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Fecondazione in vitro: la Gran Bretagna difende la salute dei pazienti e le casse dello Stato
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Articolo di Grazia Galli
17 aprile 2002 8:53
 
Ormai non e' piu' un mistero per nessuno, in Gran Bretagna il sistema sanitario e' in grave deficit, ed il Governo dovra' trovare una soluzione per salvaguardare il fiore all'occhiello del welfare britannico, che ha sin qui permesso a chiunque vi facesse ricorso di avere le migliori cure possibili.
Di qua dalla Manica, sono in molti ad attendersi la soddisfazione di vedere il Governo laburista costretto a operare tagli, che neanche l'ultraliberista Margaret Thacher ebbe il coraggio di proporre. Ma l'attesa non sembra breve. Almeno per ora, il Governo Blair sembra intenzionato a percorrere una strada diversa. Infatti, se da una parte i laburisti dovranno affrontare una probabile caduta di consenso elettorale conseguente ad un aumento delle tasse, dall'altra sembrano fermamente decisi a mantenere gli attuali livelli di assistenza, tagliando gli sprechi e gli eccessivi privilegi sin qui concessi ai privati. Con buona pace delle solite cornacchie, se l'operazione dovesse riuscire sarebbe una sonora lezione su come il legislatori debbono operare per garantire i diritti dei cittadini, e nello stesso tempo prendersi cura del bilancio statale.
Un esempio di questo, che ci interessa in modo particolare, e' costituito dai provvedimenti che il Governo si accinge a prendere nel campo della fecondazione assistita.
Come e' noto, con la fecondazione in vitro, la frequenza di parti bi- o tri-gemellari e' rispettivamente da tre a 7 volte superiore al normale. Secondo un'indagine compiuta dalla Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), e dal National Institute of Health cio' e in massima parte dovuto al fatto che, per aumentare la percentuale di successo, i ginecologi britannici tendono in ogni caso ad impiantare almeno tre embrioni, anche quando non esistono specifiche indicazioni in tal senso (eta' superiore ai 35 anni o aborti ricorrenti). Fino allo scorso settembre, quando la HFEA ha stabilito le linee guida per ridurre al minimo necessario il numero di embrioni impiantati (2 tranne che nei casi suddetti), alcuni centri registravano fino al 44% di parti bi o tri-gemellari.
Facendo un po' di conti, la ex presidentessa della HFEA, Ruth Deech, ha verificato che mentre in media una clinica privata incassa 3000 sterline per un intervento di fecondazione in vitro*, la stessa clinica non si assume nessuna responsabilita' per i problemi causati alla madre ed ai neonati dalla gravidanza plurigemellare, la cui assistenza e' totalmente a carico del sistema sanitario nazionale. Questo "scherzetto" nel caso di una tripletta di gemelli prematuri, costa allo Stato 450.000 sterline. Cosa ha pensato allora la signora Deech? Proibire la fecondazione in vitro? Dire alle donne che vi hanno fatto ricorso di arrangiarsi? Imporre per legge il numero di embrioni? No, niente di tutto questo, piuttosto la signora ha proposto l'uovo di Colombo: imporre una assicurazione o una speciale tassazione alle cliniche private che praticano la fecondazione in vitro, in modo da rimborsare i circa 60 milioni di sterline (quasi 200 miliardi) che il sistema sanitario nazionale (NHS) spende ogni anno per l'assistenza alle madri ed ai bimbi nati con queste tecniche.
Ovviamente dalle cliniche private si e' gia' levato un coro di proteste, ma, dati i lauti guadagni sin qui fatti, difficilmente potranno giustificare un rifiuto.
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