COMMENTI
  (Da 1 a 2 di 2)  
19 agosto 2005 0:00 - ANNAPAOLA LALDI
Caro Signor Musto, eccomi qua.
Ho letto con vero piacere e godimento il Suo intervento, che avevo preventivamente stampato. Apprezzo molto la Sua capacità di tenere insieme le cose che di solito definiamo "contrari" o "opposti", e che invece penso anch'io sia saggezza osservare con un solo colpo d'occhio e accettare come parti integranti della vita.
Non ho nulla da aggiungere né da obiettare, perché Lei offre la visione dalla Sua prospettiva e lo fa, a me pare, con gentilezza e onestà intellettuale.
Ho solo da ringraziarLa per questo contributo che permette a chi legge un bell'arricchimento su molti piani.
Lo spirito di sacrificio, o forse, meglio, l'idea di esso, è una cosa senz'altro impressa in qualche modo dentro di noi (sa, ho sentito con meraviglia una mia giovane cugina di 23 anni dire di sé che ha molto spirito di sacrificio -ed è vero), e forse merita anche da parte mia un ulteriore approfondimento.
Per quanto riguarda la forza dei geni e la nostra contiguità con gli animali, e altro ancora, ci ho riflettuto un po' sulla pulce intitolata "Omaggio a Giuseppe" del 15.3.2003. Le metto l'indirizzo elettronico, però, secondo me, fa prima a andare all'archivio della Pulce e cercarsela (sono in ordine di data).
Poi, semmai, mi sappia dire.
La ringrazio di nuovo dei Suoi preziosi e begli interventi.
Annapaola Laldi
http://www.aduc.it/dyn/pulce/art/singolo.php?id=56466
10 agosto 2005 0:00 - Lucio Musto
Madri - da una riflessione di Annapaola Laldi

Spulciando nel Web per qualche spunto interessante di riflessione mi sono imbattuto, (o forse l’ho cercato?), nel suo articolo “Madri”.

Garbato ed intrigante come ogni Suo scritto, mi ha attirato subito, e mi sono chiesto cosa potessi aggiungere, che contributo non banale offrire all’invito di “dì la tua!”.

Aggiungerò l’esperienza mia e della mia famiglia, non del tutto sovrapponibile alla tesi esposta, ed un’altra prospettiva, un po’ fuori luogo se detta da me, di solito crepuscolare, ma per una volta beneaugurante ed apotropaica.

Ecco qua, ho vissuto nella mia famiglia, promessa di solido clan ma ben presto ridotta a ben poco per la prematura morte di un fratello, di una sorella e di mio padre e la defezione della zia zitella e vice-madre, e subito dopo il quella di mia moglie, clan pienamente realizzato, con l’accorpamento di nonni e nonne, fidanzati e sposi delle quattro figlie, delle relative quattro madri vedove con gli altri figli… zii, nipoti e quant’altri. Nel festoso, generale intrico di parentele ed affinità, in quarant’anni non ho ancora ben definito i confini della famiglia dei miei suoceri… ormai defunti.

Sopra tutto, motore e collante della mia rachitica genia e quella allargata e multiforme di mia moglie, valore comune ed indiscusso, premessa ovvia ed inevitabile di ogni azione o pensiero, lui, l’onnipresente “spirito di sacrificio”, quello esattamente individuato in “Madri”.
Non vorrei dire bestialità, ma lo “spirito di sacrificio” a noi ce lo davano col latte il seno delle nostre madri, o forse ce l’avevamo dentro ancora prima. Ce l’avevamo tutti, mi pare, e credo che nessuno di noi si sia mai sognato che fosse una cosa “altro da sé”. Lo “spirito di sacrificio”, o quello che ci passavano con quel nome, era ovvietà, parte dell’essere, come un braccio o una gamba, che magari ti si intorpidisce se ci dormi su o la testa, che a volte duole, ma non per questo pensi di tagliarli via.

