Per fare il caffè del "bar" ci vuole "la mano", oltre i
caffè buono.... e ci vuole la mano anche per fare lo
"scontrino fiscale" che quasi nessuno ti fa, specialmente se
cliente abituale... Perché devo pagare dalle 1,400 alle
1.600 exlirette ed essere perkulated da un evasore fiscale?
O mi fai lo scontrino o mi deimezzi il "prezzo-valore"....
16 aprile 2010 19:51 - Lucio Musto
La "tazzulella"
Mi meraviglio fortemente, signor Segretario!
L'inchiesta, come tutte quelle dell'ADUC, era giusta ed
opportuna, certamente adatta al ruolo di difesa del
consumatore svolto dall'Associazione, ma mica può essere
svolta andando a chiedere ai baristi come fanno il
caffè!...
E che diamine!... è come fare un indagine sul peccato
chiedendo ai confessori i fatti delle loro pecorelle!
La ricetta della "tazzulella", è la cosa più intima e
segreta che quel signore dietro al bancone possa
avere!...
E non solo la composizione della miscela, ma il come
macinarla, quanta polvere mettere nel filtro, quanto e con
quale movimento pressare, come regolare la pressione della
macchina, scegliere la temperatura della tazzina....
No, non si può chiedere ad un barista: "come fai il
caffé?" ed apettarsi una risposta diversa da quella che
hanno avuto i suoi segugi.
E tanto è se hanno ricevuto una risposta cortese! potevano
beccarsene una di molto sgarbata... e sarebbe stato per
colpa loro!.
Ma in fondo, anche l'indagine meramente economica che
propone il testo, è inadeguata.
Una "tazzulella 'e cafè" al bar, non può essere valutata
(e non fa la fortuna del locale) solo in base a quanto
caffè contenda e di quali varietà!
Sarebbe troppo semplice!
Basterebbe fare il caffè col massimo peso della polvere
più pregiata per divemtare il primo bar della città e
"fare la folla".
Nossignori. Il caffè è un rito, un rito sacro, di una
sacralità tutta laica è vero, ma non meno profonda di
quella delle più grandi cattedrali.
Deve essere fatto buono, su questo non ci piove, ma deve
essere perfetto nell'ambientazione, nella cordialitá del
barista, nella cura dei dettagli operativi e psicologici,
nel "fascino" insomma che rende "rito" una serie di gesti
comuni, una tazzina di infuso ed un cucchiaino di zucchero.
Una “tazzulella ‘e cafè” deve soddisfare l’anima,
non lo stomaco o il portafogli!
C'è poi "cafè" e "cafè". Perchè in quel sorbire la
nera bevanda ci sono altri, fondamentali elementi.
Li possiamo racchiudere tutti in una sola domanda, semplice
ma misteriosa. Densa di significati: "ma perché questo
caffè?".
Eh già, perché il caffè si prende quasi sempre per un
motivo diverso dalla noia, o per addolcire la bocca. Per
quello ci sono le caramelle, magari al gusto di caffè, o se
abbiamo bisogno di energia anche gli appositi cioccolatini
tanto reclamizzati...
Il caffè al bar preso da solo, invece, ha un retroterra
infinito di solitudine, urgenza e malinconia. Un caffè
preso in compagnia, si accompagna all'infinita variabilità
dei contatti umani. Una conoscenza, un tentativo di
conquista, un accordo, un atto commerciale, un misurarsi,
uno sfidarsi... tutto può essere accompagnato dalla
"tazzulella 'e cafè", ed il barista di successo deve
condizionare tutto il contorno a quell'incontro per
promuoverne il successo, o a quella solitudine per renderla
meno gravosa, ma rispettandola.
Ma rimanendone comunque estraneo, s'intende!... complice
silenzioso, ma rigorosamente estraneo, ed apparentemente
ignaro.
Così quel bar potrà sperare nel successo, ed quel caffè
avrà il giusto prezzo.
Com'è possibile misuare questo valore complessivo chiedendo
semplicemente al barista: "Ma tu, il caffè, come lo fai?"