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12 aprile 2005 0:00 - margie
Il problema, infatti, è che la parola "volontariato" è usata a sproposito.
Sarebbe apprezzabile che Aduc ed altre associazioni di consumatori lottassero per un aumento di operatori sanitari, di vari livelli professionali, dedicati all'assistenza delle varie disabilità presenti nella nostra società e spesso ignorate o scarsamente tutelate.
Ricordo che l'Anno Europeo del Disabile si è risolto con un pugno di convegni e qualche spot pubblicitario. Il problema è rimasto irrisolto, i disabili sono una voce sommersa, forse la più sommersa.
Attualmente gli operatori sanitari impegnati nelle comunità terapeutiche sono precari, meriterebbero invece un'attenzione adeguata : uno stipendio dignitoso e formazione continua e motivante per un lavoro molto difficile, che non è solo un lavoro, ma è anche una missione.
11 aprile 2005 0:00 - Lobster
> L'assistenza alla persona disabile non è un atto di volontariato,
> è anche un atto di umanità, ma è principalmente un lavoro. Come tale,
> va retribuito.

No, mi spiace ma il volontariato non vai MAI retribuito,
per definizione stessa di volontariato. Cio' che e'
retribuito non e' e non puo' essere volontariato.
Il volontario dedica GRATUITAMENTE una parte del
suo tempo agli altri, il lavoratore si occupa degli
altri dietro compenso: sono due figure radicalmente
diverse.

Il volontario, nella mia visione del mondo, e' il
ragazzo che il sabato pomeriggio va in una casa di
riposo a farsi una partita a carte con un vecchietto.

L'assurdo e' che nel nostro paese alle associazioni di
"volontariato" hanno il compito di assistere i disabili.
Assistere un disabile e' dovere dello stato, non puo'
essere lasciato alla buona volonta di qualcuno. Imporre
ai disabili di dipendendere dalla buona volonta' di altri
e' un modo per umiliarli. Il disabile ha diritto, DIRITTO,
ad essere assistito, non deve chiederlo come un favore.

Assistere i disabili e' un carico di lavoro troppo grosso
per essere gestito da volontari (quando sono tali), la
buona volonta' non basta. Servono molto tempo e una
certa preparazione. Ecco allora che nasce il bisogno
di "professionalizzare" i volontari. Ecco che nascono
delle spese che le associazioni non riescono a pagare
perche' non hanno una raccolta fondi all'altezza degli
impegni che si sono prese. Ecco che nascono associazioni
di para-volontariato dove l'assistenza al disabile si
paga, poco ma si paga. Un po' la paga lo Stato e un po'
la pagano i familiari. Questo, mi spiace, ma non e'
volontariato.

Saluti,
Lobster
11 aprile 2005 0:00 - margie
Salve, ho letto con interesse l'articolo.
Il problema è che nelle comunità terapeutiche e residenze protette destinate ai disabili fisici e psichichi serve molto personale specializzato. Questo personale sicuramente non proviene dal corpo dipendente del SSNN, ma dalle cooperative sociali (terzo settore).
L'assistenza alla persona disabile non è un atto di volontariato, è anche un atto di umanità, ma è principalmente un lavoro. Come tale, va retribuito. Mi sembra ovvio che gli operatori del settore protestino, in quanto il taglio dei fondi metterà in pericolo serio il buon andamento di dette strutture che sono indispensabili ed una conquista della civiltà moderna.
Non sono un'operatore sociale o sanitario, ma il genitore di un disabile che non può essere assistito a casa.
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