"Ma non confondiamo il proselitismo religioso con
l'informazione medico-scientifica."
Io
aggiungerei "... e il proselitismo ideologico di enti
come l'ADUC".
24 giugno 2008 0:00 - Lorenzo
L'OMS dice che non impedisce l'impianto
dell'embrione in utero, poichè non altera
l'endometrio. Questo non è sufficiente. Cosa accade tra
il momento della fecondazione e quello dell'arrivo in
utero? In quell'intervallo di tempo, si possono avere
effetti sul normale sviluppo dell'embrione. Se sì,
allora la pillola del giorno dopo è abortiva.
24 giugno 2008 0:00 - Useg
... impedisce l'annidamento dell'ovulo fecondato.
Più chiaro di così!
24 giugno 2008 0:00 - Sergio
La contraccezione d’emergenza (CE) agisce sui meccanismi
dell’ovulazione inibendo la stessa o la fertilizzazione.
Non ha alcun effetto sulla gravidanza e non è dimostrato
alcun effetto post-fertilizzazione (per esempio impedendo
l’impianto dell’ovulo fecondato). In alcuni casi sono
state rilevate modificazioni dell’endometrio uterino, ma
non si può affermare che queste modificazioni siano
responsabili del mancato impianto dell’ovulo fecondato,
anche perché solo 1 ovulo fecondato su 5 naturalmente
s’impianta avviando la gravidanza.
Il
meccanismo d’azione principale della CE è nei confronti
del processo ovulatorio. In sostanza, se assunta prima
dell’ovulazione, la CE riduce le probabilità di un ovulo
di essere fecondato, ma non è in grado di modificarne il
destino, una volta che la fertilizzazione sia avvenuta.
Il problema scientifico non è evidenziare
l’esistenza di effetti post-fertilizzazione, ma dimostrare
che questi siano sufficienti per bloccare l’evoluzione, o
l’impianto, di un ovulo fecondato. Anche se ci fosse un
test accurato dopo la fertilizzazione, scoprire che alcuni
ovuli fertilizzati non si sono impiantati dopo
l’assunzione della CE non significherebbe dimostrare che
la CE agisce dopo la fertilizzazione, poiché la maggior
parte delle uova fertilizzate naturalmente non si impianta.
Quella che si chiede è una prova diabolica.
Coloro che sono contro la CE usano esclusivamente
l’argomento della possibilità teorica. Ma se non posso
dimostrare che qualcosa influenzi qualcos’altro non posso
affermare che ci sia influenza e non posso chiedere di
dimostrare la non-influenza perché quest’ultima è una
“prova diabolica” per definizione non dimostrabile.
Non potendo fare studi diretti sulle donne, la fase
intracorporea tra la fertilizzazione e l’impianto è
difficile da accertare in tutti i suoi aspetti oggettivi e
soggettivi. L’aspetto è poi complicato dal dato oggettivo
che in natura solo 1 ovulo fecondato su 5 s’impianta dando
inizio a una gravidanza.
Il CNB non risponde al
quesito se la pillola del giorno dopo “interferisca con lo
sviluppo embrionale”, ritenendo sufficiente accennare ad
una generica possibilità di effetti post-fertilizzazione.
Non trattandosi di aborto, il CNB non ha potuto richiamare
la legge 194/78, per la quale l’obiezione di coscienza
può essere invocata solo dopo l’impianto, in caso di
gravidanza diagnosticata. Analogamente, non essendoci la
certezza dell’embrione, il CNB non può invocare la legge
40/2004, che riguarda condizioni determinate dal medico,
nelle quali l’embrione è una presenza certa. Così,
per pronunciarsi a favore della possibilità di non
prescrivere la pillola del giorno dopo, il CNB richiama
esclusivamente l’art. 19 del Codice di Deontologia Medica,
per il quale il medico “può rifiutare la propria opera”
qualora “vengano richieste prestazioni che contrastino con
la sua coscienza o le sue convinzioni cliniche”, con una
interpretazione così estensiva che, se applicata con
coerenza, rischia di condurre alla paralisi. Il CNB fa
riferimento alla “coscienza” e non esclusivamente al
“convincimento clinico”, che implicherebbe una certa
plausibilità, mentre per la “clausola di coscienza” è
sufficiente un dubbio teorico sui possibili effetti
post-fertilizzazione. Il CNB confonde la non
escludibilità teorica che un evento possa accadere, con la
probabilità, piccola o grande, ma dimostrabile, che
l’evento possa accadere realmente. “Scienza e
coscienza” è cosa molto diversa da “scienza o
coscienza”: il CNB ha scelto la seconda formulazione: il
medico può far prevalere a sua scelta la scienza o la
coscienza; le convinzioni cliniche o la coscienza. Una
“o” al posto di una “e” e cambia tutto il senso di
un ragionare.
