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Bolle finanziarie e natura umana: è possibile proteggersi?
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Editoriale di Alessandro Pedone
11 ottobre 2017 7:30
 
 Stiamo vivendo il formarsi di una delle più grandi bolle finanziarie che la storia abbia mai conosciuto.
Questo è un dato di fatto, non è un’ipotesi.
Questa stessa frase si poteva scrivere qualche trimestre fa ed è possibile che si possa continuare a ripetere anche fra qualche trimestre. Ciò non rende più o meno vera la frase oggi rispetto a quella che si poteva dire qualche trimestre fa o che si potrà dire fra qualche trimestre. Le bolle possono continuare a gonfiarsi per molto tempo. Questa è una delle caratteristiche che le auto-alimentano.
Alcuni analisti di Deutsche Bank Market Research fra cui Jim Reid e Nick Burns hanno recentemente pubblicato alcune studi basandosi su serie storiche lunghissime, oltre 200 anni, ed hanno concluso che i prezzi medi degli asset (obbligazioni ed azioni) sono i più cari da sempre, come si evidenzia in questa immagine (1):



Le obbligazioni, in particolare, quotano prezzi assolutamente folli da molto tempo. Questo è dovuto, come ormai è noto, al comportamento delle banche centrali che da regolatori del mercato si sono trasformate nei principali operatori del mercato obbligazionario. Ciò ha influenzato anche il mercato azionario poiché se le obbligazioni non offrono più rendimento, gli investitori sono disposti a correre maggior rischio per tentare di avere qualche rendimento. Questo ha spinto sempre più in alto il prezzo della azioni (specialmente in USA) che sono diventate carissime. (1)
Se questa analisi è incontestabile (come in effetti è), si potrebbe dedurre che un operatore razionale non si azzarderebbe mai né ad investire in obbligazioni né ad investire in azioni, ma la realtà è ben diversa.
Le persone continuano ad investire e la raccolta, per le società di gestione del risparmio, è molto buona. Perché questo accade? Un investitore saggio dovrebbe essere completamente liquido in questo periodo di prezzi folli?
La risposta è… dipende. Dipende da chi siamo e dipende da che obiettivi abbiamo e, soprattutto, dipende dalla propria psicologia.

Il grandissimo economista John Maynard Keynes evidenziava il paradosso in base al quale fare scelte razionali in un mondo nel quale chi ci circonda fa scelte irrazionali non è razionale. Il problema di fondo è che possiamo sapere se siamo in una fase di bolla o meno (e adesso siamo indiscutibilmente in una fase di “bolla gemella”, cioè bolla sull’obbligazionario e bolla sull’azionario – in particolare negli USA) ma non potremo mai sapere quanto durerà la bolla. Potrebbe durare qualche trimestre, ma potrebbe durare qualche anno. Ogni fase di bolla ha la sua “storia”, la sua “narrazione”, le sue “ragioni”.
Il “carburante” principale delle bolle finanziarie è la natura umana.
Da consulente finanziario indipendente, che – quindi – non ha alcun interesse a far investire o meno i propri clienti, posso constatare come stare liquido, per l’investitore medio è un costo psicologico elevato. Non investire, specialmente quando i mercati finanziari sembrano essere “tranquilli”, quando il rischio non è percepito, è in qualche modo “faticoso”, si ha la percezione di “perdere un’opportunità”. E’ una situazione che può durare qualche mese, al massimo un anno, ma se la bolla finanziaria si protrae per più tempo, diventa insostenibile sul piano psicologico.
Il sistema finanziario ha tutto l’interesse a far leva su questa debolezza umana e stimola gli investitori per investire il più possibile.
Questo meccanismo alimenta la bolla e s’innesca un circolo vizioso che spinge i prezzi a livelli sempre più folli.
Il grafico seguente mostra l’andamento dell’indicatore CAPE di Shiller per le azioni americane dal 1881. Questo è un indicatore che mostra quanto le azioni sono sopra o sotto valutate. Come si può vedere abbiamo raggiunto quotazioni che sono state raggiunte in passato solo in due occasioni: prima della crisi del ‘29 e durante la così detta “Bolla di Internet”.



