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10 luglio 2011 19:36 - mariorossi103
Segnalo il seguente intervento di ieri in argomento sul blog dirittoedemocrazia.wordpress.com

In questo sciagurato Paese, bello e struggente, chiamato Italia, accadono cose sorprendenti e incredibili. Il governo e il parlamento, espressioni della più retriva e illiberale cultura di destra, hanno deciso di affossare definitivamente la giustizia, intesa sia come legittima aspirazione alla migliore tutela dei diritti dei cittadini, sia come struttura organizzativa statuale in grado di fornire risposte adeguate, tempestive ed efficaci; con, viene proprio da dire, la quasi totale disattenzione e il pressoché unanime disinteresse delle opposizioni.

Già si fa poco e male per migliorare l’efficienza della macchina giudiziaria; anzi, sembra che tutti gli interventi spingano nella direzione ostinata e contaria. La difesa legittima e costituzionalmente garantita dei diritti dei cittadini, inoltre, è di continuo ostacolata e resa sempre più difficile dalle tante insidie e dai troppi trabocchetti procedurali e di rito, che finiscono a volte per vanificare i diritti stessi nella loro concreta e sostanziale possibilità di esplicazione. Quando un ordinamento giuridico si mostra più attento alla forma che alla sostanza delle cose, il risultato è che, più o meno consapevolmente, mina alla radice il fondamento stesso dei diritti, a probabile svantaggio dei più e a sicuro vantaggio dei pochi, elitari, benestanti e potenti. Unica consolazione è rappresentata dai pronunciamenti di certa parte della giurisprudenza, sia di merito e sia di legittimità, la quale, sia pure con mezzi limitati e con incolpevoli lungaggini procedurali, riesce a fornire risposte degne della miglior possibile “giustizia sostanziale”.

Gli ultimi provvedimenti dell’esecutivo aggrediscono il fronte anche dal lato degli aggravamenti di carattere economico per usufruire del servizio giustizia. Da poco vi è stato un aumento generalizzato e considerevole degli importi per diritti di copia e conformità degli atti del processo; ora, con il decreto legge di qualche giorno fa, si opera sugli importi e sulla eliminazione delle esenzioni dal contributo unificato, una sorta di “tassa di accesso” alla giustizia. Il contributo unificato viene aumentato in media con percentuali che vanno dal 10% al 20%; non sono più esenti le controversie di lavoro, se il reddito delle parti supera una certa soglia, né quelle di previdenza e assistenza, né quelle per la separazione personale dei coniugi e per il divorzio; nel processo amministrativo, il contributo per le controversie in materia di cittadinanza, residenza, soggiorno e ingresso nel territorio dello Stato, già piuttosto alto, viene ulteriormente aumentato. Il tutto, ovviamente, con grande gioia dei cittadini più deboli e meno abbienti, che, in tal modo, vedono ancor più accessibile e alla loro portata il mondo della tutela dei diritti; i cittadini stranieri, ancor meglio se extracomunitari, manifesteranno un sentito ringraziamento, magari nelle loro strane usanze tribali. A questo punto, si potrebbe obiettare che, almeno per i soggetti al di sotto di un determinato reddito, è previsto l’istituto del gratuito patrocinio a carico dello Stato: ottima e lodevole misura legislativa, di grande civiltà giuridica; purtroppo però, come quasi sempre, solo sulla carta. I fondi del relativo capitolo del bilancio dello Stato sono esegui e spesso si esauriscono nei primi mesi dell’anno di riferimento, i difensori delle parti prestano la loro opera professionale anticipando le spese e i compensi, la liquidazione in loro favore è notevolmente inferiore alla media della tariffa e (circostanza che, insieme con le altre, spesso allontana i più capaci e competenti) in molti casi viene concretamente corrisposta anche dopo anni dall’espletamento dell’attività.

Ancor di più e meglio è riuscito a fare l’esecutivo, sempre nell’ultimo decreto legge, nell’àmbito della giustizia tributaria, con la chiara ed evidente intenzione di renderla innocua, inoffensiva e irrilevante; segno di completa avversità e insofferenza al controllo di legalità sulle pretese dell’Erario, indipendentemente dalla loro legittimità e fondatezza, con il solo intento di “fare cassa” e sempre a scapito degli sprovveduti. In estrema sintesi e concisione: introduzione anche qui del contributo unificato per scaglioni di valore delle controversie; incompatibilità alle funzioni di giudice tributario per tutti gli iscritti agli albi professionali, elenchi e ruoli (i quali, attualmente, sono circa i 2/3 dei giudici in carica); incompatibilità alle funzioni anche per rapporti di parantela, affinità, coniugio e (strano che la chiesa non abbia fatto sentire la sua voce!) convivenza; decadenza automatica alla fine dell’anno in corso dei giudici attualmente in carica, che si trovassero in condizione di sopravvenuta incompatibilità; incrementare la presenza nelle Commissioni tributari dei magistrati di carriera, in servizio (così sottraendo tempo prezioso alle loro ordinarie attività) o a riposo; mantenimento, però, degli attuali compensi irrisori dei giudici tributari; previsione del procedimento di reclamo, da attivare prima della proposizione del ricorso davanti alla Commissione tributaria a pena di inammissibilità. E’ evidente che l’attività della gran parte delle Commissioni tributarie sarà bloccata, quanto meno per un certo periodo, a tutto nocumento dei soggetti, cittadini e imprese, destinatari di atti di accertamento, avvisi di mora e cartelle esattoriali per pretese erariali e non. I quali soggetti saranno sempre di più in balìa della controparte pubblica, che può sempre usufruire della esecutività degli atti di accertamento, che possono essere sospesi dal giudice tributario (a questo punto, ammesso che si riesca a trovarne uno) solo per un periodo massimo di 180 giorni.
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