COMMENTI
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13 giugno 2003 0:00 - Annapaola Laldi
Il signor Dante Chierico, al quale chiedo scusa del ritardo con cui gli rispondo, mette in evidenza il problema reale della difficoltà di una corretta comprensione fra governanti, deputati e funzionari della Unione europea, data la molteplicità delle lingue parlate nei paesi dell’Unione e la conseguente necessità di ricorrere alle traduzioni che, a volte, possono essere poco precise e ingenerare malintesi anche gravi. E’ vero che, per errori di traduzione, in passato sono avvenuti degli scismi religiosi e sono scoppiate delle guerre; oggi, pur sperando che cose del genere siano consegnate definitivamente all’archivio della storia, non possiamo tuttavia dirci al sicuro da analoghi effetti negativi, operanti magari in modo più subdolo.
A me pare, quindi, che avere presente questo problema, approfondirlo, confrontarsi con esso, sia quanto mai utile, un primo, timido passo verso quella comprensione reciproca che non è solo linguistica, ma forse, prima di tutto, morale: sapere che un errore è possibile, sia da parte nostra sia da quella degli altri, può almeno rendere più pacate le nostre reazioni; al posto di un “ma che diavolo sta dicendo questo cretino?”, possiamo chiederci: “ma quello che Tizio ha detto è stato tradotto, interpretato bene o no?”. E a questo punto cambia tutto, perché la prima cosa da fare non è rispondergli per le rime come ci verrebbe istintivo, ma sincerarci della genuinità di quanto ci è arrivato agli orecchi o sotto gli occhi.
Questo è quanto mi viene in mente rileggendo l’intervento del signor Chierico, al quale chiedo di proseguire, se vuole, con le sue considerazioni dal punto in cui dice di essersi fermato.
Sarà senz’altro interessante sapere se e quale proposta ha in mente sul tema.
3 giugno 2003 0:00 - renata kalk
Il pezzo e' molto garbato e -pur trovandomi io cosi' lontana- mi pare di vedere questa casa "speciale", sentire il profumo del gelsomino, intravvedere la padrona di casa. Sono italiana ma non mi riconosco in quel "vietato cogliere i fiori". Mi irrita un po' la categoricita' forse scortese del divieto, magari accettabile solo se usata da impersonali enti pubblici.
Preferisco assolutamente la scritta in Inglese: e' quella che renderebbe impossibile farmi cogliere anche un fiore caduto per terra.
3 giugno 2003 0:00 - roberta
beh devo dire che anch'io la penso cosi, ho imparato l'inglese in inghilterra e per mia fortuna mi hanno insegnato che ogni popolo come ogni persona ha un suo atteggiamento che lo contradistingue.
Sinceramente mi sembra molto normale, purtroppo a noi italiani non ci insegnano queste meraviglie delle altre culture.
arrivederci.
1 giugno 2003 0:00 - Stellario Panarello.
Carissima Annapaola, innanzitutto, mi sono meravigliato di non trovare altri commenti a quella che tu chiami una noterella.
La signora dei fiori è un tipo in gamba.
Non sono in grado di giudicare la sua psicologia etnografica.
Ma apprezzo molto la sua creatività. Quanto al tuo racconto, pur essendo un "gran" lettore, scritti di tal lunghezza quasi sempre mi scoraggiano (dopo averne letto 3 righe), nel web. Invece, non solo l'ho letta con piacere, ma sono tentato di inviarla per newsletter ai miei "conoscenti", per fornir loro un esempio di come si possa (e si dovrebbe) scrivere senza annoiare. Anzi!
Un caro saluto,
S.
1 giugno 2003 0:00 - Dante Chierico
La Pulce nell'orecchio
Per mettere il dubbio, con l'informazione, su alcune certezze
a cura di Annapaola Laldi

1 Giugno 2003
Quando si dice sapere le lingue ...
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MIO COMMENTO
1 Giugno 2003 Gentile Annapaola,
concordo con il concetto della sua lettera del 1* Giugno 2003 titolata "Quando si dice sapere le lingue".
Infatti ogni lingua ha sue parole specifiche con diverse sfumature pratiche e psicologiche per cercare di dire la stessa cosa. Per questo secondo me spesso è impossibile tradurre esattamente da una lingua all'altra, e per questo bisogna appunto "interpretare", cioè cercare di capire il senso di ciò che si dice in una lingua, per far capire il concetto a chi ha una diversa madrelingua, tenendo presente la base culturale delle persone. Per questo bisognerebbe conoscere molte lingue. Ma ciò è possibile solo per pochi fortunati, che ne hanno oltre al tempo ed ai soldi necessari, anche le attitudini naturali. Ma ci sono campi in cui non ci dovrebbe essere necessità di interpretazione bensì di sola traduzione.
Mi riferisco ad esempio ai settori scientifici, commerciali, legislativi e legali. Qui le parole nelle varie lingue devono avere un solo significato, ben preciso e biunivoco; altrimenti nascono gravi equivoci, dispute, liti e processi in cui il cittadino comune ha tutto da perdere. Nella Ue di 15 stati, molti errori di traduzione od interpretazione hanno causato malintesi ed incidenti diplomatici, e costi elevatissimi. È credibile quindi quanto ha scritto "il Giornale" di sabato 8 giugno 2002, in cui scrive che l'Europa spende il 34% del suo bilancio solo per le traduzioni. Ora con 25 stati e 21 lingue ufficiali, il caos sarà inevitabile, ed i costi ancor più elevati. Occorre una lingua comune di riferimento per tutti, di facile apprendimento e pronuncia.
Ora nella Ue, nel generale malcontento, viene imposto l'inglese lingua apparentemente facile ma in realtà estremamente difficile nella sintassi, nel lessico e nella pronuncia, con molti sinonimi, omofoni ed altri difetti che non sto qui ad elencare. Tale imposizione favorisce praticamente gli anglofoni dai punti di vista culturale, commerciale e politico. Questa soluzione è inaccettabile per gli altri cittadini della Ue. Credo che tutte le associazioni nazionali per la difesa del cittadino consumatore debbano seriamente preoccuparsi di questo stato di cose che ci costa molto anche dal punto di vista economico, e perciò dobbiamo agire di conseguenza. Potrei dire molte altre cose ma mi fermo quì.
- Gentile Annapaola, se Lei ritiene utile la mia collaborazione, sono disponibile a dedicare un po' di tempo a questi problemi nell'interesse dei cittadini italiani ed europei.
Cordiali saluti
Dante Chierico
(posta elettronica Dante Chierico )
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