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La signora che mangia
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Articolo di Annapaola Laldi
18 dicembre 2009 3:03
 

La signora che mangia ...

Quando avevo poco più di vent'anni, cercando aiuto per la mia tesi di laurea su un argomento di letteratura tedesca, che mi risultava alquanto ostico, approdai -non ricordo in che modo- a una signora tedesca (sveva, mi pare), di nome Inge, che doveva avere sui 55 anni e che da almeno trenta abitava in Italia: qui si era sposata e qui aveva avuto i suoi due figli, il minore dei quali era poco più grande di me. Era una donna molto colta, curiosa di usanze e costumi diversi, e, oltre che a mandare avanti la famiglia, scriveva libri (pubblicati in Germania), vuoi romanzi, vuoi guide di viaggio di un taglio molto personale, che avevano per oggetto soprattutto la Sicilia e la Sardegna, due terre da lei molto amate e nelle quali aveva viaggiato a lungo anche da sola, in tempi in cui, per una donna, non era poi così scontato. E ora che ci penso, credo di doverle parecchio non solo sul piano culturale, ma anche proprio come esempio di vita. Se si aggiunge che non era affatto sussiegosa e neppure attaccata al denaro, beh, devo dire che per me è stato davvero un bell'incontro!
Bontà sua, mi trattò sempre di più come un'amica e, quando arrivò il Natale, mi invitò alla veglia del 24 dicembre celebrata in uno stile per me del tutto nuovo.
Così, quella sera, quando entrai nel salotto, dove avevo già trascorso diverse ore a parlare di espressionismo, lo trovai completamente trasformato: spostate lungo i muri le poltrone e le sedie per far posto a un grandissimo abete con pochi ornamenti ma tutti di ottimo gusto e fattura, oltre che palpitante di vere candeline di cera -il che mi tenne all'inizio un po' in apprensione per il mio innato catastrofismo.
Sul grande tavolo, che aveva fatto la sua comparsa chissà da dove, fra corone verdeggianti e candele accese, era imbandito un buffet pieno di leccornie salate e dolci. Il pianoforte, sulla parete destra, che avevo sempre visto chiuso, adesso aveva il coperchio sollevato, e io me ne rallegrai, perché, pur essendo esimiamente stonata, mi è sempre piaciuta tanto la musica suonata dal vivo, in una dimensione domestica.
Trovai tutto così nuovo che non mi pesò neppure quell'oretta o più che trascorse fra il mio arrivo (sempre inesorabilmente in anticipo!) e quello delle altre persone che, va detto, erano tutte ben più "grandi" di me -salvo un ragazzo e una ragazza, con i quali legai subito e che, da un angolo privilegiato per la visuale, mi presentarono tutti i personaggi presenti. Perché, alcuni degli astanti erano davvero dei personaggi; c'erano, appresi dai miei due "ciceroni", dei cultori di varie arti e di differente origine (italiana e tedesca, soprattutto); una signora scriveva poesie e pubblicava una rivista di "scrittura sperimentale", un signore, invece, pare fosse rinomato nel campo della pittura, e, del resto, anche lo schivo figlio maggiore della signora Inge dipingeva dei quadri apprezzabili, solo con una prospettiva un po' particolare e, volendo, anche inquietante; il suo tema prediletto erano, infatti, gli alberi, raffigurati però nella parte centrale del tronco, vale a dire che non se ne vedeva né la radice né la chioma.
E un personaggio doveva essere anche la signora tutta vestita di nero, "perché dopo deve andare a cantare in Duomo", che si sedette al pianoforte per ricavarne quel minimo di accordi necessari a richiamare l'attenzione degli astanti. La maggioranza dei quali si disposero in ordinato semicerchio intorno al pianoforte, fornendo alle sue note, con entusiastica convinzione, le giuste parole per dire la gioia del Natale.
E fu, a questo punto, accanto al pianoforte che scoprii il personaggio per eccellenza, quello che mi mandò in delirio, cioè il basso russo. Sì, sì, proprio un basso russo in carne e ossa. Un basso vero. Basso di nome e di fatto. E, come è giusto che sia, alquanto corpulento. Il quale, dopo essersi fatto un po' pregare, intonò dal profondo della sua anima … Volga Volga. In russo. Stupendo, meraviglioso!
