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Stati Uniti d'Europa. Sette domande e sette risposte per capire cos‘è e che fine farà il piano di Merkel e Macron
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Articolo di Redazione
21 maggio 2020 12:54
 
 Il piano da 500 miliardi di euro del presidente francese Emmanuel Macron e della cancelliera tedesca Angela Merkel è una delle mosse più potenti degli ultimi anni per il futuro dell’Unione dai tempi del whatever it takes di Mario Draghi, l’ex presidente della Banca centrale europea.  Ma non tutti hanno capito perché. Tra sussidi, prestiti, rimborsi e termini inglesi il rischio di perdersi è forte. Ecco qualche domanda e risposta per orientarsi.

1.Perché è una dichiarazione importante?
Dopo quasi due mesi di intense discussioni, si è arrivato a un accordo storico: la rigorosa Germania ha accettato di sostenere un progetto per un Fondo europeo per la ripresa (in inglese, Recovery Fund) di cinquecento miliardi di euro. Il significato politico di questo annuncio congiunto è centrale per le trattative su come affrontare la crisi economica: dopotutto, abbiamo già visto quanta attenzione i leader europei dedichino ai simboli.
La Germania è a favore di una sostanziale emissione di debito comune e persino circa i finanziamenti a fondo perduto ai i paesi europei più bisognosi (ci arriviamo, promesso). Inoltre, la conferenza congiunta è un vero inizio per un ulteriore passo avanti verso il completamento dell’unione monetaria europea — ma anche per il futuro di Macron, che martedì ha pure perso la maggioranza nell’Assemblée Nationale. Il presidente francese ha sempre cercato di proporsi come il riformatore dell’Unione.

2.Come mai “solo” 500 miliardi di euro?
Teniamo a bada gli ottimismi e torniamo alle esigenze concrete. Certo, cinquecento miliardi non sono pochi, ma nelle scorse settimane ci sono stati dichiarazioni per mille, duemila miliardi di euro. La differenza è ben spiegata da Silvia Merler, ricercatrice capo del Policy & Research Forum di Algebris e dottoranda alla School of Advanced International School della John Hopkins University.
Con il Consiglio Europeo del 23 aprile eravamo rimasti a un fondo che avrebbe previsto sia prestiti (loans) che sussidi (grants, prestiti a fondo perduto), ma la proporzione sarebbe stata oggetto della successiva negoziazione. Si trattava di una bella gatta da pelare per la Commissione Europea, incaricata di proporre una bozza per l’accordo. Francia e Germania hanno però bruciato le tappe e hanno raggiunto un accordo sulla parte più controversa del Recovery Fund: 500 miliardi di grants.

3. Ma è tanto o poco?
La risposta è “dipende”: dal punto di vista delle concessioni politiche, sì. Da quelle contabili, forse meno. Sia chiaro, cinquecento miliardi non sono noccioline: è una cifra di gran lunga superiore dell’indebitamento annuale del nostro paese, che secondo la Legge di bilancio sarà di 305 miliardi di euro solo per il 2020. Ma è proprio questo l’argomento più forte dei critici: 500 miliardi presi dal budget pluriennale europeo, spalmato 7 anni, non sembrano molti, considerato che andranno ripartiti tra i paesi membri. Nulla vieta però, suggerisce Merler, che Ursula von der Leyen proponga di includere una componente aggiuntiva in loans. In ogni caso, il budget europeo – lo abbiamo sempre ricordato – è molto limitato: lo scorso anno è stato di poco meno 150 miliardi di euro. Quindi 500 miliardi significa aumentarlo del cinquanta percento per creare un fondo che aiuterà i paesi più colpiti dalla crisi (Italia e Spagna sopra tutti).

