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L'olfatto dei pesci alterato dalle emissioni di CO2
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Articolo di Redazione
2 agosto 2018 11:11
 
 Le emissioni di CO2 crescono e i pesci ci rimettono. Uno studio anglosassone pubblicato sulla rivista “Climate Change” lo scorso 23 luglio fa sapere che le facoltà olfattive dei pesci - indispensabili per la loro sopravvivenza - saranno fortemente alterate dalla concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera se le emissioni di carbone continuano a crescere all’attuale ritmo da qui alla fine del secolo. L’olfatto è essenziale per rilevare la presenza di predatori e per la ricerca del cibo. “Questo articolo aiuta a capire il modo in cui la fisiologia dei pesci reagisce ad un’acqua acidificata dalla dissoluzione delle molecole di CO2”, sottolinea José-Luis Zambonino-Infante, fisiologo delle larve di pesce a l’Infremer.
Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori dell’Università di Exeter hanno confrontato i comportamenti di una specie marina, il branzino, in due distinti ambienti. Una prima popolazione è stata esposta in un luogo in cui la concentrazione atmosferica di gas di carbone era vicino alle 450 parti per milione (ppm), che corrisponde grossomodo al tasso attuale. Una seconda è stata sottomessa a dei tenori compresi tra 800 e 1000 ppm, valore che si prevede sarà raggiunto per la fine del secolo se la frenesia delle attività umane inquinanti non si attenuano.
Le osservazioni son inequivocabili: gli animali confrontati nell’acqua più acida, si muovono meno, si paralizzano in situazioni in cui non ci sono pericoli, non cambiano quasi per niente il loro comportamento in presenza dell’odore di un predatore. Lo studio mette in evidenza una attenuazione della vigilanza dei pesci in un ambiente acido”, spiega lo specialista. Fatto che diminuisce le loro possibilità di sopravvivenza.
Toccati i recettori olfattivi
“Il nostro lavoro cerca soprattutto di comprendere le ragioni di questo fenomeno”, precisa Cosima Porteus, fisiologa dei pesci all’Università di Exeter e principale autrice dello studio. I motivi: una diminuzione di sensibilità olfattiva. “Il senso dell’odorato è ridotto della metà per la popolazione sottomessa alle maggior concentrazioni di gas di carbone”, sottolinea la ricercatrice. Sottomettendo le due popolazioni alle due diverse categorie di sensori, lo studio rileva che sono le molecole dell’olfatto quelle meno rilevate in acqua acida. Quelle che stimolano i recettori olfattivi dell’animale in presenza di cibo e quelle che segnalano l’avvicinamento di un predatore sono le più toccate. “Nell’ambiente più acido, i pesci devono trovarsi ad un 42% più vicini alle fonti da odorare secondo i loro standard. Crediamo che l’acidità dell’acqua deteriori la qualità dell’associazione tra il recettore olfattivo e la molecola odorante”.
La ricerca dimostra ugualmente una diretta alterazione, per la popolazione sottomessa a livelli maggiori di CO2, degli stessi recettori olfattivi. Questi si trovano a livello nasale e sono progettati, tramite relè neurali, per trasmettere al cervello la percezione degli odori. La conclusione è tristemente sorprendente. “Noi pensiamo inizialmente che i pesci sottoposti all’acqua più acida facciano crescere la sintesi di questi recettori, sì da poter compensare la minore individuazione degli odori”. Ma succede il contrario e il problema è aggravato. Nei luoghi più ricchi di CO2 vi sono meno recettori olfattivi.
Uno studio ulteriore
L’acidità dell’oceano provoca numerose turbe sulla biodiversità acquatica e non le conosciamo tutte. Comuneu. “Numerosi sono i lavori che si sono dedicati a dimostrare gli effetti diretti della diminuzione del PH negli oceani sugli organismi viventi calcarei come il plancton o i molluschi bivalvi, spiega Philippe Cury, direttore della ricerca dell’Istituto di ricerca per lo sviluppo. La forza di questo studio sta nel fatto che esplora una delle conseguenze indirette dell’acidificazione dell’acqua”. Un gruppo di ricerca guidato dal professor Phil Munday dell’Università australiana James Cook ha messo in evidenza, già da dieci anni, il disfunzionamento olfattivo dei pesci in ambiente acido. “Ma i loro lavori si concentrano per comprendere il fenomeno a livello cerebrale – dice José-Luis Zambonino-Infante. In questo articolo, si comprende che l’aumento di CO2 nell’atmosfera ha ugualmente delle conseguenze nefaste sugli organi sensoriali periferici, cioé all’esterno del cervello e del midollo spinale”.
Ma questa ricerca è soprattutto un “grido d’allarme”, dice Cosima Porteuse. Se si parte dal principio che debbano diminuire le emissioni di carbone nell’atmosfera, gli scombussolamenti rilevati non dovrebbero esserci. E conclude in modo ottimista: “C’è da sperarlo!”

 (articolo di Aline Nippert, pubblicato sul quotidiano le Monde del 02/08/2018)
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