La pubblicazione della
motivazioni dell'ordinanza, con le quale la Terza Sezione della Corte di Appello di Roma ha trasmesso, alla Corte Costituzionale, gli atti di un procedimento a carico di imputati del reato di detenzione, a fine di spaccio, di sostanze stupefacenti, sospettando – in relazione all'art. 73 dpr 309/90, così come modificato dall'art. 4 bis del D.L. 30 dicembre 2005 n. 272 – un plurimo profilo di incostituzionalità, conferma in modo assoluto la fondatezza delle tesi sin qui sostenute da chi scrive
[1].
La Corte distrettuale, infatti, individua due linee guida, che reputa meritevoli di sottoporre al vaglio del giudice delle leggi e che permetterebbero di ravvisare un contrasto della norma citata con l'ordito costituzionale.
In primo luogo, viene sostenuta la violazione dell'art. 77 comma 2° della Costituzione.
Essa sussisterebbe, sia per la carenza di coerenza interna della norma oggetto di valutazione rispetto alla più complessiva materia disciplinata da altre disposizioni del decreto legge in cui la stessa è inserita, sia perchè non sarebbe rinvenibile – nel caso di specie – il decisivo requisito della urgenza, che la norma costituzionale prevede espressamente e che, invece, sarebbe stato invocato, nella fattispecie, dal legislatore.
In relazione al primo dei due profili, sin qui tratteggiati, si osserva che l'incoerenza dedotta, deriva da un evidente eccesso di potere in sede di legiferazione, rispetto alla delega originaria.
In buona sostanza il testo della legge di conversione è andato ben oltre i limiti che erano stati sanciti dalla legge delega.
La nuova architettura sanzionatoria – introdotta con la novella della L. 49/2006 – appare, quindi, costituire elemento, che appare assolutamente disomogeneo, se rapportato alla più ampia trama normativa.
La riforma del sistema della pene, così sancita, appare, infatti, all'evidenza, estranea in toto sia alle previsioni legislative concernenti le Olimpiadi invernali di Torino, (che apparivano, in rubrica, l'argomento principale e generale del decreto legge 272/2005), sia con quelle disposizioni di legge attinenti asseritamente “i benefici previsti in favore di tossicodipendenti ed alcoldipendenti”.
La Corte, quindi, con un intervento lucido, logico e, soprattutto, orientato e circoscritto in modo assolutamente definito (assai differente, quindi, da quanto affermato da alcuni movimenti di opinione e politici, che sostenevano come la questione di costituzionalità afferisse ed involgesse tutto l'impianto della L. 49/2006) rileva in concreto un deficit legislativo, sia di necessità, che di urgenza, che, in violazione del comma 2° dell'art. 77 Cost., lede irreversibilmente sul piano formale la norma in oggetto
Un attento esame, quindi, delle condizioni storiche, all'interno delle quali è maturata la novella del 2006, permette alla Corte di affermare testualmente che “..nessun evento improvviso, straordinario poneva l'esigenza di una modifica per decreto”.
Ma vi è di più.
La censura mossa all'art. 73 dpr 309/90, nella sua formulazione seguita all'approvazione della L. 21 febbraio 2006 n. 49, abbraccia anche un profilo di maggiore rilievo contenutistico, nel momento in cui essa pone a confronto, attraverso il richiamo del dettato costituzionale, la legislazione interna e quella comunitaria.
Come chi scrive ha avuto più volte occasione di affermare, la testarda, quanto illogicamente sorda, volontà del legislatore italiano di addivenire – come in effetti si è addivenuti – all'abrogazione della naturale distinzione giuridica fra droghe cd. “leggere” e droghe cd. “pesanti”, attraverso l'annullamento del relativo e diverso trattamento sanzionatorio, previsto, in origine dal dpr 309/90, sull'opinabile presupposto di una differente offensività delle stesse, si è tradotta in un gesto legislativo inammissibile, in quanto in irreversibile contrasto sia con i principi indicati nella decisione 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione Europea, sia con l'onere costituzionale trasfuso nell'art. 117 della Costituzione italiana.
