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Rielezione del presidente della Repubblica: un suggerimento per l’inizio del discorso alle Camere
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Articolo di Alessandro Gallucci
22 aprile 2013 10:56
 
Oggi pomeriggio, alle ore 17, Giorgio Napolitano presterà il giuramento a seguito della rielezione alla carica di Presidente della Repubblica. Un fatto senza precedenti: mai nella storia repubblicana una persona aveva visto prolungato il proprio settennato. Tutto nel pieno rispetto della Costituzione, nessuno strappo alle regole, come qualcuno vorrebbe far pensare. Certo è che si tratta di un evento che fotografa impietosamente un momento di straordinaria incapacità della politica a guardare avanti indicando un nome che fosse in grado di rappresentare la convergenza di almeno 504 votanti (grandi elettori come in modo pomposamente inutile vengono definiti). Chiedere al Presidente uscente (che s’era espresso in modo fortemente negativo su una propria riconferma) di rimangiarsi quanto detto e restare a fare ciò che stava portando a termine, anche per ciò che rappresenta la più alta carica istituzionale nel nostro assetto costituzionale, significa la sottoscrizione da parte della politica tradizionale di un’autocertificazione della propria attuale incapacità. A questo risultato non si è arrivati per caso; da anni, probabilmente da decenni, chi ci governa ha intenzionalmente tralasciato di risolvere problemi di varia natura. Ora i nodi vengono al pettine, tutti assieme. Il rischio dell’incapacità di venire a capo di una situazione sempre più complessa, dunque, è ancor più alto. Il contesto attuale, però, non è solo il frutto dello stillicidio di errori commessi in anni di pessima gestione della cosa pubblica; esso è anche la risultante di alcuni comportamenti tenuti dallo stesso Presidente Napolitano. Un nuovo settennato della stessa persona, quindi, non può non partire da una loro condivisione con chi ascolterà il suo discorso d’insediamento. Immaginiamo, e nel farlo ci permettiamo di porlo alla considerazione del Capo dello Stato, che l’incipit del discorso possa essere questo:

“On.le Presidente della Camera e del Senato, Onorevoli e Senatori tutti, ecc. […].

La straordinaria situazione politica che mi ha portato, primo tra tutti i Presidenti della Repubblica, ad accettare il rinnovo dell’incarico per altri sette anni, è il frutto di una disgraziata condizione di totale stasi delle istituzioni. Quest’immobilismo si manifesta oggi, ma affonda le proprie radici in un lungo periodo di colpevole trascuratezza rispetto a problemi strutturali d’ogni genere che meritavano ed ancora meritano immediata e duratura soluzione. Alla mia età e per il mio trascorso politico di lungo corso non posso esimermi dal considerarmi in parte responsabile di tutto ciò. Ma il particolare, credo, due miei atti dell’appena trascorso settennato hanno contribuito a mettermi nella condizione, mio malgrado, di sentirmi domandato e di dover riaccettare di assumere l’incarico di Presidente della Repubblica. Nell’arco di un anno, tra novembre del 2010 e novembre del 2011, per ben due volte mi si è posta davanti la seria prospettiva di sciogliere le Camere e ridare la parola agli elettori. Non l’ho fatto. La prima volta dando, nei fatti, all’allora Presidente Berlusconi il tempo di rabberciare la propria maggioranza dopo che l’onorevole Fini ed altri deputati ne erano fuoriusciti. Il 2011, ricorderete tutti lo spread ecc. ecc., è storia recente e mi sono dovuto comportare come ho fatto proprio perché mi sembrava che sarebbe stato sbagliato tornare al voto in quella situazione. In entrambi i casi ho sperato che il Parlamento potesse risolvere molti dei tanti nodi che stavano venendo al pettine. Mi sbagliavo. La richiesta di vari esponenti politici che m’è giunta in questi giorni e la mia disponibilità a rivedere le mie convinzioni, espresse in modo molto netto, sono il frutto anche di queste mie scelte ma non devono nuovamente divenire la scusa per non cambiare nulla. Abbiamo, tutti assieme, creato un precedente nuovo nel panorama dell’elezione dei Presidenti della Repubblica. Nulla di illecito rispetto al dettato Costituzionale. Tuttavia a mio avviso questa situazione deve essere considerata assolutamente straordinaria ed irripetibile, la classica eccezione alla regola, perché sul vuoto di altre soluzioni pesano anche gli errori del passato. E tutti, me compreso, dobbiamo farcene carico per evitare che nel futuro si ricreino le condizioni per il ripetersi di una situazione simile: non ho intenzione di mettere la mia firma sulla definitiva rovina della democrazia italiana.

Passo ora ai termini che mi hanno portato ad accettare l’incarico.

[…]”

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