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‘Plastic Odyssey’ vuole trasformare la plastica degli oceani in carburante per le navi
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Articolo di Redazione
15 giugno 2018 18:21
 
 “Facciamo gli ultimi aggiustamenti del rimorchio e mettiamo la barca in acqua”, annuncia Simon Bernard ai volontari. L’équipe di “Plastic Odyssey” sta per fare il varo ufficiale della sua nave, prevista per venerdì 15 giugno a Concarneau.
Questa nave di sei metri di lunghezza, equipaggiata con un pirolizzatore, è in grado di trasformare dei rifiuti di plastica non riciclabili in carburante Da dieci giorni, i giovani del “Plastic Odyssey” - Simon Bernard, Alexandre Dechelotte, Bob Vriguaud e Benjamin de Molliens, tra i 24 e i 30 anni -grossomodo non dormono più. Una decina di volontari li hanno raggiunti per l’ultima linea diritta dell’assemblaggio dei pezzi.
Tra loro, Jules, 29 anni, ex-ingegnere di Déclathon, che ha visto un’intervista di Simon Bernard la scorsa settimana e si è precipitato nel cantiere solo 48 ore dopo, all guida del suo camion. C’è anche Manon, giovane dottore in economia dell’ambiente, in questo momento disoccupato, che è venuto a dar man forte da un mese e mezzo. Tutti sono attratti dalla “sfida tecnica e il valore del progetto”.
“Iniziare la transizione”
All’origine di questa avventura, c’è dunque Simon Bernard, ingegnere diplomato alla scuola della marina mercantile. Il giovane uomo, una sorta di incarnazione del Piccolo Principe di Saint-Exupéry, va avanti e indietro per definire ogni dettaglio. La loro nave non è che la prima tappa di un progetto ben più ambizioso. Nel corso dei prossimi sei mesi, l’équipe navigherà lungo le coste francesi per promuovere la sua soluzione nei vari saloni nautici, testare il proprio pirolizzatore e attirare degli sponsor per finanziare la tappa successiva: un catamarano di 25 meri per realizzare il giro del mondo in tre anni e sensibilizzare le popolazioni al riciclaggio dei rifiuti di plastica.
“Non c'è un continente di plastica che, per pulirlo, sarebbe sufficiente una grande rete – dice Alexandre Dechelotte, cofondatore di “Plastic Odyssey” -. Solo l’1% della plastica resta in superficie. Il resto si decompone in microparticelle che entrano nella catena alimentare con conseguenze sugli umani che sono ancora sconosciute. Non si potranno pulire i nostri oceani dai nostri rifiuti di plastica degli ultimi cinquanta anni. Nel contempo abbiamo una responsabilità collettiva per arginare il flusso e iniziare la transizione”.
Nello studio, la musiva va a tutto volume. Oltre alla missione per la sensibilizzazione, l’équipe di “Plastic Odyssey” è impegnata sulla messa a punto delle macchine “low tech” per riciclare le plastiche, tra cui una macchina per fabbricare nuovi oggetti, a partire dalla plastica riciclata.
“Innovazione frugale”
Bob Vrignaud, dal suo canto, sta mettendo a punto il prototipo del pirolizzatore. “Schiacciamo le materie plastiche per ridurle in scaglie di circa 5 mm”, spiega il giovane ingegnere immergendo la mano in un secchio di pezzi di plastica schiacciati. Questi pezzi di plastica vengono dopo riscaldati a 420 gradi in un primo tino che “rompe le molecole e permette la loro evaporizzazione”. La distillazione viene a seguire. Per 4-5 Kg di rifiuti di plastica trattati ogni ora, la macchina permette di ottenere 3 litri di carburante (75% di diesel e kerosene, 25% di benzina).
La tecnica è già utilizzata a livello industriale in alcuni Paesi, ma “invece di avere un fabbrica di grandi dimensione, il nostro pirolizzatore avrà le dimensione di un contenitore marittimo trasportabile. E invece di 1 milione di euro, basteranno alcune decina di migliaia di euro per acquistarlo”, dice Bob Vrignaud, che ha lavorato in stretta collaborazione con un ingegnare di Veolia, mecenate della spedizione, nonché ricercatore dell’INSA di Lyon.
“Stiamo facendo un’innovazione frugale”, dice Simon Bernard. La formula è in linea coi tempi. Ha lavorato per mesi sul sensore di smistamento semplificato, per democratizzare il riciclaggio della plastica a piccola scala. Inoltre, la riduzione dei costi è potenzialmente notevole. “Il nostro obiettivo è di stare sui 100 euro, rispetto ai 15.000 euro per i sensori ultra-sofisticati che si trovano nelle fabbriche europee di riciclaggio”, dice l’ingegnere, che usa anche le competenze dell’Istituto di Ottica, delle Arti e Mestieri e di un ingegnare della Pellenc ST, un’azienda specializzata nelle soluzioni di selezione ottica.
“Tutte le macchine sono open source”
Al momento, la spedizione Plastic Odyssey” è finanziata da alcune aziende benefattrici, e presto da alcuni sponsor. In seguito, l’équipe intende creare una società che potrebbe commercializzare le sue soluzioni di riciclaggio low tech. “Tutte le macchine saranno in open source, cioé chiunque potrà copiarci - dice Simon Bernard -. Alla fine credo che questa sarà la norma. La nostra economia passerà gradualmente da un modello basato sulla concorrenza a uno competitivo verso un altro, basato sulla cooperazione”.
Di tanto in tanto, Roland Jourdain, alias “Bilou”, si ferma a ragionare nello studio. Il navigatore, due volte vincitore della Route du Rhum, ha creato il fondo di dotazione Explore nel 2013 ed ha guidato una decina di progetti per la ricerca a favore del Pianeta. Under the Pole, Nomade des Mers, Low Tech Lab.. Tutti i suoi progetti fanno capo qui, a Concarneau. Belle storie di ricerche e di eroi del riciclaggio o della protezione degli ecosistemi, largamente ripresi dai media in questi ultimi anni.
“Mettiamo gli studi a loro disposizione – dice nel dettaglio Roland Jourdain -. E’ molto importante avere una base di riferimento, un luogo dove poter scambiare le proprie esperienze. E poi noi diamo assistenza per la comunicazione e la ricerca di finanziamenti”. Il navigatore prosegue: “Questa generazione di esploratori ci fa da strada. Può darsi che da qui a qualche anno ci saranno centinaia di migliaia di persone in partenza per queste spedizioni”.

(articolo di Julia Zimmerlich, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 15/06/2018)
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