Numero futures = beta portfoglio *[(-capitale
investito/(dimensione contrattuale futures x valore corrente
futures)]=n° contratti futures da vendere
1 marzo 2018 17:51 - gordon gekko
Appena il mercato, in presenza di dati dell'inflazione sopra
le aspettative o pari ad esse, dovesse avere dei tassi a 10
anni dei treasury a quota 3,50%-3,75% con valutazioni equity
pari o leggermente superiori a quelle attuali correggerà
ciclicamente. Chi perderà di più? I settori ciclici e le
imprese in essi con più leva (considerata come leva
finanziaria x leva operativa). Cosa fare per evitare che un
portafoglio venga travolto da un -40%? Facile: rollare ogni
3 mesi opzioni put con strike ATM su indice. Se vogliamo
dare un nome essa è la normalissima put protettiva (che
può essere creata anche tramite le calls). Tale strategia
è statica e tra i suoi limiti c'è il fatto di presentare
un basis risk, le opzioni possono essere poco liquide in
momenti particolari di mercato, l'orizzonte temporale
potrebbe non essere quello che vogliamo. Ovviamente le
strategie di hedging sono sono perfette ma farle aiuta
parecchio. Le strategia dinamiche possono essere poste in
essere tramite futures.
Numero put = beta portfoglio *[(capitale
investito/(dimensione contrattuale put x valore corrente
indice)]= n° contratti puts da acquistare
Per i futures:
Numero futures = beta portfoglio *[(-capitale
investito/(dimensione contrattuale put x valore corrente
futures)]= n° contratti futures da vendere
12 febbraio 2018 17:15 - Toio68
Certo che se si ragiona per asset class una situazione come
quella descritta non lascia scampo. Peraltro, pure il
ragionare per asset class è figlio di quelle teorie
obsolete di cui parla l'articolo. Teorie che poi secondo me
non sono obsolete: non sono proprio mai state corrette. In
realtà, basta allargare un poco la visione e ci si rende
conto che il mercato azionario e quello obbligazionario non
sono due monoliti. Il mercato obbligazionario ad esempio ha
una faccia costituita dai titoli che vanno bene quando i
tassi di interesse scendono e l'inflazione cala o resta
bassa (il tasso fisso) ed una faccia costituita dai titoli
che vanno bene quando i tassi d'interesse e l'inflazione
salgono (il tasso variabile). Oggi è semplicemente arrivato
il momento di passare dai primi ai secondi. Quanto alle
azioni, non vanno mai male o bene tutte nello stesso
momento. Durante le bolle finanziarie ci sono titoli alla
moda e titoli demodé. Siccome i più vendono i secondi per
comprare i primi, si creano sempre buone occasioni per
comprare titoli a prezzi interessanti. Fu così che i fondi
value si presero la rivincita sui fondi growth dopo lo
scoppio della bolla tecnologica del 2000. Avevano comprato a
buon prezzo azioni fuori moda, quando tutto il resto del
mercato aveva prezzi gonfiati. Certo, comprare un indice è
più comodo che andare a cercare le azioni col prezzo più
basso rispetto agli utili, al patrimonio netto e al
fatturato. Però se il mercato è gonfiato, si finisce a
comprare di più proprio i titoli più costosi. E con il
mercato in calo, si buttano via un sacco di minusvalenze,
che investendo in azioni singole si possono invece
recuperare. O no?
7 febbraio 2018 17:33 - Alessandro Pedone
@virginio6713 non ci sono indicazioni operative perché non
è possibile dare indicazioni generiche. Ho scritto
chiaramente, mi sembra: "Le strategie possono essere varie e
non ne esiste una certamente migliore delle altre.
L’importante è avere una strategia in proposito."
Capisco che lei vorrebbe sentirsi dire: "venda questo o
compri quello", ma questa è una vana speranza,
semplicemente perché ogni caso è diverso.
Se si esegue una negoziazione sui mercati è perché
CONTEMPORANEAMENTE c'è qualcuno che vende e qualcuno che
compra.
Questo non significa che, ad ogni negoziazione ci sia
qualcuno intelligente e qualcuno "stupido".
In qualunque momento, ci possono essere solide ragioni SIA
per comprare SIA per vendere, dipende tutto dalle strategie
che si utilizzano e le strategie, a sua volta, dipendono
dalle caratteristiche dell'investitore.
Ci sono investitori più adatti a strategie passive, altri
più adatti a strategia più dinamiche. Alcuni puntano più
ad approcci legati al "valore", altri più legati al
"momentum" anche per questioni caratteriali e di profilo
psicologico. Non esiste "la cosa giusta da fare" in
astratto, che si possa leggere da un sito ed applicarla
senza adattarla alle proprie caratteristiche. Sarebbe bello,
ma non esiste. Se dovesse leggere una cosa del genere,
diffidi.
