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E tutto fini' a tarallucci e ... gin?
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Articolo di Annapaola Laldi
29 giugno 2016 16:43
 
 Doverosamente premetto:
a) che non mi sorprendo più di tanto della confusione di idee manifestata, subito dopo la vittoria del “Leave”, dai semplici cittadini britannici, che hanno votato per lasciare l’UE, e anche da alcuni di coloro che, pur avendo promosso e sostenuto quella campagna, solo a scrutini ultimati, si sono resi conto del vaso di Pandora che avevano scoperchiato e ne sono stati intimoriti, se non proprio spaventati. Siamo esseri umani – sulle rive del mar del Nord come su quelle del Mediterraneo! -
b) e che a me farebbe tanto piacere che la Gran Bretagna restasse saldamente ancorata alla Unione Europea, perché fa parte integrante dell’Europa e, come ha ricordato qualche giorno fa Lucia Annunziata sul suo blog, in tanti luoghi del continente riposano le “ossa dei nostri padri inglesi, che hanno perso la vita per salvare anche noi" .
Detto questo, trovo legittima la domanda del titolo, perché vi sono molti segnali che indicano il desiderio di una parte rilevante dell’opinione pubblica britannica e anche dei politici di trovare una soluzione dell’imbroglio in cui questa nobile Nazione si è cacciata.
Un autorevole commentatore del “Financial Times”, Gideon Rachmann , per esempio, conclude il suo articolo dal titolo “Non credo che la Brexit avverrà” con queste parole:
Come ogni buon dramma, la storia della Brexit è stata traumatizzante, drammatica e sconvolgente. Ma la sua fine non è stata ancora scritta”. Del resto, nel sottotitolo si era già chiesto: “Ci saranno urla di rabbia, ma perché dovrebbero essere gli estremisti delle due parti a imporre come finisce la storia?”.
Ma non sono solo i giornalisti come Rachman a vedere le cose in questa prospettiva. E’ di ieri la notizia che il ministro della Sanità britannico, Jeremy Hunt, ha dichiarato al “Daily Telegraph” che se l’Europa facesse concessioni per mettere un freno all’immigrazione, “potremmo fare un secondo referendum per ribaltare il risultato di quello della settimana scorsa” (su “Repubblica" del 28 giugno).
D’altra parte, anche se il referendum si è svolto secondo il dettato delle leggi britanniche, sono molti i commentatori che fanno notare quanto quella normativa sia scriteriata: lungi dall’assicurare un serio esercizio democratico, esso è stato una “roulette russa”, come osserva Kenneth Rogoff sull’edizione cartacea del “Sole 24 ore” del 28 giugno. Infatti, la Brexit è stata decisa solo dal 37% degli elettori, dato che è andato a votare solo il 72% circa degli aventi diritto (e di essi ha votato a favore dell’uscita solo il 51,9%) L’assurdità della cosa è evidente: come si fa a mettere nelle mani della maggioranza semplice una questione così delicata e complessa come un trattato internazionale come quello che lega(va?) la Gran Bretagna all’Unione europea? (Saggiamente i nostri padri e madri costituenti hanno stabilito che su questo argomento non si dà referendum popolare: comma 2 dell’art. 75).
E inoltre è quasi unanime l’analisi che sostiene che questo referendum è stato fatto soltanto per ovviare a dissidi interni dei partiti britannici, diventando peraltro, per loro, un boomerang devastante, i cui drammatici effetti si riverberano, però, ahimè, in tutto il mondo (bel colpo, ragazzi!).
Di fronte, quindi, a un uso improprio di uno strumento così importante per la democrazia (una sorta di interesse privato in atti d’ufficio), sono tanti i commentatori inglesi e non che sostengono, come fa Carlo De Benedetti, sempre sul “Sole 24 ore” del 28.6, che questa non è democrazia, ma abuso e distorsione della democrazia . Resta comunque il fatto, come ho già osservato, che il referendum si è svolto secondo le regole vigenti nel Regno Unito e che adesso sta ai sudditi di Sua Maestà britannica trovare il giusto … Azzeccagarbugli.
Intanto, vale la regola del “Fai da te”, molto individualista, ma efficace. Consigliata – che paradosso! – proprio da Ian Pasley jr. che è stato uno dei più forti sostenitori della campagna del “Leave”, ma che il 25 giugno scrive in un tweet: “Il mio consiglio è che se avete i requisiti per avere un secondo passaporto, prendetelo”. Lo spiega bene Maria Corbi, inviata della “Stampa” a Belfast nel suo articolo del 28 giugno “La via pacifica degli irlandesi del Nord per rimanere in Europa …” . La legge della Repubblica d’Irlanda (Eire) prevede infatti che ogni cittadino britannico, che abbia un antenato irlandese in linea diretta, possa chiedere la cittadinanza irlandese. Per i nati in Irlanda, anche del Nord, la cosa è ancora più semplice – basta, appunto, essere nati nell’isola. E così i moduli per richiedere la cittadinanza vanno a ruba negli uffici postali anche di Londra, mentre i più lungimiranti hanno già provveduto fino dal marzo di quest’anno (incremento delle domande di cittadinanza del 33%, come da dati forniti dal Ministero degli Esteri irlandese).E come se non bastasse, a livello politico nord-irlandese, si ventila l’idea di un referendum per la riunificazione dell’Ulster con la Repubblica d’Irlanda. Alla fin fine – o prima di ogni altra cosa – sono tutti Irlandesi! E a Belfast, testimonia la giornalista, sono molte le bandiere repubblicane che sventolano dalle finestre.
E intanto, mentre la premier scozzese, Nicola Sturgeon è a Bruxelles a chiedere sostegno per restare in Europa, a Londra si segnalano da alcuni giorni manifestazioni di gente contraria alla Brexit.
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