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15.000 'traditi' dalla Banca Popolare di Milano e la chimera della “class action”
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Editoriale di Alessandro Pedone
4 gennaio 2012 18:43
 
Il caso del Convertendo della Banca Popolare di Milano mostra gli enormi limiti della legge sull'azione collettiva che abbiamo in Italia.
Siamo davanti ad un caso che coinvolge migliaia di persone (si parla di 15.000 sottoscrittori privati) ed una serie di comportamenti scorretti già accertati dalla Consob. Ciò nonostante, per la legge che abbiamo in Italia, molto probabilmente i danneggiati dai comportamenti scorretti della Banca dovranno tutelarsi individualmente. Perché? Perché la realtà è che in Italia abbiamo una legge contro (e non a favore) della class action.
Durante il lungo dibattito parlamentare che ha partorito la legge attuale, l'Aduc predispose un progetto di legge organico (chi vuole può leggerlo qui) che prevedeva l'introduzione di una vera class action. In Parlamento, in commissione giustizia, fummo anche ascoltati per illustrare i punti essenziali che secondo noi avrebbero effettivamente tutelato i consumatori (in questo caso gli investitori). Naturalmente la legge finale ignorò la maggior parte delle nostre indicazioni e oggi ci ritroviamo con una legge che sostanzialmente non solo non serve a niente, ma ha anche eliminato ogni speranza per l'introduzione di una vera class action.
Le lacune della norma attuale sono moltissime (chi è interessato può leggere l'approfondimento che pubblicammo all'entrata in vigore della norma) ma gli aspetti più gravi sono due: 1) l'attivazione dell'azione di classe e 2) l'assenza del danno punitivo.
Per quanto riguarda il primo punto (oltre a tutti i problemi pratici che scoraggiano fortemente l'avvio della procedura), un'azione di classe può essere attivata solo per:

- i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
- i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
- i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.

Questa formulazione limita di molto i casi nei quali le azioni di classe possono essere effettuati. L'uso dell'espressione “identico” è giuridicamente molto forte. Un diritto è “identico” quando vi è “completa uguaglianza”. Sono rarissimi i casi di completa uguaglianza mentre sono più frequenti i casi di diritti omogenei. La recente giurisprudenza (si veda Corte di Appello di Torino 23, sez. I, 23 settembre 2011) propende per interpretare l'espressione “identità” come “omogeneità dei diritti”. L'omogeneità, secondo tale giurisprudenza, deve essere verificata in relazione al “petitum” (cioè l'oggetto di tutela e quindi di pronuncia richiesta) e di “causa pendenti” (quale ragione giuridica a fondamento della petitum)
Nel caso del Convertendo BPM, l'omogeneità del petitum c'è tutta, ma poiché la causa pendenti riguarda sostanzialmente il modo con il quale lo strumento finanziario è stato collocato (assenza di informazione, inadeguatezza del profilo di rischio) è del tutto evidente che si tratta di fatti specifici che possono essere accertati solo caso per caso. Ricordiamo che il filtro di ammissibilità dell'azione di classe viene effettuato prima di entrare nel merito della causa pendenti. Come si fa a dire, ex-ante, che l'intera classe non è stata informata correttamente e che l'intera classe non aveva un profilo di rischio adeguato? Il caso di un investitore che ha sottoscritto il titolo on-line, autonomamente, è omogeneo a quello che ha ricevuto pressanti telefonate?
Ci farebbe molto piacere, ma saremmo molto stupidi, se il Tribunale di Milano accogliesse un'azione di classe in questo caso. Se anche ciò accadesse rimarrebbe il forte rischio che tutto venga vanificato nei gradi successivi di giudizio.
L'assenza del danno punitivo è la seconda grande lacuna dell'attuale legge.
Lo scopo della class action, nelle nazioni dove realmente c'è, è quella di scoraggiare le azione dal mettere in atto illeciti pluri-offensivi. Dove esiste il danno punitivo, infatti, il rischio per le aziende non è solo quello di risarcire il danno provocato, ma corrono un rischio molto più elevato. Ciò scoraggia questo tipo di comportamenti che sono dannosi per l'intera società.
Se nella nostra nazione avessimo una vera legge sulla class action, questo caso del Convertendo BPM sarebbe un caso di scuola: un'accertata pratica commerciale scorretta ha recato sicuramente un danno ad una classe di persone. Il problema è che in Italia abbiamo una legge contro la class action, non a favore.
Speriamo fortemente di sbagliarci, ma questo caso finirà con i singoli risparmiatori che dovranno essere tutelati individualmente. Ovviamente si possono ipotizzare strumenti processuali come atti di citazione con attori multipli in modo da frazionare i costi di causa, ma una vera class action, purtroppo, in Italia, rimane una chimera.

P.S. L'Aduc ha istituito un servizio gratuito per inviare una formale lettera di contestazione alla banca. Gli investitori che hanno sottoscritto questi strumenti possono accedervi a questo link
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