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Da qualche parte bisogna pur investire... o no?
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Editoriale di Alessandro Pedone
30 settembre 2015 15:55
 
“Non vedi che vero affare
non perdere l'occasione
sennò poi te ne pentirai...”
Edoardo Bennato – Il Gatto e la Volpe
 
 
Due settimane fa sono stato ad un convegno di consulenti finanziari indipendenti nel quale ho avuto modo di parlare con diversi colleghi e, naturalmente, c'erano anche una serie di istituzioni finanziarie che presentavano i loro prodotti.
La domanda che ho sentito porre più spesso è: dove investire la liquidità?
Ad alcuni mi sono permesso di far notare che prima ancora, c'era da rispondere ad un'altra domanda: è il momento adatto per investire?
L'ipotesi di non investire per un po' di tempo non è neppure presa in considerazione in finanza. Da qualche parte bisogna investire. E' un concetto dato per scontato.
E' più che comprensibile che per le istituzioni finanziarie l'ipotesi di stare liquidi sia assolutamente da escludere. Per loro, bisogna investire perché non investire significherebbe chiudere bottega.
Consigliare ai loro clienti di stare totalmente liquidi per alcuni trimestri sarebbe un po' come se un supermercato decidesse di non aprire. Non è una cosa che si possa neppure minimamente ipotizzare.
Per questo, le istituzioni finanziarie, in ogni fase di mercato, cercano sempre e comunque di far investire i propri clienti indirizzandoli verso le forme d'investimento più facili da vendere in quella fase.
Molti dei prodotti che erano “in mostra” in questa conferenza ruotavano sul concetto di “cedola” (che poi non è una cedola, ma qualcosa che vi “assomiglia” esponendo però il cliente a rischi che lui non è in grado di calcolare). A me appariva insopportabile la sfacciataggine con la quale i rappresentanti di queste istituzioni dicevano all'uditorio che: l'investitore italiano “vuole la cedola” e noi progettiamo dei prodotti che rispondono a questa esigenza.
Il problema è che con questi prodotti non si risponde a quella esigenza, ma si finge di rispondere a quell'esigenza. Non si fa lo sforzo di spiegare agli investitori che le cose, al momento, sono cambiate e che ciò che loro vorrebbero è semplicemente impossibile. Non si fa questo sforzo perché non conviene a chi deve vendere prodotti. Se si spiegasse la situazione reale del mercato la conseguenza sarebbe che i clienti non investirebbero e si tornerebbe al concetto di prima: non si può chiedere ad un supermercato di tenere le serrande abbassate.
 
Se il ragionamento degli intermediari finanziari (e di tutta la pletora dei loro venditori che amano farsi chiamare “consulenti”) è comprensibile, mi ha stupito molto di più il ragionamento di alcuni colleghi consulenti finanziari indipendenti i quali mi facevano presente che loro non potevano consigliare di stare liquidi perché i clienti da qualche parte vogliono investire e poi loro farebbero fatica a giustificare la loro parcella se il cliente non avesse investito.
Per la prima volta, dopo oltre dieci anni che faccio questa professione, ho toccato con mano una forma di conflitto d'interessi che tocca anche i consulenti finanziari indipendenti.
Il ragionamento di questi colleghi assomiglia a quello degli intermediari finanziari.
Secondo loro, i clienti non vogliono restare liquidi perché hanno la sensazione di sprecare opportunità. Questi consulenti, in cuor loro, si rendono perfettamente conto che la cosa migliore in questa fase sarebbe stare liquidi, ma sentono di non poterlo suggerire al cliente perché temono di rischiare fortemente di perderlo. Prima di perdere il cliente, allora, è molto meglio consigliargli di investire in qualcosa, sebbene si ritenga che – in questo momento – non sia una buona cosa.
 
Personalmente, comprendo benissimo che l'aspetto psicologico – negli investimenti finanziari – sia centrale. Più di una volta, nella mia professione, ho preferito raccomandare ai miei clienti investimenti che io consideravo, astrattamente ed in generale, sub ottimali, ma che erano più compatibili con l'approccio psicologico agli investimenti di quello specifico cliente. Ogni volta che è successo ho spiegato loro la questione citando l'adagio attribuito a Voltaire “il meglio è nemico del bene”.
 
