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Scarsità e prosperità
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Editoriale di Alessandro Pedone
3 luglio 2013 14:26
 
 Nel 1930, durante la grande depressione, il grande economista inglese John Maynard Keynes pubblicò un piccolo saggio dal titolo “Economic Possibilities for Our Grandchildren”. Il saggio iniziava così:
In questo momento siamo affetti da un grave attacco di pessimismo economico. È cosa comune sentir dire dalla gente che è ormai conclusa l’epoca dell’enorme progresso economico. [...]
La depressione che domina nel mondo, l’atroce anomalia della disoccupazione in un mondo pieno di bisogni, i disastrosi errori che abbiamo commesso ci rendono ciechi di fronte a quanto sta accadendo sotto il pelo dell’acqua, cioè di fronte al significato delle tendenze autentiche del processo. Voglio affermare, infatti, che entrambi i contrapposti errori di pessimismo, che sollevano oggi tanto rumore nel mondo, si dimostreranno errati nel corso della nostra stessa generazione: il pessimismo dei rivoluzionari, i quali pensano che le cose vadano tanto male che nulla possa salvarci se non il rovesciamento violento; e il pessimismo dei reazionari i quali ritengono che l’equilibrio della nostra vita economica e sociale sia troppo precario per permetterci di rischiare nuovi esperimenti.
In questo saggio, tuttavia, mio scopo non è di esaminare il presente o il futuro immediato, ma di sbarazzarmi delle prospettive a breve termine e di librarmi nel futuro. Quale livello di vita economica possiamo ragionevolmente attenderci fra un centinaio d’anni? Quali sono le prospettive economiche per i nostri nipoti?
Le risposte che Keynes fornisce a queste domande sono molto ottimistiche. Keynes sosteneva, ancora una volta avendo ragione, che il mondo si sarebbe ripreso dalla grande depressione e che ci sarebbe stato un enorme crescita del benessere a livello globale (1).
Il ragionamento che Keynes sviluppava in quel saggio era che la crisi che stavano vivendo era essenzialmente un crisi di crescita dovuta a l'enorme accrescimento delle capacità tecniche. Il mondo avrebbe dovuto adeguarsi a questa nuove capacità e ciò avrebbe provocato delle crisi di adattamento ma, in ultima analisi, il fatto che l'uomo avesse conquistato così tante nuove capacità era un fatto positivo che, nel lungo termine, avrebbe consentito a tutti una vita molto più agiata lavorando molto di meno. Riporto ancora un altro passaggio significativo della visione di Keynes:
 
Sono certo che, con un po’ più di esperienza, noi ci serviremo del nuovo generoso dono della natura in modo completamente diverso da quello dei ricchi di oggi e tracceremo per noi un piano di vita completamente diverso che non ha nulla a che fare con il loro.
Per ancora molte generazioni l’istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti. Faremo, per servire noi stessi, più cose di quante ne facciano di solito i ricchi d’oggi, e saremo fin troppo felici di avere limitati doveri, compiti, routines. Ma oltre a ciò dovremo adoperarci a far parti accurate di questo “pane” affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito fra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi.
Dovremo attenderci cambiamenti anche in altri campi. Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale. Dovremo saperci liberare di molti dei principi pseudomorali che ci hanno superstiziosamente angosciati per due secoli, e per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli. Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L'amore per il denaro come possesso, e distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali. Saremo, infine, liberi di lasciar cadere tutte quelle abitudini sociali e quelle pratiche economiche relative alla distribuzione della ricchezza e alle ricompense e penalità economiche, che adesso conserviamo a tutti i costi, per quanto di per se sgradevoli e ingiuste, per la loro incredibile utilità a sollecitare l’accumulazione del capitale.
 
