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17 aprile 2010 18:25 - lucillafiaccola1796
Per fare il caffè del "bar" ci vuole "la mano", oltre i caffè buono.... e ci vuole la mano anche per fare lo "scontrino fiscale" che quasi nessuno ti fa, specialmente se cliente abituale... Perché devo pagare dalle 1,400 alle 1.600 exlirette ed essere perkulated da un evasore fiscale? O mi fai lo scontrino o mi deimezzi il "prezzo-valore"....
16 aprile 2010 19:51 - Lucio Musto
La "tazzulella"

Mi meraviglio fortemente, signor Segretario!

L'inchiesta, come tutte quelle dell'ADUC, era giusta ed opportuna, certamente adatta al ruolo di difesa del consumatore svolto dall'Associazione, ma mica può essere svolta andando a chiedere ai baristi come fanno il caffè!...
E che diamine!... è come fare un indagine sul peccato chiedendo ai confessori i fatti delle loro pecorelle!

La ricetta della "tazzulella", è la cosa più intima e segreta che quel signore dietro al bancone possa avere!...
E non solo la composizione della miscela, ma il come macinarla, quanta polvere mettere nel filtro, quanto e con quale movimento pressare, come regolare la pressione della macchina, scegliere la temperatura della tazzina....
No, non si può chiedere ad un barista: "come fai il caffé?" ed apettarsi una risposta diversa da quella che hanno avuto i suoi segugi.
E tanto è se hanno ricevuto una risposta cortese! potevano beccarsene una di molto sgarbata... e sarebbe stato per colpa loro!.

Ma in fondo, anche l'indagine meramente economica che propone il testo, è inadeguata.
Una "tazzulella 'e cafè" al bar, non può essere valutata (e non fa la fortuna del locale) solo in base a quanto caffè contenda e di quali varietà!
Sarebbe troppo semplice!
Basterebbe fare il caffè col massimo peso della polvere più pregiata per divemtare il primo bar della città e "fare la folla".

Nossignori. Il caffè è un rito, un rito sacro, di una sacralità tutta laica è vero, ma non meno profonda di quella delle più grandi cattedrali.
Deve essere fatto buono, su questo non ci piove, ma deve essere perfetto nell'ambientazione, nella cordialitá del barista, nella cura dei dettagli operativi e psicologici, nel "fascino" insomma che rende "rito" una serie di gesti comuni, una tazzina di infuso ed un cucchiaino di zucchero. Una “tazzulella ‘e cafè” deve soddisfare l’anima, non lo stomaco o il portafogli!

C'è poi "cafè" e "cafè". Perchè in quel sorbire la nera bevanda ci sono altri, fondamentali elementi.
Li possiamo racchiudere tutti in una sola domanda, semplice ma misteriosa. Densa di significati: "ma perché questo caffè?".

Eh già, perché il caffè si prende quasi sempre per un motivo diverso dalla noia, o per addolcire la bocca. Per quello ci sono le caramelle, magari al gusto di caffè, o se abbiamo bisogno di energia anche gli appositi cioccolatini tanto reclamizzati...

Il caffè al bar preso da solo, invece, ha un retroterra infinito di solitudine, urgenza e malinconia. Un caffè preso in compagnia, si accompagna all'infinita variabilità dei contatti umani. Una conoscenza, un tentativo di conquista, un accordo, un atto commerciale, un misurarsi, uno sfidarsi... tutto può essere accompagnato dalla "tazzulella 'e cafè", ed il barista di successo deve condizionare tutto il contorno a quell'incontro per promuoverne il successo, o a quella solitudine per renderla meno gravosa, ma rispettandola.
Ma rimanendone comunque estraneo, s'intende!... complice silenzioso, ma rigorosamente estraneo, ed apparentemente ignaro.

Così quel bar potrà sperare nel successo, ed quel caffè avrà il giusto prezzo.
Com'è possibile misuare questo valore complessivo chiedendo semplicemente al barista: "Ma tu, il caffè, come lo fai?"

Cordialità

Lucio Musto 16 aprile 2010
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