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Tassa sulle transazioni finanziarie: il rischio di un flop è concreto!
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Editoriale di Alessandro Pedone
31 ottobre 2012 15:31
 
Il disegno di legge di stabilità 2013 (approvato nella riunione del c.d.m. del 9 ottobre 2012) introduce, se verrà approvato dal Parlamento, una tassa su alcune transazioni finanziarie.
Il testo attuale (art. 12, commi da 18 a 21) è ancora abbastanza vago e non possiamo dire se verrà approvato in questa forma. E' quindi ancora presto per poter esprimere giudizi definitivi, ma non vogliamo tacere le nostre perplessità.
La nostra opinione sulla così detta (impropriamente) “Tobin Tax” è sicuramente positiva: è fondamentale, però, che sia ben progettata.
Il 14 Dicembre scorso, il Presidente del Consiglio Monti disse che l'Italia aveva, a livello europeo, cambiato posizione riguardo la tassa sulle transazioni finanziarie. A seguito di questa notizia abbiamo pubblicato un editoriale piuttosto articolo nel quale scrivevamo: “Se correttamente progettata, una tassa sulle transazioni finanziarie, consentirebbe, con un'aliquota ridottissima, minore dello 0,1% (le proposte più diffuse parlano dello 0,05%) di raggiungere il duplice obiettivo di ridurre il volume delle transazioni finanziarie speculative (intendendo qui, con questo termine, le operazioni finanziarie fatte con un'orizzonte temporale di breve o brevissimo periodo, senza voler dare nessuna connotazione negativa alla parola) e produrre un buon gettito fiscale che può essere utilizzato per ridurre la tassazione sul lavoro.
Affinché una tassa sulle transazioni finanziarie sia efficace deve avere tre caratteristiche:
  • l'aliquota deve essere molto bassa,
  • conseguentemente la base imponibile deve essere molto ampia
  • ed infine non deve essere agevolmente eludibile attraverso transazioni fatte all'estero.
Ebbene, attualmente, il disegno di legge prevede l'applicazione di un'imposta pari allo 0,05% sulle “azioni e altri strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato” e sulle “operazioni su strumenti finanziari derivati” sul valore del nozionale di riferimento.
Le modalità di applicazione di quest'imposta dovranno essere stabilite da un decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze entro 60 giorni dall'approvazione della legge. L'aliquota prevista dal governo è abbastanza adeguata per le azioni, ma penalizzante per i derivati (l'applicazione sul nozionale, infatti, è molto diverso dall'applicazione sul mark-to-market, ma qui entriamo su argomenti troppo tecnici).
Ciò che è decisamente deludente, invece, è la base imponibile. Benissimo per l'inclusione dei derivati (1) ma non sono state incluse le valute, le obbligazioni e tutti gli altri strumenti non emessi da società residenti nel territorio dello Stato.
Sarebbe stato molto più utile prevedere un'aliquota anche molto più bassa, diciamo pari allo 0,01% ma includendo tutte le forme di transazioni finanziarie, a prescindere dalla tipologia.
Vi è poi il problema dell'eludibilità della norma. Su questo fronte il disegno di legge non prevede nessuna misura specifica, non resta che sperare che il decreto attuativo sia molto dettagliato in materia.
Il forte rischio è che l'Italia faccia da apripista europeo su questo genere d'imposta, ma lo faccia in maniera tecnicamente impropria, fungendo così da “scusa” per poter affermare che la tassa non funziona e affossando così definitivamente il progetto a livello Europeo.
Ci saremmo aspettati, da un Governo tecnico, un intervento normativo molto più preciso su una materia tanto delicata nella quale la lettura scientifica è molto ampia e sarebbe bastato farne buon uso.
 
(1) Sebbene l'aliquota molto significativa potrebbe diminuire drasticamente il gettito ciò renderebbe comunque utile la norma poiché ridurrebbe l'eccessivo uso di questi strumenti pericolosi.
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