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Qualcosa sulla 'Lione-Torino'
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Articolo di Annapaola Laldi
10 gennaio 2019 10:00
 
 Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani il quotidiano “Italia Oggi”, un giornale specialistico, che di solito, dall’alto della mia ignoranza, degno di scarsa attenzione. Ma il tre di gennaio mi ha colpito in prima pagina un lungo titolo (“La commissione che deve decidere sul Frejus è formata da avversari del tunnel”) che introduceva un articolo su un argomento di grande attualità (la linea Lione-Torino, impropriamente chiamata TAV), e contenente informazioni e considerazioni comprensibili anche per i profani come me, e degne di una riflessione. Autore, Pierluigi Magnaschi, che poi ho scoperto essere il direttore della testata.
Da perplessa com’ero in un primo tempo, un recente approfondimento della questione, mi ha fatto trovare più concorde con chi è a favore della linea Lione-Torino che con i suoi oppositori. Ritengo, infatti, che per l’Italia del nord, ma non solo, essa rappresenti una opportunità di lavoro e di sviluppo duraturo e a vasto raggio.
Ed è quanto sottolinea Magnaschi quando ricorda l’importanza strategica per l’Italia di questo corridoio ferroviario internazionale sottolineando come il progetto Torino-Lione inserisca l’Italia nel corridoio ferroviario internazionale che, partendo dal Portogallo e passando dal nord della Spagna e dal sud della Francia, punta verso l’Ucraina. “L’Italia quindi,”, osserva Magnaschi”, “con questa Tav, si trova al centro dei traffici ferroviari del Sud Europa. Un Sud Mediterraneo, questo, del quale, se non altro per motivi geografici, l'Italia rappresenta sempre più il baricentro, con grande disappunto della Francia che ricorre ad ogni azione per negarci questo ruolo che è naturale e che solo noi italiani possiamo irresponsabilmente affossare come adesso cercano di fare i pentastellati”.
Al netto della polemica verso i 5stelle, di cui pur condivido alcuni aspetti, a me è interessata molto la parte iniziale dell’articolo che ricostruisce la storia del “sì” dell’Europa al progetto e il clima di alleanza fattiva tra due avversari politici, che le dette vita.
Chiarissimo l’inizio dell’articolo: “Il tunnel del Frejus non è un regalo che l'Italia ha fatto all'Unione europea ma è una concessione che l'Italia è riuscita a strappare a una Commissione europea che non ne voleva assolutamente sapere di far passare, attraverso il Nord Italia, il corridoio ferroviario inter-europeo, dal Portogallo all'Ucraina. La Commissione europea avrebbe infatti preferito obbedire ai poteri forti centroeuropei che chiedevano di farlo passare al Nord delle Alpi, tagliando così l'Italia fuori dalle correnti di traffici (soprattutto merci) che, dall'Ovest del Sud Europa avrebbero dovuto raggiungere il Centroest del Vecchio continente, per saldarsi quindi con la Via della Seta, la Pechino-Rotterdam (la Belt and road)”.
E come poté avvenire che l’Italia riuscisse a imporsi sui poteri forti centroeuropei?
Lo poté fare, osserva Magnaschi, “perché, caso unico nella storia della quasi inesistente tutela italiana degli interessi del nostro paese a livello continentale, due protagonisti al massimo livello della nostra vita politica, anche se appartenenti a raggruppamenti politici allora ferocemente antagonisti, avevano deciso, in questa occasione, di deporre le loro ostilità per mettersi al servizio degli interessi del loro Paese”. I due protagonisti ai massimi livelli e appartenenti a schieramenti ferocemente antagonisti, furono Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea, e Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio dei ministri. In questa occasione essi fecero squadra, riuscendo a fare assegnare all’Italia questo corridoio ferroviario internazionale.   
Ora, Magnaschi osserva come questo gioco di squadra, che aveva avuto come scopo il solo interesse del nostro Paese, sia messo a repentaglio dall’attuale governo, con la nomina di una Commissione per l’esame dei costi-benefici del progetto che sarebbe composta da personalità  che in passato si sono dichiarate decisamente contrarie al progetto. E, a conferma di ciò, stamani, nell’articolo su “Repubblica”  che parla della consegna al ministro Toninelli di questa famosa “analisi costi benefici”, si può leggere una carrellata di precedenti prese di posizione dei cinque membri della commissione, tutte di segno negativo circa il progetto. (Che poi questo documento sia definito dal ministro destinatario "una bozza preliminare" è tutta un'altra storia).
 
Ma, a parte ogni altra considerazione, ciò che, secondo me, è particolarmente rilevante nell’articolo di Magnaschi è la possibilità, auspicata e auspicabile, che dei politici di schieramenti contrapposti possano trovare un’intesa quando ne va del benessere del Paese, del suo sviluppo e del suo peso internazionale.
Come è accaduto un'altra volta, a quanto mi ricordo, quando lo stesso Prodi si spese per l’attribuzione a Milano della sede dell’esposizione universale per il 2015. Si era nel 2007 e sindaco di Milano era Letizia Moratti, anche lei appartenente a uno schieramento opposto a quello di Prodi; eppure, anche in questo caso, l’interesse dell’Italia venne prima dei pur sempre miseri interessi di bottega degli schieramenti politici.
Ecco, è questo che oggi sembra essere dimenticato un po’ da tutti, e soprattutto da chi è al governo. Esemplare, su questo piano, la dichiarazione della ministra alla Salute Giulia Grillo, che azzera il Consiglio superiore di sanità, in carica dal dicembre 2017, con validità triennale, semplicemente perché “siamo il governo del cambiamento”.
Poiché amo il mio Paese, mi auguro che anche queste persone imparino ad avere un respiro più ampio di quello elettoralistico e scoprano molto presto la suprema necessaria virtù dei bravi governanti, che si chiama lungimiranza.
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