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Ordini professionali: l'inutilita' dell'albo dei giornalisti
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Articolo di Domenico Murrone
1 aprile 2009 0:00
 
Nulla e' piu' immobile dell'inutile. Sta li' dimenandosi, ribadendo ad ogni tentativo di cambiamento l'assoluta indispensabilita' del ruolo. La polemica e' vecchia e, ovviamente, irrisolta. A cosa servono gli ordini professionali? Riconosciuti dallo Stato, che limitano l'accesso alla professione, prevedendo un blocco all'entrata tramite un esame?
Gli ordini si sono storicamente caratterizzati per due elementi: obbligo di esame di Stato per poter esercitare e imposizione di tariffe minime.
Due obblighi che in teoria dovrebbero garantire professionalita'. Al contrario, sono solo serviti a preservare privilegi ai danni degli esclusi e dei consumatori. Quando va bene, l'ordine professionale e' del tutto inutile.
Un esempio? L'ordine dei giornalisti. L'iter professionale dell'ordine prevede: praticantato retribuito presso una testata giornalistica, e successivo esame di Stato, che comporta l'iscrizione all'albo dei professionisti e l'assunzione. Se invece si esercita anche altro mestiere, ci si deve iscrivere all'albo dei pubblicisti, per i quali l'ordine prevede rigide tariffe minime a seconda che si collabori con testate nazionali o locali e in base al tipo di lavoro: notizia, articolo, servizio. Questi e con queste caratteristiche sarebbero gli unici soggetti degni di fare i giornalisti.
Nella pratica: si inizia a lavorare senza contratto, spesso gratis. Poi, in base alle esigenze, si continua a lavorare 'abusivamente'; ci si iscrive all'albo dei pubblicisti; si fa l'esame di Stato. Anche la contrattualistica e' sempre piu' una finzione: le redazioni sono piene di 'collaboratori' a tempo pieno. Inoltre, le tariffe minime previste dall'ordine per i collaboratori sono ignorate, come se non esistessero.
In generale, non si puo' dire che i giornalisti italiani siano migliori di quelli del Regno Unito, Francia, Germania, dove non esiste obbligo di iscrizione ad un albo e lo Stato non c'entra affatto con la materia. Tra gli italiani, non e' che gli iscritti siano necessariamente piu' bravi, coraggiosi e corretti di quelli non iscritti. Eppure, il prossimo 8 maggio sara' processato Pino Maniaci, direttore dell'emittente televisiva siciliana 'Telejato', divenuto uno dei simboli della lotta alla mafia nella sua zona, per esercizio abusivo della professione di giornalista: non e' iscritto all'albo.
E' questa l'Italia, piena di una forza conservatrice che rende bendati. Ad un punto tale che i fautori dell'ordine (dei giornalisti) non si rendono conto che il giornalismo italiano e' sempre piu' ricattabile, che il possesso del tesserino di appartenenza e' ben lungi dal garantire professionalita' e che il sistema attuale e' una delle cause dei problemi.
Sono molti i giornalisti pro-abolizione dell'ordine (1), ma tutto ristagna e in alcuni casi prevale la follia legalitaria. Ne e' esempio la 'denuncia' lanciata da un rappresentante sindacale dei giornalisti di Enna nel dicembre scorso, fra l'altro disse: "Ogni giorno in tutta la provincia aspiranti giornalisti vanno in giro con le telecamere a fare interviste e servizi, o, peggio, partecipano alle conferenze stampa organizzate da Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza. La legge istitutiva dell'ordine vieta, nella maniera piu' assoluta, l'accesso alle fonti di informazione primaria a chi non e' iscritto all'albo dei giornalisti …".
Chi ha fatto queste dichiarazioni ha nel suo sangue conservazione e corporativismo, ma ha ragione, sono le leggi che provengono dal Governo Mussolini del secolo scorso a legittimarlo. E' un'aberrazione che cozza con il ruolo che il giornalismo dovrebbe interpretare. Come si fa a pensare che, sulla massa di persone che si definiscono giornalisti, non abbia alcuna influenza l'obbligo del timbro dello Stato per poter esercitare? E' proprio il controllo del potere dello Stato -e di tutte le sue emanazioni- l'attivita' prevalente del giornalista, in teoria.

(1) l'estensore dell'articolo e' iscritto all'ordine dei giornalisti, albo pubblicisti...
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