Diverso, però, è il discorso se raccomandiamo di investire in qualcosa, pur credendo che non sia il momento giusto, per il solo fatto che il cliente “vuole” comunque investire in qualcosa.
Il consulente finanziario indipendente che fa questa scelta, a mio avviso, tradisce la sua missione, il suo ruolo, la sua professione.
Un conto è un investitore che ha tutta una serie di “trappole mentali” (1) legate agli investimenti finanziari, ben studiate dalla finanza comportamentale, e che sappiamo benissimo di non poter facilmente risolvere con tutta l'informazione corretta possibile ed immaginabile. Con queste “trappole mentali” è più logico cercare di convivere e “comprenderle” nelle strategie finanziarie che si porranno in atto, piuttosto che tentare di “combatterci”.
Altro conto è evitare di fornire la raccomandazione che si ritiene più corretta per questa fase del mercato (cioè stare liquidi) perché si teme di perdere il cliente (e relativa parcella).
 
Io credo che il compito di chi non ha alcun interesse nel suggerire questo o quel prodotto finanziario sia, in primo luogo, quello di dire che possono esistere particolarissime fasi nei mercati finanziari nelle quali non sia conveniente investire sostanzialmente in niente. Fasi nelle quali i rischi che si assumo sono esageratamente superiori ai rendimenti attesi.
Da mesi, ormai, ci troviamo esattamente in questa situazione ed è possibile che ciò duri ancora per alcuni trimestri. Ma il fatto che possa durare ancora, non giustifica il fatto di assumersi rischi non ripagati da adeguati rendimenti attesi. Nessuno può sapere quando – ed in che modo - le cose cambieranno. Abbiamo visto nell'ultima settimana di Agosto come i mercati possano perdere moltissimo nell'arco di poche ore o pochi giorni. Tentare di guadagnare un 1 o 2% in più, sapendo di correre il rischio di perdere un 5 o 10% nel giro di pochi giorni è qualcosa di illogico.
 
Naturalmente questo è un ragionamento da investitori, non da speculatori. E' un ragionamento di chi vede il proprio patrimonio finanziario come qualcosa che va, in primo luogo, protetto (anche dall'inflazione che in questo periodo non è un problema) e poi – se possibile – incrementato.
Per mettere in atto buone scelte finanziarie la prima cosa da fare è tenere a bada le due emozioni principali che possono portare alla rovina finanziaria: la paura e l'avidità (2). In questa fase è l'avidità che gioca il ruolo più pericoloso. Guadagnare “solo” l'uno o il due percento (quando l'inflazione è lo zero virgola) sembra “troppo poco”. Si ha memoria delle “belle cedole” di un tempo andato.
E' possibile che non ci sia proprio niente di meglio?
Con questo stato d'animo, si è ben disposti, allora, ad ascoltare le “argomentazioni” del “gatto e la volpe” che in finanza si presentano sotto moltissime vesti che ci dicono che, tutto sommato, l' “albero delle monete d'oro” esiste e che attraverso complicatissime soluzioni si può ottenere ciò che appare impossibile. In “realtà”... con il prodotto giusto... con il gestore giusto... affidandosi alle persone giuste... (il gatto e la volpe di cui sopra) si può guadagnare di più dei tassi di mercato. Ed i rischi? Il gatto e la volpe ci diranno che quelli poi si possono “gestire”... che ci penserà magari il gestore del fondo “flessibile” che saprà il momento giusto nel quale spostarsi da un mercato all'altro. Oppure che coloro che hanno realizzato il certificato che offre la così detta “cedola” allettante (che cedola non è) hanno pensato proprio a tutto e che le cose dovrebbero andare troppo male per rimetterci... Quindi... i rischi sono sistemati...
Si può lasciare libero sfogo all'avidità e immaginarsi di poter guadagnare di più dei tassi di mercato.
Auguri!

(1) In proposito si veda: "Un interessante Quaderno della CONSOB"
(2) Ne abbiamo parlato in passato in questi due articoli: "Il peso delle emozioni nelle scelte finanziarie" e "Il difficile equilibrio fra paura/avidità e razionalità"
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