Puntualmente la Corte di Appello di Roma, con l'ordinanza che si commenta, ha colto la grave discrasia fra le due disposizioni, osservando che il meccanismo sanzionatorio previsto dall'art. 73 dpr 309/90 (come desunto dall'art. 4 bis D.L. 272/2005), costituisce manifestazione di un palese inadempimento rispetto ad una fonte primaria di diritto comunitario, il rapporto con la quale viene regolato dall'art. 117 Cost. .
Il punto n. 5) della decisione 2004/757/GAI afferma, infatti, che la sanzioni concernenti le condotte illecite in materia di stupefacenti, devono ispirarsi ai principi della “efficacia”, “proporzionalità” e “dissuasività”.
Tra questi tre canoni fondamentali, quello che più significativamente si pone in correlazione con le sanzioni previste dall'art. 73 dpr 309/90, appare quello della “proporzionalità” della pena.
Esso risulta di specifica importanza tanto a livello di legislazione comunitaria, quanto sul piano del diritto interno italiano, posto che non è, affatto, revocabile in dubbio il suo rango costituzionale, desumibile dal combinato disposto dagli artt. 3 e 27 commi 1 e 3 Cost.
Come già lo scrivente ha avuto modo di sottolineare, in precedenti commenti, la scelta italiana di formulare una omogenea previsione sanzionatoria per i reati concernenti gli stupefacenti, senza, peraltro, rispettare i principi contenuti nel citato punto 5) appare lesiva oltre che del criterio di “proporzionalità” della pena, anche, e, soprattutto, di quello di “offensività”.
Quest'ultimo va, infatti, inteso come strumento idoneo ad individuare, in modo corretto e rispettoso dell'equazione fra fatto e sanzione concreta, la pena da prevedere in relazione ad una specifica ipotesi di reato, appare assoluta.
Se, dunque, la UE ha declinato in modo rigoroso e preciso i limiti entro i quali si deve dispiegare la discrezionalità tecnico-politica del legislatore interno, non pare revocabile in dubbio la circostanza che il mancato rispetto formale di tale prescrizione (oltre che il mancato adeguamento del diritto del singolo Stato membro sul piano contenutistico di merito), costituisce ineludibile presupposto per una declaratoria di incostituzionalità dell'art. 73 dpr 309/90 (così come modificato dall'art. 4 bis del D.L. 30 dicembre 2005 n. 272), nei termini illustrati dall'ordinanza.
Sia, inoltre, consentito formulare un ulteriore osservazione.
La Corte, infatti, pur investendo la Consulta dell'esame di costituzionalità, tutto l'art. 4 bis D.L. 272/2005, sostiene, incidenter tantum, che il comma 5 dell'art. 73 sarebbe rimasto inalterato, pur presentando un “rilevante aumento delle pene rispetto a quanto previsto nella norma nella sua formulazione originaria”.
L'affermazione non è, purtroppo, esatta, in quanto nel regime ante novella del 2006, la circostanza attenuante ad effetto speciale dell'ipotesi lieve, prevedeva due distinti regimi sanzionatori (reclusione da 1 a 6 anni, oltre multa, per le sostanze stupefacenti ricomprese nella tabelle I e III, ovvero reclusione da 6 mesi a 4 anni, oltre multa, per le sostanze ricomprese nelle tabelle II e IV).
Sicchè, è evidente che anche il comma 5° dell'art. 73 è stato investito dalle modifiche strutturali di carattere sanzionatorio, introdotte dalla L. 49/2006 e prima ancora dal D.L. 272/2005 e che, quindi, la questione di costituzionalità proposta deve investire tutte le previsioni della norma in questione (o, comunque così come derivata dall'art. 4 bis cit.), che riguardino la pena da infliggere.
E', dunque, auspicabile che il giudice delle leggi decida quanto prima e, ritiene chi scrive, che i margini per una pronunzia che possa fungere da trampolino di lancio, affinchè si addivenga ad una scrittura di una nuova norma in materia ci sono tutti.
Non dimentichiamo che che la decisione 2004/757/GAI afferma che che qualunque condotta finalizzata all'uso personale di sostanze stupefacenti deve andare esente da pena e la coltivazione va ricompresa in tale novero.