Caro Signor Musto, eccomi qua. Ho letto con vero
piacere e godimento il Suo intervento, che avevo
preventivamente stampato. Apprezzo molto la Sua capacità di
tenere insieme le cose che di solito definiamo
"contrari" o "opposti", e che invece
penso anch'io sia saggezza osservare con un solo colpo
d'occhio e accettare come parti integranti della
vita. Non ho nulla da aggiungere né da obiettare,
perché Lei offre la visione dalla Sua prospettiva e lo fa,
a me pare, con gentilezza e onestà intellettuale. Ho
solo da ringraziarLa per questo contributo che permette a
chi legge un bell'arricchimento su molti piani. Lo
spirito di sacrificio, o forse, meglio, l'idea di esso,
è una cosa senz'altro impressa in qualche modo dentro
di noi (sa, ho sentito con meraviglia una mia giovane cugina
di 23 anni dire di sé che ha molto spirito di sacrificio
-ed è vero), e forse merita anche da parte mia un ulteriore
approfondimento. Per quanto riguarda la forza dei geni
e la nostra contiguità con gli animali, e altro ancora, ci
ho riflettuto un po' sulla pulce intitolata
"Omaggio a Giuseppe" del 15.3.2003. Le metto
l'indirizzo elettronico, però, secondo me, fa prima a
andare all'archivio della Pulce e cercarsela (sono in
ordine di data). Poi, semmai, mi sappia dire. La
ringrazio di nuovo dei Suoi preziosi e begli interventi.
Annapaola Laldi
http://www.aduc.it/dyn/pulce/art/singolo.php?id=56466
10 agosto 2005 0:00 - Lucio Musto
Madri - da una riflessione di Annapaola Laldi
Spulciando nel Web per qualche spunto interessante di
riflessione mi sono imbattuto, (o forse l’ho cercato?),
nel suo articolo “Madri”.
Garbato ed
intrigante come ogni Suo scritto, mi ha attirato subito, e
mi sono chiesto cosa potessi aggiungere, che contributo non
banale offrire all’invito di “dì la tua!”.
Aggiungerò l’esperienza mia e della mia famiglia, non del
tutto sovrapponibile alla tesi esposta, ed un’altra
prospettiva, un po’ fuori luogo se detta da me, di solito
crepuscolare, ma per una volta beneaugurante ed
apotropaica.
Ecco qua, ho vissuto nella mia
famiglia, promessa di solido clan ma ben presto ridotta a
ben poco per la prematura morte di un fratello, di una
sorella e di mio padre e la defezione della zia zitella e
vice-madre, e subito dopo il quella di mia moglie, clan
pienamente realizzato, con l’accorpamento di nonni e
nonne, fidanzati e sposi delle quattro figlie, delle
relative quattro madri vedove con gli altri figli… zii,
nipoti e quant’altri. Nel festoso, generale intrico di
parentele ed affinità, in quarant’anni non ho ancora ben
definito i confini della famiglia dei miei suoceri… ormai
defunti.
Sopra tutto, motore e collante della mia
rachitica genia e quella allargata e multiforme di mia
moglie, valore comune ed indiscusso, premessa ovvia ed
inevitabile di ogni azione o pensiero, lui, l’onnipresente
“spirito di sacrificio”, quello esattamente individuato
in “Madri”. Non vorrei dire bestialità, ma lo
“spirito di sacrificio” a noi ce lo davano col latte il
seno delle nostre madri, o forse ce l’avevamo dentro
ancora prima. Ce l’avevamo tutti, mi pare, e credo che
nessuno di noi si sia mai sognato che fosse una cosa
“altro da sé”. Lo “spirito di sacrificio”, o
quello che ci passavano con quel nome, era ovvietà, parte
dell’essere, come un braccio o una gamba, che magari ti si
intorpidisce se ci dormi su o la testa, che a volte duole,
ma non per questo pensi di tagliarli via.
Certo
comprendo bene che c’è sgomento, per chi è abituato
all’intimità ed al riserbo del piccolo gruppo, il
trovarsi nella folla, amicale o ostile che sia non importa,
che ti circonda starnazzante.
