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L'impatto dello storytelling nei mercati finanziari
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Editoriale di Alessandro Pedone
22 giugno 2016 15:19
 
 Qualcuno ricorda il referendum in Grecia dei primi di luglio dell'anno scorso?
Per settimane i giornali presentarono l'evento come una sorta di giorno del giudizio.
Il giorno arrivò, il giudizio fu negativo, ci fu un po' di turbolenza ma – alla fine – non vi fu quello tsunami che si paventava nei media.
La nostra impressione è che qualcosa di molto simile possa verificarsi dopodomani. I media hanno presentato l'eventuale voto per l'uscita del Regno Unito nell'Unione Europea (“Brexit”) come una sorta di giorno del giudizio. Solo negli ultimi giorni i timori sembrerebbero affievolirsi a causa della tragica morte della deputata laburista che sembrerebbe aver riportato i sondaggi a sfavore del “Brexit”.
Il modo con il quale i media trattano le informazioni gioca un ruolo importante nelle turbolenze dei mercati finanziari. Le decisioni sulla negoziazione dei titoli sono assunte seguendo due grandi orientamenti. La grande massa degli operatori cerca, attraverso varie tecniche, di capire come si muoveranno i prezzi. Una minoranza cerca di capire se i prezzi attuali rispecchiano il valore degli strumenti scambiati.

E' evidente che l'approccio teoricamente più corretto sarebbe quello di guardare al valore di ciò che si compra, ma questo implica una serie di conseguenze che solo una minoranza d'investitori è in grado di accettare e sostenere realmente. Ciò accade anche perché le regole dei mercati finanziari, di fatto, incentivano un orientamento di breve o talvolta brevissimo termine ed esaltano il focus ossessivo sulle variazioni di prezzo e non sul valore.
Con l'eccezione dei pochi investitori che sono realmente orientati al valore, il “gioco” dei mercati finanziari si traduce quindi non nell'individuare ciò che è “buono”, ma ciò che la maggioranza degli operatori ritiene “buono” in una logica di variazione di prezzo di breve termine.
Questo influenza il prezzo stesso, perché anche gli operatori “razionali”, i quali comprendono che i prezzi non rispecchiano il valore, tenderanno a comportarsi dando poco peso al valore e maggior peso alla tendenza del prezzo. Più operatori faranno così e più i prezzi saranno illogici.
Il meccanismo è ben descritto dal seguente “gioco” che è stato più volte effettivamente testato anche in gruppi di persone teoricamente molto ben avvezze a “gestire i numeri”.
Si seleziona un gruppo abbastanza consistente di persone. A ciascuno si chiede d'indicare un numero da 0 a 100 spiegando che vince chi indica il numero intero (troncando la virgola) pari al 75% della media dei numeri espressi. Quindi, se la media dei numeri fosse, ad esempio, 50 vince chi ha indicato 37.

E' chiaro che per partecipare ad un gioco del genere, la prima variabile che dobbiamo considerare non è tanto la matematica (abbastanza elementare), ma il comportamento di tutti gli altri partecipanti al gioco. Se tutti i partecipanti fossero persone razionali e con un minimo di basi matematiche, la soluzione corretta sarebbe indicare il numero zero. La premessa, però, è una premessa certamente sbagliata.
Avendo proposto più volte questo gioco a più persone, ho potuto verificare che sebbene il procedimento logico per identificare zero come numero corretto sia piuttosto banale non mi è mai capitato qualcuno che lo indichi come sua prima scelta. Non solo, quando ho spiegato che zero sarebbe stato il numero corretto, diverse persone hanno impiegato un po' di tempo per afferrare la spiegazione.

Questo mi porta a ritenere che anche fra i miei carissimi dodici lettori qualcuno, in questo momento, si starà chiedendo perché zero sarebbe la risposta teoricamente corretta. E' il caso, quindi, di non lasciare queste persone nel dubbio. Abbiamo detto che il numero “vincente” è il 75% della media di tutti i numeri. Ciò significa che qualunque sia il numero ipotizzato come media, il numero “vincente” dovrebbe essere più basso. Questo ragionamento dovrebbero farlo anche tutti gli altri (o almeno la maggioranza degli altri, quelli più “razionali”) e ciò porterà ad abbassare ulteriormente la media.
E' evidente che scegliere numeri sopra 75 significherebbe perdere certamente, perché anche nell'ipotesi, assurda, che tutti scegliessero 100 (il numero massimo) qualsiasi numero sopra 75 sarebbe certamente perdente. Si può ipotizzare, quindi, che la maggioranza delle persone scelgano numeri compresi almeno tra 75 e 0. Ciò porta ad abbassare la media “teorica” dei numeri da 50 a 37. Ma noi sappiamo che anche gli altri vorranno indicare il 75% della media dei numeri e quindi indicheranno un numero più basso della media “teorica”. Molti potrebbero indicare il 25% in meno. Ma se molti faranno questo ragionamento, la media effettiva sarebbe più bassa, quindi ci saranno dei partecipanti che sceglieranno un numero ulteriormente più basso. Ma fino a quando? La scelta razionale dovrebbe essere zero, perché qualsiasi numero scegliamo, c'è sempre l'ipotesi che il nostro ragionamento sia seguito anche da altri partecipanti, invalidandolo. Il 75% di zero, invece, è, appunto, zero. Se tutti scegliessimo zero, vincerebbero tutti. Quindi è l'unico numero razionale da scegliere.
Le prove più volte svolte con persone reali dimostrano che solo pochi scelgono zero e questo accade anche fra persone che dovrebbero essere iper avvezze ai numeri, come i money manager. Questo accade perché basta un partecipante che non fa il ragionamento corretto per far passare dalla parte del torto tutti gli operatori che erano “teoricamente” dalla parte della ragione. In altre parole, come diceva il grande Keynes comportarsi in modo razionali in un mondo di operatori irrazionali non è razionale.

Nei mercati finanziari accade una cosa abbastanza simile. Le regole del gioco fanno in modo che non si debba “indovinare” il comportamento teoricamente corretto, ma un comportamento derivato dal quello di tutti gli altri operatori, non necessariamente razionali, anzi, certamente non completamente razionali.
In un contesto del genere, cosa è razionale fare se sappiamo che i media raccontano storie enfatizzando alcuni aspetti e sottacendo altri ugualmente o forse più importanti?
Con questo in mente, torniamo alla giornata di domani, cioè alla questione della Brexit. Non ho ascoltato o letto in nessun media generalista (giornali, TV, radio) un fatto centrale nella valutazione dei reali impatti del referendum. Anche nell'ipotesi considerata “peggiore” di voto per il Brexit, le regole previste dai trattati per l'Unione Europea prevedono un periodo, fino a due anni, di trattative con gli altri Paesi dell'Unione per definire le procedure di separazione. In altre parole, in termini pratici, dal giorno successivo non cambierebbe niente in concreto. I cambiamenti sarebbero comunque tutti da definire e nella peggiore delle ipotesi (ovvero in assenza di accordi) si verificherebbero dopo due anni. Questa è un'informazione determinante, ma pochissimi ne sono a conoscenza perché lo storytelling che conviene presentare ai media prevede l'esasperazione delle conseguenze del referendum. La storia che “domani potrebbe accadere il finimondo” è molto più interessante rispetto a quella di “un passaggio certamente importante, ma non determinante nell'evoluzione delle istituzioni europee e del Regno Unito”.

I danni che questo atteggiamento dei media provoca sono ben più ampi di quelli che si potrebbero immaginare proprio per il meccanismo che abbiamo cercato di descrivere. 
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