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I carabinieri spacciatori di Piacenza. Prevenire è meglio di combattere. Siamo sicuri che in questo caso si sia fatto così?
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Comunicato di Vincenzo Donvito
23 luglio 2020 12:09
 
  Per chi avesse ancora dei dubbi, i carabinieri sono esseri umani, come i poliziotti, i militari e tutti coloro che hanno alla base della loro attività un giuramento di fedeltà alla nostra Repubblica. E gli esseri umani fanno non solo quello che hanno fatto i carabinieri nella città emiliana, ma anche di peggio, basta sfogliare le cronache quotidiane e qualunque libro di storia. Ci dispiace per la bella Piacenza che vedrà accorpato il proprio nome a questo evento, ma… questa volta è toccato a lei. E, ovviamente, ci dispiace per i Carabinieri, che è molto raro siano come quelli della caserma Levante, ma anche in questo caso… è toccato a loro. Storie di umanità.

Ma gli umani, oltre ad avere queste caratteristiche ne hanno anche altre, molto più diffuse (a maggior ragione nelle forze dell’ordine), come l’indignazione, il senso di responsabilità e del dovere. Tra coloro che poi il nostro Stato ha scelto per tutelarci da varianti delinquenziali come quella piacentina (di nuovo scusa a Piacenza) ci sono:
- le forze dell’ordine, che dipendono dal potere esecutivo (Ministero Interno, Difesa, Economia) ed amministrativo (essenzialmente Comuni);
- la magistratura, che è a sua volta un altro potere dello Stato, distinto dagli altri per garantire gli equilibri di potere e di amministrazione e il reciproco controllo.

Nelle informazioni mediatiche su quanto accaduto, apprendiamo che il Procuratore capo di Piacenzaha proceduto agli arresti dopo 6 mesi di indagini, 75 mila intercettazioni e oltre 2 milioni di dati analizzati.

C’è qualcosa che non ci torna
Cioè che erano sei mesi che si sapeva (anche se non in modo certo) quello che facevano i carabinieri di quella caserma. La procura ha avuto bisogno di una certezza che per lei è diventata tale dopo sei mesi e, per esempio, magari in modo discreto, non ha ritenuto opportuno intervenire prima, non certamente per arrestarli ma quantomeno per sospendere questi carabinieri: non si è ritenuto che il delicato servizio (in periodo di confinamento, poi…) svolto da queste forze dell’ordine potesse essere soggetto ad un provvedimento preventivo per il pericolo di ulteriori danni.
La logica della procura è probabile che fosse del tipo “abbiamo bisogno del cadavere per procedere e se li sospendiamo, ci dimentichiamo il cadavere”.
La logica che noi qui cerchiamo di presentare invece è un’altra: vale la pena attendere il cadavere a fronte anche di “piccoli” reati di cui magari si aveva già contezza, come essere attori in una guerra tra spacciatori di droghe illegali… è meglio sospendere/arrestare qualcuno per un “piccolo” reato o è meglio farlo quando il reato è “grosso” (cadavere)? Conta di più il “grosso” risultato (che innegabilmente oggi c’è) o il “piccolo” (solo, magari, da cronaca locale e non da titoli nazionali di prima pagina), impedendo il protrarsi e il nascere di una situazione che porta al cadavere?
Le nostre domande sono retoriche e la nostra opinione è ovvia. A maggior ragione se pensiamo ad altri contesti in cui, per garantire l’ordine pubblico, le Autorità non si fanno tanti scrupoli e, per esempio, vietano l’accesso ad alcune zone urbane a persone sospette per il solo fatto di avere un giudizio in corso (non una condanna o un qualche provvedimento di divieto di frequentazione) (1).

Quanto sopra ci porta a ritenere che probabilmente la prevenzione e la repressione dei crimini abbiamo due pesi e due misure.
Una, anche illegale come nel caso fiorentino, verso il comune cittadino, l’altra garantistaverso i tutori dell’ordine pubblico, al punto di far continuare reati in corso per meglio intervenire su quello che abbiamo chiamato cadavere.

Questo proprio non ci piace. Ma prendiamo atto che oggi è così. Speriamo che possa essere di lezione per una prevenzione e una repressione che metta al primo posto la sicurezza pubblica e non il coefficiente di delinquenza dei presunti rei.


1 - come è accaduto a Firenze coi divieti di accesso alla cosiddette zone rosse
 
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