4. Perché è importante che ci siano grants e non solo loans?
Perché praticamente si tratta di un’espansione del bilancio europeo e di una nuova voce di fondi “strutturali” che verranno assegnati agli stati non su base proporzionale ma alla necessità. In altre parole, se si fosse trattato di loans, l’Italia avrebbe potuto richiedere un prestito agevolato (un po’ come il Mes, ma senza tutto lo stigma collegato) pari al suo peso in Europa (circa un 12%). Ora potrà ricevere una percentuale persino più grande. Già (da anni) la Bce sta comprando molti più titoli italiani che quelli di altri paesi, andando oltre il principio di proporzionalità. Insomma, è difficile negare che siamo trattati con un po’ di favore.

5. E chi paga?
Tutti, ovviamente. Ma — è proprio questo il punto — chi riceverà i sussidi del Fondo pagherà meno degli altri. Il budget europeo (detto Quadro finanziario pluriennale o Qfp) infatti, è formato dai versamenti degli stati membri in proporzione al loro peso economico. Come spiega il Ministero dell’Economia e delle Finanze, tra le varie voci l’Italia contribuisce alla spesa europea per il 12% (mentre la Germania al 20,5% e riceve molto meno di quello che dà). Se siete state attenti, questo significa che l’Italia potrà ricevere molto più di quanto verserà al Fondo per la ripresa. Come spiega Merler, se ricevessimo un 25% (solo a titolo di esempio) delle risorse del Fondo (125 miliardi di euro) ne dovremmo ripagare solo 70. In altre parole, è come se gli altri paesi ci avessero regalato le risorse per finanziare l’ultimo decreto per l’emergenza economica.

6. Come si finanzierà questo fondo?
Il fondo sarà finanziato attraverso un’emissione di debito comune: nessuno stato dovrà versare subito una quota, ma il debito verrà ripagato anno per anno dalla Commissione Europea attingendo al Qfp. In altre parole, i tassi saranno molto bassi: possibilmente anche negativi. Non sarebbe altrettanto facile per l’Italia ottenere fondi a queste condizioni così favorevoli: il tasso di interesse sui Btp a 10 anni è pari all’1.64%, mentre è dello -0.5% per la Germania e -0.02% per la Francia. In altre parole, il Recovery Fund sarà sostanzialmente un trasferimento di risorse dai paesi più ricchi (Germania in primis) a quelli più colpiti dalla COVID-19.

7. Passerà la proposta di Macron e Merkel?
Dipende. La proposta franco-tedesca dovrà passare attraverso il tavolo delle negoziazioni: ci saranno dei compromessi per entrambe le parti. Si sono già opposti i Quattro frugali, ossia la coalizione dei paesi più rigorosi dal punto di vista fiscale: Austria, Danimarca, Paesi Bassi (no. non dovremmo più chiamarla Olanda) e Svezia. L’Austria fa da capofila: in una email inviata a Politico.eu, il ministro delle finanze austriaco Gernot Blümel ha ribadito la linea del cancelliere Sebastian Kurz: il suo paese è a favore di espandere le garanzie per i prestiti per i paesi più bisognosi, ma non per i sussidi.
Politico sottolinea che l’opposizione al Recovery Fund è stata più timida di quanto ci si aspettasse: la ministra delle finanze svedesi, Magdalena Andersson, ha detto che aspetterà il testo della proposta che la Commissione Europea presenterà il 27 maggio.
Persino Wopke Hoekstra, il rigoroso ministro delle finanze olandese, non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali di grande rilievo. Insomma, quando la Germania si è presentata a questa conferenza stampa, qualcosa si è rotto nell’opposizione dei paesi contrari al Fondo per la ripresa. Una fonte del partito di Rutte, il Partito popolare per la libertà e la democrazia (VVD), ha dichiarato che la proposta è «realista» e non esagerata, ma che probabilmente i Paesi Bassi chiederanno di includere delle condizioni per accettare i trasferimenti. In particolare, si riferiscono al rispetto dello Stato di diritto (per condizionare i paesi come Polonia e Ungheria, che sono piuttosto noti per le loro politiche che minano i fondamenti della democrazia) e anche a vincoli sull’impiego delle risorse.

(articolo di Luca Baggi, pubblicato su Europea/Linkiesta del 21/05/2020)

 
 
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