La “profezia” di Keynes di una “crescita felice” è in larga parte incompiuta, ma buona parte delle premesse si sono effettivamente sviluppate.
Se guardiamo le cose con un po' di distacco dalle notizie catastrofiste che continuamente sentiamo sulla crisi economica possiamo vedere che l'uomo non ha mai avuto così tante conoscenze e tecnologie disponibili nonché forza lavoro sia umana che meccanica.
La nostra terra sarebbe in grado di sfamare abbondantemente tutti i suoi abitanti (2). Le nostre conoscenze tecniche sono talmente ampie da consentirci una vita incredibilmente più agiata di quella che qualche secolo fa avevano i grandissimi ricchi. Siamo in grado di costruire macchine che possono svolgere quasi ogni tipo di lavoro umano. Saremmo effettivamente, in linea teorica, in grado di affrancarci completamente dai problemi che per secoli e secoli hanno attanagliato la nostra specie. Anche dal punto di vista del consumo delle risorse, le conoscenze tecniche che abbiamo sviluppato ci consentirebbero di soddisfare i bisogni umani senza distruggere il nostro ambiente.
A ben guardare, viviamo in un periodo di incredibile prosperità potenziale.
Al tempo stesso continuiamo – giustamente – a parlare di crisi economica. C'è grande disoccupazione (specialmente in alcune zone dell'Europa ed in alcune categorie: giovani e donne), i consumi si contraggono e si parla in continuazione di dover aumentare le tasse o tagliare le uscite dello Stato per tenere "i conti in ordine". Questa apparente contraddizione derivata dalla scarsità di moneta. Abbiamo le competenze, i mezzi, le persone, ma non abbiamo il denaro per mettere in connessione queste cose e realizzare ciò che può soddisfare i nostri desideri.
Molti economisti discutono animatamente circa le cause dell'attuale crisi. Recentemente Vítor Constâncio, vice-presidente della Banca centrale europea, ha sostenuto che la crisi sia originata più dall'indebitamento del settore privato che non dall'indebitamento del settore pubblico. (3)
Queste discussioni sono abbastanza ridicole, non si riesce in nessun modo ad affrontare il tabù del sistema monetario che è completamente da rifondare proprio perché è basato sul debito e sul tasso d'interesse. Che sia debito privato o che sia debito pubblico cambia poco. Il problema è che abbiamo un sistema monetario il quale crea una scarsità artificiale che non ha alcune legame con la realtà.
Keynes conosceva molto bene il funzionamento della moneta e non aveva nessuno dei tabù monetari che esistono oggi. Apprezzava molto, ad esempio, il pensiero di Silvio Gesell (4) sebbene avesse espresso delle remore secondarie.
Per questo era convinto che la “crisi di crescita” sarebbe stata in futuro superata e che il progresso che concretamente l'uomo aveva raggiunto avrebbe espresso i suoi benefici effetti. Probabilmente aveva sottovalutato la possibilità che la finanza degenerasse nei successivi 70 anni così come è degenerata.
Oggi possiamo dire che il progresso che l'umanità ha raggiunto è decisamente superiore a quello che aveva sperimentato Keynes nel 1930 nonché a quello che lo stesso Keynes, ottimisticamente, aveva prefigurato, ma l'umanità si è incartata con un sistema monetario e finanziario che crea una crisi dietro l'altra, crisi sempre più gravi.
Abbiamo un grandissimo bisogno di riformare il sistema monetario, ma ancora non abbiamo la necessaria consapevolezza diffusa a livello di massa. Sappiamo cosa non va, sappiamo come sistemare le cose, ma queste conoscenze sono ancora ristrette fra un numero troppo piccolo di persone e quindi sono rese inermi dagli interessi costituiti.
Nella sua più grande opera, Keynes scrisse che “presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia nel bene che nel male”. Fu questa consapevolezza che spinse Keynes ad abbandonare l'attività politica in senso stretto (considerava le classi dirigenti di allora come “pazzi al potere”, chissà cosa avrebbe detto della classe dirigente attuale...) per diffondere idee che allora sembravano rivoluzionarie e che potenzialmente avrebbero potuto cambiare le cose, come effettivamente accadde.
Per poter riformare il sistema monetario abbiamo bisogno di un altro Keynes che contribuisca, con i mezzi moderni, a far acquisire a livello di massa le idee alla base di una riforma radicale del sistema monetario di cui abbiamo grandissimo bisogno.

Il mondo intero può vivere la più grande prosperità che sia mai esistita sulla terra.
La scarsità apparente nella quale siamo tutti immersi è causata fondamentalmente da un sistema monetario e finanziario obsoleto, non adeguato alle conoscenze scientifiche di cui oggi disponiamo. Cambiare questo sistema è possibile, ma è molto difficile non solo per i grandissimi interessi costituiti che si basano sulla conservazione del sistema attuale, ma soprattutto per la scarsissima conoscenza del problema a livello di sentire comune. Come Keynes, comunque, anch'io sono convinto che alla lunga le idee buone hanno una forza incredibile, molto più grande di quella degli interessi costituiti.
Anche per questo, con sempre più insistenza, cerco di diffondere, nel mio piccolo, più informazioni possibile sul problema della non sostenibilità del sistema monetario e finanziario attuale.
  
 
Note:
(1) All'epoca della pubblicazione del piccolo saggio di cui parliamo la popolarità di Keynes era già alle stelle in tutto il mondo a causa del pamphlet “The Economic Consequences of the Peace” nel quale Keynes sosteneva che il trattato di pace imposto alla Germania a seguito della prima guerra mondiale era talmente insostenibile che avrebbe condotto ad una seconda guerra ancora più devastante della prima. Purtroppo, anche su questo ebbe ragione.
 
(2) Il nostro pianeta potrebbe sfamare anche molti di più abitanti dei circa sette miliardi che fra poco saremo. Il problema è che sprechiamo in modo folle una quantità impressionante di risorse creando, fra l'altro, moltissima sofferenza sia nelle persone sottonutrite che nelle persone ipernutrite in occidente dove le principali cause di morte sono riconducibili ad abitudine alimentari scorrette con una prevalenza di cibo di origine animale (carne e latticini e loro derivati).
 
(3) Richiamandosi alle teorie di un economista argentino Roberto Frenkel che ha sviluppato le sue teorie a partire dall'analisi della crisi argentina del 2001.
 
(4) In una nota nella sua famosissima opera “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta” Keynes disse che in futuro il mondo avrebbe avuto da imparare molto più da Gesell che non da Marx. Citando letteralmente: “I believe that the future will learn more from the spirit of Gesell than from that of Marx. The preface to "The Natural Economic Order" will indicate to the reader, if he will refer to it, the moral quality of Gesell. The answer to Marxism is, I think, to be found along the lines of this preface.” GENERAL THEORY OF EMPLOYMENT, MONEY AND INTEREST - BOOK VI - Chapter 23 NOTES ON MERCANTILISM, THE USURY LAWS, STAMPED MONEY AND THEORIES OF UNDER-CONSUMPTION
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