Il signor Dante Chierico, al quale chiedo scusa del ritardo
con cui gli rispondo, mette in evidenza il problema reale
della difficoltà di una corretta comprensione fra
governanti, deputati e funzionari della Unione europea, data
la molteplicità delle lingue parlate nei paesi
dell’Unione e la conseguente necessità di ricorrere alle
traduzioni che, a volte, possono essere poco precise e
ingenerare malintesi anche gravi. E’ vero che, per errori
di traduzione, in passato sono avvenuti degli scismi
religiosi e sono scoppiate delle guerre; oggi, pur sperando
che cose del genere siano consegnate definitivamente
all’archivio della storia, non possiamo tuttavia dirci al
sicuro da analoghi effetti negativi, operanti magari in modo
più subdolo. A me pare, quindi, che avere presente
questo problema, approfondirlo, confrontarsi con esso, sia
quanto mai utile, un primo, timido passo verso quella
comprensione reciproca che non è solo linguistica, ma
forse, prima di tutto, morale: sapere che un errore è
possibile, sia da parte nostra sia da quella degli altri,
può almeno rendere più pacate le nostre reazioni; al posto
di un “ma che diavolo sta dicendo questo cretino?”,
possiamo chiederci: “ma quello che Tizio ha detto è stato
tradotto, interpretato bene o no?”. E a questo punto
cambia tutto, perché la prima cosa da fare non è
rispondergli per le rime come ci verrebbe istintivo, ma
sincerarci della genuinità di quanto ci è arrivato agli
orecchi o sotto gli occhi. Questo è quanto mi viene in
mente rileggendo l’intervento del signor Chierico, al
quale chiedo di proseguire, se vuole, con le sue
considerazioni dal punto in cui dice di essersi fermato.
Sarà senz’altro interessante sapere se e quale
proposta ha in mente sul tema.
3 giugno 2003 0:00 - renata kalk
Il pezzo e' molto garbato e -pur trovandomi io cosi'
lontana- mi pare di vedere questa casa "speciale",
sentire il profumo del gelsomino, intravvedere la padrona di
casa. Sono italiana ma non mi riconosco in quel
"vietato cogliere i fiori". Mi irrita un po'
la categoricita' forse scortese del divieto, magari
accettabile solo se usata da impersonali enti pubblici.
Preferisco assolutamente la scritta in Inglese: e'
quella che renderebbe impossibile farmi cogliere anche un
fiore caduto per terra.
3 giugno 2003 0:00 - roberta
beh devo dire che anch'io la penso cosi, ho imparato
l'inglese in inghilterra e per mia fortuna mi hanno
insegnato che ogni popolo come ogni persona ha un suo
atteggiamento che lo contradistingue. Sinceramente mi
sembra molto normale, purtroppo a noi italiani non ci
insegnano queste meraviglie delle altre culture.
arrivederci.
1 giugno 2003 0:00 - Stellario Panarello.
Carissima Annapaola, innanzitutto, mi sono meravigliato di
non trovare altri commenti a quella che tu chiami una
noterella. La signora dei fiori è un tipo in gamba.
Non sono in grado di giudicare la sua psicologia
etnografica. Ma apprezzo molto la sua creatività.
Quanto al tuo racconto, pur essendo un "gran"
lettore, scritti di tal lunghezza quasi sempre mi
scoraggiano (dopo averne letto 3 righe), nel web. Invece,
non solo l'ho letta con piacere, ma sono tentato di
inviarla per newsletter ai miei "conoscenti", per
fornir loro un esempio di come si possa (e si dovrebbe)
scrivere senza annoiare. Anzi! Un caro saluto, S.
1 giugno 2003 0:00 - Dante Chierico
La Pulce nell'orecchio Per mettere il dubbio, con
l'informazione, su alcune certezze a cura di
Annapaola Laldi
1 Giugno 2003 Quando si
dice sapere le lingue ... ===== MIO COMMENTO
1 Giugno 2003 Gentile Annapaola, concordo
con il concetto della sua lettera del 1* Giugno 2003
titolata "Quando si dice sapere le lingue".
Infatti ogni lingua ha sue parole specifiche con diverse
sfumature pratiche e psicologiche per cercare di dire la
stessa cosa. Per questo secondo me spesso è impossibile
tradurre esattamente da una lingua all'altra, e per
questo bisogna appunto "interpretare", cioè
cercare di capire il senso di ciò che si dice in una
lingua, per far capire il concetto a chi ha una diversa
madrelingua, tenendo presente la base culturale delle
persone. Per questo bisognerebbe conoscere molte lingue. Ma
ciò è possibile solo per pochi fortunati, che ne hanno
oltre al tempo ed ai soldi necessari, anche le attitudini
naturali. Ma ci sono campi in cui non ci dovrebbe essere
necessità di interpretazione bensì di sola traduzione.
Mi riferisco ad esempio ai settori scientifici,
commerciali, legislativi e legali. Qui le parole nelle
varie lingue devono avere un solo significato, ben preciso e
biunivoco; altrimenti nascono gravi equivoci, dispute, liti
e processi in cui il cittadino comune ha tutto da perdere.
Nella Ue di 15 stati, molti errori di traduzione od
interpretazione hanno causato malintesi ed incidenti
diplomatici, e costi elevatissimi. È credibile quindi
quanto ha scritto "il Giornale" di sabato 8
giugno 2002, in cui scrive che l'Europa spende il 34%
del suo bilancio solo per le traduzioni. Ora con 25 stati e
21 lingue ufficiali, il caos sarà inevitabile, ed i costi
ancor più elevati. Occorre una lingua comune di riferimento
per tutti, di facile apprendimento e pronuncia. Ora
nella Ue, nel generale malcontento, viene imposto
l'inglese lingua apparentemente facile ma in realtà
estremamente difficile nella sintassi, nel lessico e nella
pronuncia, con molti sinonimi, omofoni ed altri difetti che
non sto qui ad elencare. Tale imposizione favorisce
praticamente gli anglofoni dai punti di vista culturale,
commerciale e politico. Questa soluzione è inaccettabile
per gli altri cittadini della Ue. Credo che tutte le
associazioni nazionali per la difesa del cittadino
consumatore debbano seriamente preoccuparsi di questo stato
di cose che ci costa molto anche dal punto di vista
economico, e perciò dobbiamo agire di conseguenza. Potrei
dire molte altre cose ma mi fermo quì. - Gentile
Annapaola, se Lei ritiene utile la mia collaborazione, sono
disponibile a dedicare un po' di tempo a questi problemi
nell'interesse dei cittadini italiani ed europei.
Cordiali saluti Dante Chierico (posta elettronica
Dante Chierico )