Durante la bolla di Internet, il fatto che le azioni fossero sopravvalutate era noto a tutti i professionisti del settore. L’allora presidente della FED (la banca centrale in USA), Alan Greenspan parlo di “Euforia Irrazionale” già nel 1997 (precisamente il 5 dicembre del 1996). I mercati continuarono a salire fino al marzo del 2000!
Serviva una forza di volontà ed una convinzione incrollabili per continuare ad non investire nelle azioni quando tutto il mondo sembrava andare nella direzione opposta.
Stiamo vivendo esattamente lo stesso meccanismo.
L’idea di non investire ed attendere che la bolla esploda sarebbe la soluzione razionale e ideale. Ideale se si avesse la forza psicologica e la convinzione di portarla avanti fino a quando la bolla non scoppierà. Da qui ad allora, però, è quasi certo che la grande maggioranza degli investitori cambierà opinione.
I giornali e gli opinionisti si accalcheranno a giustificare le ragioni per le quali “questa volta è diverso”.
Ci spiegheranno che… “sì, è vero, i prezzi sono elevati in base ai vecchi modi di valutare le azioni, ma oggi le cose sono cambiate perché ci sono le banche centrali che comprano le obbligazioni e questo cambia tutto”.
Non comprare azioni adesso significa perdere un’opportunità storica di guadagno!” Questo è il messaggio che un comune investitore riceve e continuerà a ricevere fino a quando la bolla non scoppierà. E se non sarà investito, correrà il forte rischio di investire nella fase ancora più avanzata dell’evoluzione della bolla.
Da consulente finanziario indipendente mi sono posto moltissime volte, in questi mesi (ed ormai anni) la domanda su come meglio proteggere i miei clienti in questa fase che appare agli investitori così poco rischiosa ed è in realtà è una delle fasi più rischiose (se non la più rischiosa in assoluto) che la storia finanziaria abbia conosciuto.
La risposta che mi sono dato è che l’unico modo di tutelarsi è quello d’informare il cliente sulla reale situazione del mercato ma, al tempo stesso, assecondare la necessità psicologica d’investire facendo grandissima attenzione a controllare i rischi.
In altre parole l’idea è quella d’investire, ma con la consapevolezza di partecipare ad una sorta di “gioco del cerino”. Questa è la realtà. La bolla potrà scoppiare fra tre mesi, un anno, due anni o forse anche più. Non lo sappiamo: potrebbe scoppiare anche fra una settimana, specialmente se dovesse esserci un fatto esogeno ai mercati come una crisi geopolitica (si veda alla voce Corea del Nord). La sola verità è che non lo sa assolutamente nessuno.
Al tempo stesso possiamo dire per certo che le valutazioni sono tecnicamente “da bolla” e nei prossimi anni, quando riguarderemo queste quotazioni (specialmente per quanto riguarda la componente obbligazionaria) tutti gli esperti diranno che la bolla nel 2017 era già conclamata.
E’ possibile proteggersi dallo scoppio della bolla?
No, ma si può provare a farsi meno male possibile.
Il primo requisito indispensabile per farsi meno male possibile è quello di essere pienamente consapevoli che stiamo vivendo un momento di bolla finanziaria.
Speriamo, nel nostro piccolo, di aver dato il nostro contributo informativo.

Note
(1) Sono stati pubblicati recentemente due studi sui ritorni di lunghissimo termine degli asset, molto ben fatti da parte di Deutsche Bank Market Research. Chi si occupa di scelte finanziarie professionalmente non dovrebbe mancare di leggerli. Entrambi sono della seria “Long Term Asset Return Study”, il primo è intitolato “Bonds: The Final Bubble Frontier?” ed il secondo “The Next Financial Crisis”, dal secondo è tratta l’immagine nell’articolo.
(2) Ci sono molti modi di stimare il “valore” delle azioni. Uno dei più usati è il famoso CAPE (cyclically adjusted PE) di Shiller. Questo indicatore è molto elevato per le azioni USA (31.5 su una media di circa la metà). Nella serie storica utilizzata da Shiller che risale al 1881, ci sono solo 4 anni nei quali il valore è superiore a quello odierno, e si tratta del periodo 1998-2001. Questo metodo valuta le azioni in base alla loro capacità di generare profitti ed è uno ovviamente dei più ragionevoli. Un altro metodo di valutazione compara i dividendi generati dalle azioni con i rendimenti delle obbligazioni. Essendo questi ultimi incredibilmente bassi è evidente che questo criterio di valutazione non considera le azioni particolarmente sopravvalutate.
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