L’angoscia è
inevitabile, lo smarrimento del non udirsi più nel globale
cicaleccio e del non riuscire nemmeno a riflettere,
sovrastato dalla pandemica confusione è cosa cui occorre
abituarsi, e non è facile, ma forse… dico forse, non è
tutto solo dolore, non è tutto solo negatività.
Già in natura le madri, quasi tutte, e talvolta anche i
padri abbracciano lo “spirito di sacrificio”
prolificando ed accudendo i piccoli. Istinto, certo, ma
anche l’istinto ha una sua ben precisa logica, a volte
comprensibile e palese anche a noi presuntuosi
ragionatori.
Lo “spirito di sacrificio” può
essere individuato anche come investimento, oltre che come
maledizione. L’angoscia insita del termine
“sacrificio” può sciogliersi nell’altrettanto
inspiegabile sorriso stemperato nell’immagine della
gioia.
Voglio dire qualcosa di concreto?
cercherò di spiegarmi attingendo alle mie scarse cognizioni
di zoologia e botanica.
Sembra che il concetto di
“immortalità” sia qualcosa di essenzialmente genetico,
piuttosto e prima che filosofico o religioso, se per
“immortalità” si voglia intendere “un qualcosa di me
che ancora sia sensorialmente avvertibile dopo la mia
morte”.
Animali e le piante si prodigano e
si prodigarono per la propria genia anche oltre i limiti
della propria salute e sopravvivenza, gli insetti gregari
antepongono il bene della famiglia alla propria
sopravvivenza e l’orsa combatte fino alla morte nella
difesa dei suoi cuccioli, l’agave esaurisce sé stessa
nell’unica possente fioritura della sua vita per dar vita
ad altre vite che della sua vita siano essenza futura.
“Immortalità”, nell’uomo come nelle bestie è
progenie, perché l’uomo è bestia…, è “anche”
bestia.
“Immortalità”, nell’uomo è il
“qualcosa dopo di me” che mi rappresenti comunque, anche
nelle cose in cui bestia non sono. Lei, Amica mia,
poetessa di elezione, è alla ricerca di quel verso che Le
sopravviverà, di quella frase, quell’articolo,
quell’intervento, quella conferenza o quella spiegazione
in classe che rimarrà impressa nella mente del suo alunno.
La speranza, che quell’alunno, ormai vecchio, possa dire
ai suoi nipoti: “la mia insegnante diceva così, e lei
sì, che ne capiva!”. Questo il tendere del poeta,
uguale a quello dell’artista e dello scienziato, della
massaia o del contadino… forse uguale a quello delle
lucertole del mio giardino che, morti i cani, si riproducono
sfrenatamente. Tensione all’ “immortalità”!
E costa sacrificio.
Sacrificio?..., si!.
Sacrificio, dolore, ed energie, preziose energie investite
nell’ignoto. Vane speranze a volte, successo statistico
quando gli Dei sorridono: fiumi di lacrime per un barlume di
gioia. Quando sono via spero che i miei quattro figli si
sostengano reciprocamente nello spirito e nella materia, e
proteggano i quattro (forse fra un po’ cinque) nipoti. E
spero che se nasce difficoltà per uno, possano portare il
peso suddiviso fra tutti e riescano a superarla.
Esattamente come fa la “coccodrilla” che protegge tutte
le sue uova, e ne fa tante, sperando che se ne salvi almeno
qualcuna…
Voglio concludere il mio
intervento. La poesia di Umberto Saba è molto bella, come
gran parte delle poesie scritte con l’anima prima che con
la penna. Lei mi perdonerà certo, se in quei versi mi
piace vederci anche un pizzico di “immortalità”, una
ricompensa gioiosa se preferisce, al “sacrificio” della
maternità mediata dalla nutrice, che donna lei stessa, il
suo “esser madre” lo visse in un figlio non suo.
Grazie, Signora.
Lucio Musto 10
agosto 2005 parole 894
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