenza di messicani in zona, e non credo che ci siano per fare i turisti”.
Ma quello che piu’ preoccupa padre Mina e’ “la comparsa, negli ultimi mesi, di molta gente sconosciuta che dice di essere del Clan del Golfo (o AGC), de La Empresa (gruppo criminale del porto di Buenaventura, 300 Km a nordest di Tumaco), e si stanno insediando in molti quartieri periferici”.
Secondo lui ci sono gruppi armati di 50, 70 e fino a 100 uomini, che reclutano i giovani e miliziani dissidenti delle FARC che non sono d’accordo col processo di pace. “Hanno smembrato le famiglie dalle loro case ed ora si occupano di loto”.
Il problema di fondo e’ l’abbandono dello Stato, secondo lui, perche’ non ci sono vie per portare i prodotti agricoli tradizionali -cacao, platani, dadi di avorio- e commercializzarli.
“In cambio, la foglia di coca se la vanno a comprare dal contadino che la coltiva, e la pagano molto meglio; ma siccome e’ una pianta illegale, la gente impazzisce, inizia a prendere, a praticare la prostituzione, e questo causa molta decomposizione sociale e una cultura del denaro facile”.
A Tumaco si suda nel calore di mezzogiorno. Molti uomini camminano per le strade in sandali e senza camicia e le donne usano abiti leggeri. Le alte temperature e l’umidita’ non danno tregua. I bambini nuotano e si bagnano nei fiumi, nel Rosario, nel Mira e nel Patia. Il vecchio acquedotto fornisce acqua alla citta’ solo ogni 10 giorni.
Con tante vie fluviali e attivita’ peschiera, gran parte della popolazione cresce tra i fiumi e il mare. Le lance sono un mezzo di trasporto abituale e in molti casi e’ l’unico che hanno le comunita’ in zone lontane tra le mangrovie.
Migliaia di abitanti conoscono bene le intricate rotte fluviali che portano alle aree dell coste piane e coperte di mangrovie dei delta dei fiumi Mira e Patia, che a loro volta sono composti da numerosi estuari. E’ molto comune che pescatori e guidatori di lance, che conoscono sin da bambini questa esuberante zona costiera, finiscono per lavorare per i narcotrafficanti.
Secondo stime della PNC, ogni mese escono con delle lance da Tumaco almeno 10 tonnellate di cocaina pura destinata al Centroamerica, Messico e Stati Uniti. In questo ultimo mercato, questa quantita’ di droga arriva ad un valore di 250 milioni di dollari.
“Questa e’ la caratteristica della tragedia di Tumaco: il business della droga. Cio’ di cui abbiamo bisogno per contrastare questo fenomeno e’ un’inversione sociale di marcia”, dice Mina.
La brezza del Pacifico rinfresca di sera la citta’. Prima che arrivi la notte, la baia e’ magnifica, con un brillio rossastro che la copre. Nell’isola di El Morro ci sono le basi della polizia, dell’esercito e della guardia civile, cosi’ come la zona turistica di questa citta’ chiamata la Perla del Pacifico. Ma li’, nel territorio continentale, c’e’ la estesa zona del pericolo.

(articolo di Rafael Croda, pubblicato sulla rivista El Proceso del 28/05/2017)
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