Certo comprendo bene che c’è sgomento, per chi è abituato all’intimità ed al riserbo del piccolo gruppo, il trovarsi nella folla, amicale o ostile che sia non importa, che ti circonda starnazzante.

L’angoscia è inevitabile, lo smarrimento del non udirsi più nel globale cicaleccio e del non riuscire nemmeno a riflettere, sovrastato dalla pandemica confusione è cosa cui occorre abituarsi, e non è facile, ma forse… dico forse, non è tutto solo dolore, non è tutto solo negatività.

Già in natura le madri, quasi tutte, e talvolta anche i padri abbracciano lo “spirito di sacrificio” prolificando ed accudendo i piccoli. Istinto, certo, ma anche l’istinto ha una sua ben precisa logica, a volte comprensibile e palese anche a noi presuntuosi ragionatori.

Lo “spirito di sacrificio” può essere individuato anche come investimento, oltre che come maledizione. L’angoscia insita del termine “sacrificio” può sciogliersi nell’altrettanto inspiegabile sorriso stemperato nell’immagine della gioia.

Voglio dire qualcosa di concreto? cercherò di spiegarmi attingendo alle mie scarse cognizioni di zoologia e botanica.

Sembra che il concetto di “immortalità” sia qualcosa di essenzialmente genetico, piuttosto e prima che filosofico o religioso, se per “immortalità” si voglia intendere “un qualcosa di me che ancora sia sensorialmente avvertibile dopo la mia morte”.

Animali e le piante si prodigano e si prodigarono per la propria genia anche oltre i limiti della propria salute e sopravvivenza, gli insetti gregari antepongono il bene della famiglia alla propria sopravvivenza e l’orsa combatte fino alla morte nella difesa dei suoi cuccioli, l’agave esaurisce sé stessa nell’unica possente fioritura della sua vita per dar vita ad altre vite che della sua vita siano essenza futura.

“Immortalità”, nell’uomo come nelle bestie è progenie, perché l’uomo è bestia…, è “anche” bestia.

“Immortalità”, nell’uomo è il “qualcosa dopo di me” che mi rappresenti comunque, anche nelle cose in cui bestia non sono. Lei, Amica mia, poetessa di elezione, è alla ricerca di quel verso che Le sopravviverà, di quella frase, quell’articolo, quell’intervento, quella conferenza o quella spiegazione in classe che rimarrà impressa nella mente del suo alunno. La speranza, che quell’alunno, ormai vecchio, possa dire ai suoi nipoti: “la mia insegnante diceva così, e lei sì, che ne capiva!”. Questo il tendere del poeta, uguale a quello dell’artista e dello scienziato, della massaia o del contadino… forse uguale a quello delle lucertole del mio giardino che, morti i cani, si riproducono sfrenatamente. Tensione all’ “immortalità”!

E costa sacrificio.

Sacrificio?..., si!. Sacrificio, dolore, ed energie, preziose energie investite nell’ignoto. Vane speranze a volte, successo statistico quando gli Dei sorridono: fiumi di lacrime per un barlume di gioia. Quando sono via spero che i miei quattro figli si sostengano reciprocamente nello spirito e nella materia, e proteggano i quattro (forse fra un po’ cinque) nipoti. E spero che se nasce difficoltà per uno, possano portare il peso suddiviso fra tutti e riescano a superarla.
Esattamente come fa la “coccodrilla” che protegge tutte le sue uova, e ne fa tante, sperando che se ne salvi almeno qualcuna…

Voglio concludere il mio intervento. La poesia di Umberto Saba è molto bella, come gran parte delle poesie scritte con l’anima prima che con la penna. Lei mi perdonerà certo, se in quei versi mi piace vederci anche un pizzico di “immortalità”, una ricompensa gioiosa se preferisce, al “sacrificio” della maternità mediata dalla nutrice, che donna lei stessa, il suo “esser madre” lo visse in un figlio non suo.

Grazie, Signora.


Lucio Musto 10 agosto 2005 parole 894
------------------------------------------------------------ -----------------------------------------------


  COMMENTI
  (Da 1 a 2 di 2)