7 febbraio 2018 11:16 - Alessandro Pedone
@soldigold87 Ormai moltissimi anni fa anch'io ero
affascinato dalle tesi di Jeremy Siegel, ma sono tesi che
gli ultimi 15-20 anni hanno completamente seppellito.
Avere azioni per il lunghissimo termine, intendendo per
lunghissimo più di 10 anni è una cosa che ha due grandi
problemi:
1) Se, nel corso di questi 10 anni capita un grande crollo,
come quello è ragionevole attendersi nei prossimi anni,
l'investimento non potrà mai recuperare un rendimento
minimamente accettabile neppure nel lungo termine. (chi
avesse investito nello stoxx 600 nel 2000, dopo quasi 20
anni avrebbe recuperato a fatica l'inflazione del periodo).
2) Non è una strategia di fatto applicabile alla quasi
totalità degli investitori, non fosse altro per ragioni
psicologiche. La sostenibilità, anche psicologica di una
strategia è una componente essenziale.
Non è affatto vero che avere azioni nel lungo periodo si è
"rivelato invariabilmente profittevole". Chi ha investito
sui picchi delle bolle non ha affatto fatto profitti,
neppure nel lungo termine.
Stabilire se i mercati sono in bolla o meno è possibile con
argomenti solidi. Stabilire quanto scoppi una bolla è
qualcosa di praticamente impossibile. Questo è un altro
discorso.
Invece di utilizzare i PE prospettici, per capire se vi sia
una grave sopravvalutazione, si può utilizzare - ad esempio
- il CAPE di shiller ma vi sono altri parametri affidabili.
Poi è ovvio che ogni situazione è diversa e si potrà dire
sempre "questa volta è diverso", ma che le azioni USA
fossero (e sono ancora) care è una cosa indiscutibile.
Indubbiamente qualsiasi operatività che non sia la Buy&Hold
implica errori e vi sono margini di rischio. Ma anche la
Buy&Hold, quando diventa "Buy&Hope" ha dei rischi molto
gravi. Si tratta, come sempre, di capire quali tipi di
rischio sono più adeguate alle specifiche caratteristiche
dell'investitore.
7 febbraio 2018 9:09 - virginio6713
Pedone,
come sempre la nota è lucida e interessante ma non dice
assolutamente cosa fare, se non sottinteso affidarsi alla
tua consulenza.
6 febbraio 2018 22:57 - solidgold87
Naturalmente nel mio commento precedente volevo dire Jeremy
-non Larry - Siegel ( ho scambiato il nome con Larry Summers
che stavo ascoltando intervistato, mentre scrivevo..)
6 febbraio 2018 22:07 - solidgold87
Nell'eventualità, non impossibile, peraltro, dell'inizio
più o meno prossimo di un mercato orso (per un breve
periodo il Dow Jones ha rotto, nella sua oscillazione
odierna di oltre 900 punti, la trendline rialzista di lungo
periodo) con crollo delle quotazioni azionarie, l'impatto
inevitabile sull'economia reale globale, e statunitense in
particolare -in USA le azioni sono pane quotidiano per i
cittadini/investitori/risparmiatori, al pari dei buoni del
tesoro nostrani almeno in passato-
sarebbe talmente massiccio da mutare lo scenario di fondo
che fa da cornice e da ago della bussola alle decisioni
delle banche centrali, Fed in primis, per cui verosimilmente
le prossime mosse circa la revisione dei tassi, vero primum
movens della tempesta in atto amplificato
dall'automatizzazione degli scambi, potrebbero non essere
così scontate.
Stabilire o meno, poi, se e quando si possa parlare di bolla
dei mercati, prima che esploda, non è così facile e
scontato visto che tutti i principali indicatori, a partire
dal più usato, il rapporto prezzo/utili, sono basati su
parametri stimati (nella fattispecie gli utili sono, come è
ben noto a tutti, le previsioni di consenso degli utili, che
possono o meno essere confermate, oppure sovra o
sottostimate).
A parte ciò, a mio modesto parere, l'unico modo che,
sempre, almeno finora, si è rivelato invariabilmente
profittevole di investire nei mercati azionari è quello
descritto dal celeberrimo libro di Larry Siegel, e
lapidariamente epitomizzato dal titolo che porta: "Stocks
for the long run", che tutti certamente conoscono, ma che è
sempre utile tenere sul comodino e rileggere, soprattutto in
questi momenti. La mentalità del trader, di battere il
mercato più o meno sistematicamente, tentando di cogliere
tutte le fasi di crescita ed evitando i crolli, in un modo o
nell'altro,
affiora un pò in tutti -anche in coloro che sono convinti
di essere "investitori"- specialmente nelle fasi difficili.
Ed alcuni effettivamente ci riescono. Per poco tempo, per
abbastanza tempo od anche per sempre, secondo una curva di
probabilità ripidamente decrescente e del tutto randomica.