Come hanno notato i giudici della
tanto citata (a sproposito) sentenza del TAR del Lazio
(sentenza n. 8465/2001), la legge 194/1978 regola
l’interruzione volontaria di gravidanza. Il sottolineare
la volontarietà nell’interrompere il decorso di un
evento, mette in evidenza che ci sia consapevolezza
dell’evento. In altre parole, la legge regola i casi
in cui una donna, consapevole di essere in gravidanza, possa
abortire (dopo l’espletamento dell’iter previsto dalla
normativa). L’assunzione della CE interviene in un
momento in cui c’è solo l’ipotesi che possa avvenire la
fecondazione. Nulla si sa se essa è avvenuta e se
l’eventuale ovulo fecondato stia felicemente navigando
verso le ospitali mucose uterine. Il richiamo alla
legge n. 194/1978 è quindi infondato sotto ogni punto di
vista. Non si sa se la gravidanza ha avuto inizio, quale che
sia il momento dal quale s'intende fare iniziare la
gravidanza. Il presupposto di base è il momento dal quale
la donna inizia ad avere nozione dello stato di gravidanza:
ciò presuppone l’annidamento dell’ovulo fecondato; da
questo momento è diagnosticabile lo stato di gravidanza; da
questo momento entra in gioco la volontà e la
determinazione della donna rispetto alla gravidanza.
Quindi, non c'è aborto perché non c'è certezza
della fecondazione e neanche dello stato di gravidanza. I
giudici proseguono rilevando che analoghe obiezioni non sono
sollevate a proposito di IUD e spirale che certamente hanno
la funzione di impedire l’annidamento dell’ovulo
fecondato. Non c’è pertanto alcuna violazione della
normativa vigente, mentre rimane il problema etico che
ciascuno è libero di regolare come ritiene più opportuno.
O vogliamo che per legge una indicazione etica diventi
obbligo per tutti? Come mai coloro che si affannano
tanto contro la CE non hanno la stessa determinazione nei
confronti di altri contraccettivi che impediscono
l’annidamento dell’ovulo fecondato?
Sempre
sul tema della già citata sentenza, ricordo che in quella
occasione i giudici hanno semplicemente disposto la
riscrittura del foglietto illustrativo: non basta
specificare che la CE (in quel caso il Norlevo) agisce
"bloccando l'ovulazione o impedendo
l'impianto” ma bisogna aggiungere “dell’ovulo
fecondato”. L’espressione “impedendo l’impianto”
se fosse stata seguita dalle parole “dell’ovulo
fecondato” avrebbe soddisfatto ogni esigenza. Ma se tale
affermazione, “impedendo l’impianto”, è scritta a
conclusione di un testo che descrive l’azione del farmaco,
testo in cui si fa riferimento a ovulazione e fecondazione,
di quale impianto dovrebbe trattarsi se non dell’ovulo
fecondato? Per dirla “all’americana” ben venga
“l’istruzione a prova di cretino”, ma in definitiva di
tutto l’impianto accusatorio è rimasta una piccola
censura, facilmente risolta, che potrebbe essere estesa a
moltissime specialità farmaceutiche ed etichette in genere.
Mi sembra che il rilievo del TAR attenga più
all’ambito del diritto del consumatore, a una informazione
chiara, semplice e completa, che non alle questioni
giuridiche ed etiche sollevate. Ben venga questa
attenzione e auguriamoci che sia estesa a ogni ambito di
tutela del consumatore.
A scanso di equivoci,
ribadisco che non c’è alcuna prova che la CE agisca
impedendo l’impianto dell’ovulo fecondato, ma le aziende
farmaceutiche preferiscono assumere questa linea di prudenza
e non impegnare ingenti risorse finanziarie in ricerche su
ipotetici effetti post-fertilizzazione, poiché, da un lato,
non è mai stato affermato in nessun documento scientifico
che la CE provochi l’aborto e dall’altro lato agli
oppositori non interessano le risultanze scientifiche
poiché fanno leva su una convinzione ideale o religiosa.
Preferiscono quindi lasciare al consumatore la soluzione di
ogni questione etica.
Infine, l’OMS ha
inserito la CE nella “classe 1”, in altre parole
“senza restrizioni d’uso”, perché soddisfa tutti i
criteri che caratterizzano un “prodotto da banco”:
tossicità molto bassa, nessun rischio di sovradosaggio,
nessuna dipendenza, nessuna necessità di accertamenti
medici, né di monitoraggio della terapia, non significative
controindicazioni mediche, non teratogeno, facile
identificazione del bisogno, semplice da usare, dosaggio
preciso, nessuna interazione farmacologica di rilievo,
nessun pericolo in caso di assunzione impropria e minime
conseguenze in caso di uso ripetuto o ravvicinato nel tempo.