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Nel nome del marito. Il cognome della moglie dopo il matrimonio
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Articolo di Emmanuela Bertucci
13 gennaio 2010 10:10
 
Secondo l'art. 143 bis del codice civile “La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”. Il doppio cognome, da nubile e da coniugata, parrebbe dal tenore dell'articolo un obbligo legale, anzi -di piu'- un automatismo.
Automatismo retaggio di una potesta' patriarcale sul quale il legislatore non e' mai intervenuto per modificarlo, nemmeno in occasione della riforma del diritto di famiglia.
Che poi, a ben vedere, e' rimasta una norma rimasta lettera morta. Quando una donna si sposa in tutte le “registrazioni” amministrative la donna italiana coniugata e' indicata con il proprio cognome; sulla carta di identita' e sul passaporto –quindi sui documenti principali– mantiene unicamente il proprio cognome. L'indicazione del matrimonio appare abbreviata, sui documenti di identita', solo se sia lei stessa a richiederlo.
Perche' se la norma esiste non la applica nessuno? Della questione si e' occupata la Corte di cassazione diversi decenni fa in una sentenza del 13 luglio 1961: l'art. 143 bis del codice civile va interpretato nel senso che la moglie ha il diritto, non l'obbligo, di aggiungere il cognome del marito al proprio. Ancora secondo il Consiglio di Stato nel parere n. 1746/97 del 10 dicembre 1997, “ai fini dell'identificazione della persona vale esclusivamente il cognome da nubile”.
In materia di passaporti, inoltre, esplicativo il seguente passaggio della circolare dei Ministro degli esteri n. 2 del 6 marzo 1998 sui passaporti a lettura ottica: “L'apposizione del cognome del marito nel passaporto della donna sposata deve intendersi essere facoltativa. Essa e' quindi effettuata a richiesta dell'interessata, la quale, comunque, dovra' essere informata dall'operatore della possibilita' di avvalersi di tale facolta'. Invero, l'art. 143 bis del codice civile, il quale prevede che "la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze", va inteso nel senso che e' attribuita alla moglie la facolta' di aggiungere al proprio cognome quello del marito. Esiste, in proposito, un consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale per il quale l'aggiunta del nome del marito ha carattere di mera facolta', in applicazione del principio costituzionale della parita' tra i coniugi”.
Similmente, la carta' d'identita' contiene i dati anagrafici risultanti dall'atto di nascita (l. 1064/1955 e D.P.R. 432/1957). Infine, qualora la moglie volesse aggiungere sui propri documenti personali i dati del coniuge dovrebbe avviare un procedimento amministrativo di cambiamento del cognome, procedimento che si conclude con un decreto del Ministero dell'Interno.
In conclusione, l'art. 143 bis del codice civile non impone alcunche' ma per dirla con le parole della cassazione “si applica ai rapporti sociali”. Che vuol dire? Che la “signorina Bianchi” (da nubile), quando andra' dal macellaio verra' chiamata “signora Rossi” (da coniugata), o potra' pretenderlo, cosi' come a teatro, al cinema, a cena, ecc. ecc.
Un articolo inutile, mai applicato, ma non per questo innocuo, poiche' residuo di una tramontata societa' patriarcale e maschilista. Un articolo -nell'ottica della modernizzazione e attualizzazione del diritto di famiglia- da abrogare o da modificare consentendo non alla sola moglie, ma anche al marito, di aggiunge al proprio cognome quello della moglie, affinche' la norma rispecchi i cambiamenti di costume avvenuti nella societa' italiana dal 1942 ad oggi.
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