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Quando l’affetto del proprio animale non vale nulla
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Articolo di Alessandro Gallucci
16 settembre 2010 18:16
 
A leggere la notizia di una recente sentenza del Tribunale di Milano, che tra l’altro si rifa’ ad una pronuncia della Cassazione (Cass. 27 giugno 2007 n. 14846), non c’e’ da essere felici. Che cosa s’e’ deciso? Che una persona non ha diritto a vedersi riconosciuto il danno morale, la sofferenza psicofisica patita per intendersi, nel caso in cui il suo cane muore a seguito di un errore medico. Che cos’e’ il danno morale? E’ una delle sottocategorie del cosi’ detto danno non patrimoniale del quale il T.A.R. di Genova ci fornisce una definizione precisa ed al contempo sintetica: “il danno non patrimoniale e’ categoria ampia, nella quale trovano collocazione tutte le ipotesi di lesione di valori inerenti alla persona, ovvero: sia il danno morale soggettivo (inteso come momentaneo turbamento dello stato d'animo della vittima); sia il danno biologico in senso stretto (inteso come lesione dell'integrita’ psichica e fisica della persona e coperto dall'art. 32 Cost.); sia infine il c.d. danno esistenziale derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona". (T.A.R. Genova 01 luglio 2010 n. 5498). Nonostante l’ampiezza di questa categoria, nel nostro ordinamento giuridico il legame affettivo con il proprio animale da compagnia non viene fatto rientrare tra quei diritti inviolabili dell’individuo garantiti dalla Costituzione. Se com’ha detto Gandhi “la grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere valutati dal modo in cui vengono trattati i suoi animali”, beh, allora in Italia abbiamo ancora molta strada da fare.
In questo contesto il problema di fondo non e’ tanto il ristoro in termini economici del danno subito, sebbene in uno Stato di diritto che possa definirsi tale e’ del tutto legittimo, anzi, di piu’, e’ doveroso che alla lesione di un diritto segua una riparazione del torto che l’ha causata. La questione piu’ triste della vicenda e’ che va affermandosi un orientamento che da un lato esclude il diritto degli animali, esseri senzienti in grado di provare dolore ed emozioni, ad ottenere la massima attenzione e le migliori cure possibili, ed al contempo nega cittadinanza nell’ordinamento giuridico al diritto del suo compagno di vita, quello che volgarmente chiamiamo padrone, a vedersi riconosciuta ogni forma di tutela per la sofferenza morale che altri hanno causato al proprio animale. Un’impostazione che, siamo convinti, danneggia la stessa categoria dei veterinari sempre piu’ impegnati a vedere riconosciuta la giusta dignita’ al proprio ruolo di medici. Una loro maggiore responsabilizzazione, insomma, aiuterebbe anche a far emergere chi con professionalita’ e passione svolge una professione tutt’altro che marginale.
Ad oggi, invece, stando cosi’ le cose -potra’ sembrare un paradosso ma e’ vero- essere insultati da una persona per la quale non nutriamo nessuna stima e della quale poco o nulla c’interessa, e’ cosa ben piu’ grave del vederci negata la possibilita’ di godere dell’affetto e dell’amicizia del nostro amico. Proviamo a tradurre in fatti concreti, tutt’altro che eccezionali, quest’affermazione.
Giorgio, di appena cinque anni, e’ un bambino introverso, triste ed ha grossi problemi a socializzare. Il medico di famiglia consiglia ai suoi genitori, oltre ad un supporto psicologico, di affiancargli un cane. E’ ormai riconosciuto, anche dalla medicina ufficiale, che i cani, ed in genere i cosi’ detti animali d’affezione, possano svolgere un ruolo determinate nella ricerca dell’equilibrio fisico, psichico e sociale di una persona. In poche parole non vi sono dubbi che gli animali aiutino a stare bene in salute. I genitori del piccolo Giorgio seguono il consiglio ed in effetti il bambino inizia a stare meglio. Dopo poco tempo l’amico a quattro zampe s’ammala e muore perche’ i veterinari che lo hanno in cura, per gravi negligenze, non lo assistono come avrebbero dovuto. Il danno e’ doppio: un animale, non certo per cause naturali, e’ morto. Giorgio soffre molto della perdita del suo amico e nemmeno un nuovo cane affianco, se non dopo molto tempo, riesce a migliorare la situazione. In questo caso i genitori del bambino, stando a quanto stabilito nelle ultime sentenze, non avrebbero alcuna possibilita’ di ottenere un risarcimento del danno morale, ossia della sofferenza psicologica patita dal loro figlio.
Marco ha quarantacinque anni e da quando abita la sua nuova casa, e’ in combutta con il vicino, Luca. Lo reputa un fannullone buono a nulla e non si lascia sfuggire occasione per farglielo notare. Marco, insomma, non ha la benche’ minima stima di Luca. Quest’ultimo, in un momento di rabbia si lascia andare, davanti a degli amici di Marco, ad una serie d’insulti contro il suo vicino. Quest’ultimo, pur non sentendo il benche’ minimo fastidio per quelle offese, prende la palla al balzo e, solamente per ripicca, querela Luca per ingiuria. Alla fine del processo riesce anche ad ottenere il risarcimento del danno morale che nei casi che costituiscono reato e’ chiaramente riconosciuto dalla legge. Nei casi d’ingiuria e diffamazione, poi, la componente non patrimoniale del danno ha una grossa incidenza. In poche parole Marco non solo e’ ben consapevole di non aver patito nulla ma riesce addirittura a sfruttare le leggi a propria vantaggio per monetizzare quel singolo episodio.
Quelli descritti non sono casi limite, ma anche se lo fossero evidenzierebbero una falla nel nostro sistema giuridico. Lo Stato di diritto e’ realmente tale quando chi governa e chi applica la legge riesce a comprendere effettivamente tutte quelle sfumature e quei cambiamenti sociali che rendono necessaria la tutela giuridica di situazioni che fino ad allora non lo erano state. Le basi giuridiche per il riconoscimento del diritto all’affezione verso il proprio animale ci sono gia’ e non volerlo affermare significa sminuire la portata stessa di quei precetti costituzionali che pongono al centro dell’attenzione l’individuo e tutte quelle manifestazioni e tendenze che sono fondamentali per il corretto sviluppo della sua personalita’. L’auspicio e’ quello di un’inversione di tendenza che renda cio’ che oggi non viene riconosciuto: giustizia.
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