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Volontario di S. Egidio accompagna clochard in Rsa ed ora deve pagare la retta
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Comunicato di Anna D'Antuono
23 gennaio 2017 9:22
 
 Ulli, cittadino tedesco classe 1945, residente a Roma da decenni senza più alcun contatto con la sua famiglia. Residente a Roma nel senso che risiede nelle strade di Roma, legato e affezionato in particolare al quartiere Trastevere dove frequenta la mensa di Via Dandolo ed è aiutato da una rete di volontari facenti capo alla Comunità di S.Egidio. Negli ultimi anni inizia a perdere la memoria. Nel 2015 gli viene diagnosticata una grave demenza. Con la collaborazione dei servizi sociali della ASL, viene messo in lista per un ricovero in Rsa. Nel frattempo, la salute di Ulli si aggrava velocemente. Si perde spesso in giro per la città, più volte viene fortunosamente incontrato lontano da Trastevere, completamente confuso e disorientato, e riaccompagnato nel quartiere. Più volte ricoverato, viene sempre dimesso perché la sua patologia non è “acuta”. 

Finalmente arriva la comunicazione dalla Asl: c'è posto in una Rsa dove occorre accompagnarlo entro due giorni, altrimenti Ulli perde il diritto. E' il 13 agosto 2015. Tra quelli che lo conoscono e l’aiutano, a fatica si trova un volontario presente a Roma, auto-munito, con la possibilità di liberarsi una mattina dal lavoro, che lo vada a prendere e ad accompagnare presso la struttura, con la lettera e la documentazione della ASL che gli da’ diritto ad essere accolto.

Al momento dell’ingresso, viene chiesto al volontario di sottoscrivere un documento intitolato “Dichiarazione di impegno resa da un familiare o da un rappresentante legale”: il volontario fa presente che è lì per un gesto di solidarietà e che non ha legami di parentela o di rappresentanza legale di Ulli. Ma chi è assegnato alla reception della struttura insiste che la firma sul quel modulo è necessaria; un modulo prestampato, che altro non è che un impegno a sostenere le spese senza prevedere l'ipotesi che chi viene accompagnato sia un senza fissa dimora e che chi lo accompagna ha già dato il suo contributo mettendo a disposizione il suo tempo. A fronte delle perplessità, viene ribadito al volontario di non preoccuparsi, che come per tutti gli altri ospiti la retta sarà pagata dalla ASL e dal Comune, ma che se nessuno firma, Ulli non potrebbe essere accolto, perderebbe il posto e bisognerebbe ricominciare la trafila burocratica da zero. Non essendoci altra scelta, il volontario sottoscrive. 

Giorni dopo , a seguito di una caduta e di una frattura di femore, Ulli è ricoverato in ospedale. Le sue condizioni di salute non consentono di operarlo e Ulli muore il 24 agosto 2016.

Dopo qualche tempo, il volontario inizia a ricevere, da parte della R.S.A., delle fatture per il pagamento della retta relativa alla persona che aveva accompagnato. Risponde spiegando di non aver alcun rapporto di parentela o di rappresentanza legale con quell'anziano, e di essere solo un semplice volontario che quel giorno si è reso disponibile ad accompagnarlo.

Le fatture continuano a pervenire, con ulteriori analoghe richieste di pagamento cui il volontario risponde alla stessa maniera di prima.

Ai primi di gennaio 2016 riceve da uno studio legale incaricato dalla Rsa una formale diffida e messa in mora, cui risponde come sopra con formale raccomandata. Ma le fatture continuano ad arrivare, nonostante i chiarimenti forniti. Tutto tace finché il 29 dicembre 2016 il volontario riceve notifica di atto giudiziario, contenente copia di istanza presso il Tribunale di Tivoli, e conseguente Decreto Ingiuntivo del Giudice di Pace che accoglie l’istanza e lo condanna a pagare.

Ci rivolgiamo a Regione Lazio, Comune di Roma ed alla rsa Italian Hospital Group: possibile che non si riesca a sistemare la questione senza che il volontario debba ora impiegare tempo e danaro per far accertare una cosa sotto gli occhi di tutti, vale a dire che non è mai stato il legale rappresentante di Ulli?
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