Quando, dopo vari altri cori natalizi, durante i quali io sempre mi astenni dal partecipare per carità di patria verso me stessa e compassione per le altrui orecchie, ci si poté avvicinare al buffet, i miei "ciceroni" mi dettero una piccola gomitata e mi accennarono a una signora forse sui settant'anni, che, con mossa rapida, si era preparata un bel piatto con tutte le specialità e, posatolo su un termosifone, si accingeva a gustarle in santa pace. "E' la signora che mangia", mi sussurrarono i due amici. E mi raccontarono che questa era la sua caratteristica; veniva in compagnia della figlia, la pianista, si metteva da una parte, non parlava con nessuno, sembrava non interessarsi di ciò che accadeva, ma, quando arrivava il momento del buffet, era proprio un razzo…
La vidi altre tre o quattro volte, "la signora che mangia", e mai smentì questa calzante descrizione. Poi, a un certo punto, venne il momento di declinare l'invito natalizio della signora Inge, un po' perché quell'appuntamento mi risultava ormai noioso, un po' perché mi trovai in tutt'altre faccende affaccendata. E così "la signora che mangia" fu archiviata fra i ricordi simpatici di gioventù.
... e il suo ritorno
Passarono gli anni, tanti, proprio parecchi. Finché… eh, finché, in un pomeriggio di prima estate, a una festa di battesimo che si teneva all'aria aperta sulle colline di Montespertoli … ma guarda un po' le combinazioni… "la signora che mangia" è di nuovo qui: questa volta se ne sta seduta sul divanetto dell'altalena, poi si alza, consegna il regalino alla mamma del battezzato, scambia due parole sinceramente cordiali con lei, e intanto guata il ricco buffet casalingo e, appena capisce che si può … si fionda come una scheggia, si riempie il piatto e si apparta per gustarselo in tutta tranquillità. Già. Ma in quel fatale momento uno specchio immaginario restituì l'immagine della "signora che mangia" -ed era la mia immagine! E in quel momento, di fronte a un'evidenza così lampante, non seppi se ridere o piangere, perché avendo appena passato i cinquanta, mi rendevo conto di avere davanti una lunga carriera di "signora che mangia". E così è. Con un piccolo triste particolare. Non so se "la signora che mangia" originale potesse davvero mangiare impunemente tutte quelle leccornie, di cui riempiva più volte il piatto. Di certo, per me non è così; mi sono scoperta "la signora che mangia" proprio quando ho smesso di poter mangiare a piacimento e quando i buffet sono diventati un terreno minato. Perché, di fronte a essi, io mi abbuffetto tanto volentieri. Dice: "ma come, fra le tante cose in tavola, puoi scegliere quello che ti pare, ed evitare le cose pericolose". Sì, è una parola. Il fatto è che lì mi viene voglia di assaggiare di tutto, e poi, dato che, appunto, mi abbuffetto alla svelta, come se avessi una fame arretrata degna dei picari del Seicento spagnolo, non riesco ad avere la panoramica generale, dato che alcuni piatti vengono offerti (maliziosamente?) in seconda battuta. Ma, domando e dico, posso fare un torto alla zuppa di farro, anche se ho già assaggiato (si fa per dire) le pennette alla boscaiola? Oppure snobbare lo sformato di carciofi solo perché, poverino, senza colpa, lo hanno messo sulla tavola parecchio dopo lo sformato di finocchi, a cui ho reso il debito onore? Per non parlare, ovviamente, dei dolci che -non so perché- ce n'è sempre tanti e di tanti fantasiosi -e gustosissimi- tipi.
Il fatto è che poi stomaco, fegato e compagnia ("i nostri più sinceri amici", li chiama una signora cinese che conosco) hanno da dire la loro. E la dicono. Eccome se la dicono.
E io mi domando se, per caso, non fosse una sorta di profezia quella contenuta in uno dei primi fumetti che lessi una quindicina di anni fa per e con un mio piccolo amico.
C'era una festa
nel bosco di Cip e Ciop e i due scoiattoli, invaghiti della scoiattolina Cindy, vi si presentano con una grande scatola di cioccolatini da dividere proprio con lei. Ma lei, con tenera fermezza, risponde: "Oh, mi dispiace! Oggi mangio solo frutta.". Grande Cindy! Che intrepida creatura! Riuscirò mai a essere come lei?

Nota (musicale
)

La canzone dei battellieri del Volga cantata dal basso russo Boris Christoff
e dal cantante tedesco di origine russa Ivan Rebroff, in due versioni (1968 e 1992)

e Stille Nacht, in quattro versioni: in lingua originale, cioè in tedesco, nell'interpretazione di
un coro di voci bianche , in inglese (Silent night) nell'interpretazione di Olivia Newton John, in francese (Douce Nuit) nell'interpretazione di Mireille Mathieu e infine in italiano (Astro del ciel), nell'interpretazione di un'orchestra giovanile e di un coro di voci bianche.
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