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L’emergente bolla dei mercati privati
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Editoriale di Alessandro Pedone
5 novembre 2019 17:10
 
 I tassi d’interesse prolungatamente negativi in Europa, stanno generando le premesse per grandi problemi. La BCE si troverà a dover gestire delle crisi che sostanzialmente sta “coltivando”. 
I due settori più problematici sono le assicurazioni e la previdenza complementare. Questi settori prevedono, nei loro modelli di business, che il denaro nelle riserve matematiche (per le assicurazioni) o investite (per i fondi pensione) abbia qualche forma di rendimento o - almeno - non abbia costi. Una manciata di anni anomali non mette a repentaglio l’intero business, ma un mondo nel quale - strutturalmente - i rendimenti degli asset privi di rischio sono negativi, rende necessario rivedere dalle fondamenta questi due settori economici molto rilevanti. Al momento questi settori stanno mostrando molta insofferenza, ma quando il problema esploderà in tutta la sua dimensione, la BCE dovrà prendere dei provvedimenti straordinari ed i due settori dovranno essere in qualche modo riorganizzati. 

I mercati privati
Vi sono settori che stanno vivendo il problema opposto. E’ il caso dei mercati privati. Con questo termine intendiamo quelle forme d’investimento alle quali non si accede attraverso mercati regolamentati. In questo ambito il mercato più preoccupante è quello delle aziende non quotate, il così detto “private equity”. 
Tutte le grandi società di gestione del risparmio si stanno buttando a capofitto in questo settore.
L’esempio forse più noto è quello di Azimut che ha avviato un politica di marketing molto aggressiva per avvicinare il piccolo investitore a questo mercato. 
Il marketing parla di “democratizzare il mercato degli investimenti nell’economia reale italiana rendendolo accessibile anche ai piccoli risparmiatori”. Suona come una bellissima cosa, ma ci sono due grandi problemi. 

Il primo è la scarsissima trasparenza implicita in questi mercati. Si parla, in genere, di aziende che fatturano da qualche decina a poche centinaia di milioni di euro. Per i mercati finanziari sono un’inezia. Valutare questo tipo di aziende è estremamente difficile, anche per gli esperti, poiché basta il variare di fattori estremamente specifici ed imponderabili affinché un’azienda passi dalle stelle alle stalle (come dimostra anche il recente caso di Bio-on, la quale era comunque soggetta a maggiore trasparenza rispetto al vero e proprio private equity, figuriamoci cosa avviene con aziende che non sono soggette alle norme di trasparenza previste per le aziende quotate). 
Il rischio connesso a queste operazioni è estremamente elevato.

Il secondo problema è l’enorme squilibrio che si sta generando tra i capitali e le aziende disponibili. Basta muovere un 5% dei fondi oggi investiti nei mercati regolamentati sui private equity per sbilanciare completamente il mercato. Le aziende da acquistare non si creano dall’oggi al domani, come come invece accade per le obbligazioni governative. Le aziende “papabili” sono relativamente poche (in termini di volumi) ed oggi sono tutte corteggiate da vari fondi d’investimento. 
I prezzi stanno andando alle stelle. Gli imprenditori (giustamente, dal loro punto di vista) hanno ben compreso di essere corteggiati e alzano i prezzi decisamente oltre misura. Presto vedremo acquistare aziende sui mercati privati a valutazioni molto vicine rispetto a quelle quotate. Si tratta, in sostanza, di una bolla che si sta gonfiando e dalla quale gli investitori non esperti farebbero molto bene a stare alla larga. 

Nei prossimi mesi vi sentirete proporre sempre di più investimenti in “private equity”. Ancora una volta, utilizzare la nostra “regola aurea degli investimenti” vi proteggerà dai guai: se un investimento è proposto da un venditore della finanza solo per questo è una buona ragione per non aderire. Se ve lo propongono è perché conviene a chi lo propone, se conviene a chi lo propone è matematico che non conviene a chi lo sottoscrive. 
In questo specifico caso, la validità di questa regola è molto potenziata. 
Gli spazi per “mangiare” nel “private equity” sono molto più ampi rispetto agli investimenti finanziari tradizionali. I controlli sono difficilissimi da realizzare. I fiumi di denaro che stanno affluendo su questo settore sta dando sfogo ad istinti famelici di una pletora di personaggi improvvisati che stanno andando in giro per le PMI italiane prospettando “affari” (con commissioni a due cifre!) a scapito di chi li finanzierà, ovvero l’investitore finale. 

Purtroppo si tratta dell’ennesima facile profezia che andremo a rileggere fra un lustro o due. Gli investitori che si faranno abbindolare dalla promessa di avere migliori rendimenti attraverso questi “nuovi” prodotti legati al private equity rimarranno fortemente delusi. Non si tratta di fare previsioni. E’ semplice buonsenso. Se si acquista un paniere di micro-aziende con multipli di bilancio simili a quelli delle aziende quotate il disastro è assicurato. 

L’unico modo per guadagnare con alcuni di questi prodotti sarà quando esploderà il problema. Davanti ad una recessione economica quella fetta di questi prodotti che verrà quotata avranno prezzi ridicoli. Con estrema attenzione - e solo per investitori veramente esperti - quello potrà essere il momento di acquistarne una quota del proprio portafoglio non superiore al 2-3%. 
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